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"VINCERE". Il film di Marco Bellocchio sarà presentato a Cannes. Racconta un duce inedito. Di una donna perseguitata e del figlio Benito Albino

MUSSOLINI, IDA DALSER, E BENITO ALBINO MUSSOLINI: UNA TRAGEDIA ITALIANA. Sul film di Marco Bellocchio, una nota di Michele Anselmi, un’intervista al regista di Aldo Cazzullo, e una nota di Malcom Pagani - a cura di pfls

Ida fu sua moglie, sempre. «Accusò il fratello Arnaldo». Lo stesso che sulla Gazzetta Ufficiale mutò l’identità di Albino «Gli fece assumere un altro cognome. Cambiò la vita di una persona e quella di una nazione».
giovedì 7 maggio 2009 di Federico La Sala
[...] Racconta Bellocchio che il finale è cambiato rispetto al progetto. «Pensa­vo di chiudere il film con una scena am­bientata dopo la Liberazione: il cogna­to di Ida Riccardo Paicher, l’uomo che non aveva saputo difenderla, esce da un cinema richiamato dalle sirene del­la polizia, assiste agli scontri di un cor­teo politico con le bandiere rosse e tut­to, e soccorre una ragazza ferita. Poi mi sono detto che il film non meritava un finale consolatorio. È una tragedia, e così deve finire» (...)

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> MUSSOLINI, IDA DALSER, E BENITO ALBINO MUSSOLINI: UNA TRAGEDIA ITALIANA. --- Diventa un caso "Vincere" ... Elogi all’estero e applausi dal pubblico. L’ira di Bellocchio: «Il mio melodramma pugnalato in Italia»

mercoledì 20 maggio 2009


-  Diventa un caso "Vincere", unico film di casa nostra in concorso al festival
-  Il Duce di Bellocchio "Con radio e cinema cambiò la politica"

-  Italiani tiepidi, all’estero piace

-  "Mussolini divenne papista per calcolo anche oggi ci si piega al Vaticano con cinismo"

di Natalia Aspesi (la Repubblica, 20.05.2009)

CANNES. «Concepito come un potente melodramma, nella struttura e nel tono, Vincere? si apre con la grandiosità di Il crepuscolo degli Dei stemperandosi poi come fosse Sigfrido. Wagner, in tutti i casi». È il giudizio entusiasta di Variety, come molto positive sono le critiche di quasi tutti i giornali stranieri che candidano il film al palmarès. Come mai parte della stampa italiana è rimasta invece perplessa e, amando e stimando molto il regista Marco Bellocchio, ora si batte il petto e pensa di non aver capito niente? Può essere che essendo Mussolini, per noi italiani, una figura ancora troppo nera, funesta, eppure caricaturale, metta disagio vederlo giovane, bello, nudo e impegnato in lunghi affamati amplessi? O che rivedendo il filmato del suo discorso di Ancona, in cui appare oggi come un irresponsabile buffone, ci si vergogni pensando che mai un uomo fu tanto amato da un intero popolo malgrado la sua tragica ridicolaggine, e che purtroppo questi innamoramenti si ripetono?

Marco Bellocchio assicura che raccontando la storia del breve amore tra Mussolini trentenne e Ida Dalser di tre anni più grande, che sino alla morte non si rassegnò al ripudio suo e del figlio di entrambi, non aveva nessuna intenzione di provocare riferimenti al presente italiano. «L’antiberlusconismo non mi sfiora perché ha distrutto la sinistra italiana, rendendola incapace di proporre alternative, di rendersi conto della realtà, di capire e farsi capire dalla gente. Oggi io mi riconosco nei radicali, e comunque, essendo ottimista, dovunque ci sia la capacità di guardare oltre il momento contingente. Se proprio devo trovare un’analogia col presente, mi pare che Mussolini sia stato il primo uomo politico mediatico, che si sia servito della propria immagine, del proprio corpo, per asservire il paese al suo potere: sapeva come conquistare le masse apparendo in divisa, partecipando alla battaglia del grano a torso nudo, sollevando bambini e baciandoli, trasformando fatali errori come la guerra di Etiopia in entusiasmante propaganda.

Allora non esisteva l’idea di conflitto di interessi, c’era la dittatura: e il Duce controllava tutti i mezzi d’informazione, radio, giornali, e soprattutto il cinema, messi al servizio della sua glorificazione personale: i funzionari provvedevano e censurare ogni sua immagine che limitasse il suo imperio e non fosse abbastanza carismatica. Non sempre era necessario massacrare o chiudere in galera gli oppositori: bastava renderli invisibili, cancellare la loro immagine e le loro parole da ogni forma di comunicazione; e nello stesso tempo far dilagare la propria ovunque, ossessivamente negli uffici, nelle scuole, negli ospedali, nelle strade». Come capita oggi con il premier, moltiplicato quotidianamente nei giornali e alla televisione.

Bellocchio mostra Mussolini giovane (il bel baffuto Filippo Timi) quando, socialista, antinterventista, giornalista dell’Avanti!, marcia con i compagni (i socialisti di Bellocchio sono sempre vecchi, litigiosi e urlanti) gridando «strapperemo le budella al papa per strangolare il re!». Poi nel ’27 sposa in chiesa Rachele già sposata civilmente nel ’15, un mese dopo aver riconosciuto Albino Benito, figlio suo e di Ida che aveva sposato in chiesa nel settembre del 1914: il suo potere si trasforma in dittatura, e Vincere ci mostra il vecchio tremolante filmato della firma dei patti lateranensi nel ’29: «Cinicamente, Mussolini era diventato papista per consolidare il suo potere, tanto da meritarsi, da parte di Pio XI, il titolo di "Uomo della provvidenza": oggi le chiese sono semivuote ma si pratica una sottomissione altrettanto cinica e formale alle posizioni del Vaticano, che ricambia con il suo appoggio ottenendo anche di avere come in nessun altro paese cattolico al mondo, Papa Benedetto XVI quotidianamente e più volte al dì nei telegiornali».

La tragedia dell’ostinata Ida Dalser (l’appassionata Giovanna Mezzogiorno) e del figlio Benito Albino (da adulto lo stesso carismatico Timi), separati per sempre e fatti scomparire in due diversi manicomi, era conosciuta nel loro paese, Sopramonte, e in tutto il Trentino, ma tale era stata la rete di sindaci, poliziotti, medici, avvocati, tutori, magistrati, ecclesiastici, funzionari pubblici, disumani e cortigiani, che avevano provveduto a stracciare documenti e a sorvegliare e punire la fastidiosa ripudiata e il suo innocente figlio.

In Italia dove tutto si sapeva delle tante amanti del duce, di questa moglie non si sapeva nulla: «Se sospettavano che qualcuno ne parlasse, arrivavano le squadracce fasciste e bastonavano le persone e distruggevano le case», dice Fabrizio Laurenti che con Giancarlo Norelli tre anni fa ha prodotto un documentario molto bello per RaiTre, cui Bellocchio si è ispirato. «Quando sei anni fa ho cominciato le ricerche, dopo più di 70 anni dalla morte di Ida e più di 60 dalla fine del fascismo, i pochi sopravvissuti di quegli anni avevano ancora paura a parlare, a rivelare dove erano nascoste le lettere che dal manicomio Ida scriveva al duce, al papa, al re, e che non furono mai spedite». Vincere, dice Bellocchio, è non solo la rievocazione di una storia vera e crudele e di una drammatica stagione politica, di guerra, miseria e morte, della giovinezza violenta di un futuro dittatore e della tragica parabola di una donna che osò opporsi sola al potere, ma è anche un tetro ritratto di quel che fu e potrebbe ancora essere, la società italiana.


-  «Vincere» La storia della moglie segreta di Mussolini

-  L’ira di Bellocchio: «Il mio melodramma pugnalato in Italia»
-  Elogi all’estero e applausi dal pubblico

-  Confronti. «Analogie tra il Duce e Berlusconi? L’uso dei media e dell’immagine.
-  Tra Ida Dalser e Veronica Lario nessun paragone»

-  di Giuseppina Manin (Corriere della Sera, 20.05.2009)

CANNES - «Siamo stati pu­gnalati alla schiena dalla stam­pa italiana». Marco Bellocchio ha appena letto i commenti su Vincere (da oggi nelle sale) e ne è rimasto amareggiato. Non tan­to per i giudizi, non sempre lu­singhieri, ma per quella loro «frettolosità» che, a suo dire, impedisce una seria riflessione. Nel frattempo, a consolarlo arri­vano le prime recensioni stranie­re.

Variety, bibbia del cinema americano, definisce Vincere «un film che toglie il respiro», l’autorevole Screen parla di «Fuochi d’artificio d’autore». Perfino L’Osservatore Romano lo elogia. E in nottata alla proie­zione per il pubblico sono arriva­ti lunghi e calorosi applausi. «Qualunque cosa succeda sono molto orgoglioso di questo film, un melodramma futuri­sta », lo definisce Bellocchio, 70 anni, sette volte al Festival, una da giurato. Regista civile, scomodo, sta­volta sa di aver portato in gara un film che scotta, su uno dei se­greti meglio custoditi del fasci­smo: la relazione del giovane Mussolini (nel film Filippo Ti­mi) con Ida Dalser (Giovanna Mezzogiorno), forse sposata for­se no, la nascita di un figlio, Be­nito Albino, prima riconosciuto, poi rinnegato. Una storia ricca di appigli con il presente. «Per la stampa straniera il parallelo Mussolini-Berlusconi è inevitabi­le - assicura -. In effetti, qual­che analogia non manca». Per esempio? «L’uso dei media e del­l’immagine. Mussolini è stato il primo a capire quanto fosse im­portante. Come Berlusconi ha preteso il controllo di ogni foto, di ogni filmato. Come Berlusco­ni era lui il padrone di gran par­te dei mezzi di comunicazione». Un uso dei media spregiudi­cato e abilissimo nella cui trap­pola oggi, spiega Bellocchio, è caduta la nostra sinistra, con­vinta di batterlo sullo stesso terreno cavalcando l’anti­berlusconismo. «Men­tre la sola vera arma sarebbe quella di proporre un’alter­nativa di idee. Tanto per comin­ciare un sano lai­cismo, fronte su cui invece resi­stono solo i radi­cali. Perciò alle prossime elezio­ni voterò per loro. Non ne posso più di aprire la tv e vede­re il Papa. La Rai è un servizio pubblico, non del Vaticano. In nessun altro Paese d’Europa accade questo, solo da noi».

E poi c’è la questione delle donne. Certi politici sembrano attrarle come mosche al miele. Tutte pazze per il Duce, ai tem­pi. Un immaginario erotico fem­minile segnato dal maschio Be­nito, dal torace possente, virile pelata, voce stentorea, labbra e gli occhi roteanti all’unisono co­me gli attori del cinema muto. Chissà che amante, sognavano impiegate e sartine, maestre e si­gnore dell’alta società. Persi­no belle, colte e appassionate co­m’era Ida Dalser. Quando lo in­contrò, poco più che ventenne, Mussolini non era ancora il Du­ce. Un ambizioso socialista po­pulista, agitatore di folle, man­giapreti. Ida ne è folgorata. Per lui vende tutto quello che ha, i soldi servono a finanziare il «Po­polo d’Italia» il giornale che gli fa da trampolino di lancio. Gli dà un figlio. In cambio chiede solo di essere amata. «Ma Mus­solini era quanto mai spregiudi­cato e cinico verso le donne, le usava finché gli servivano poi le gettava via - prosegue Belloc­chio -. Così successe con Ida. Solo che al contrario delle altre lei non si rassegnò, non volle mai scendere a patti, accettare vitalizi o risarcimenti. Lei soste­neva di essere la moglie, e vole­va che Benito si occupasse di lo­ro figlio».

Una battaglia pubbli­ca contro l’uomo più potente e tutti i suoi accoliti che fa di Dal­ser un’eroina, sostiene Belloc­chio. «Nel tentativo di non farsi dimenticare Ida scrisse lettere su lettere a tutti, dal Papa all’al­lora direttore del Corriere Alber­tini ». Una denuncia mediatica per qualcuno affine a quella re­cente di Veronica Lario. «Mi sembra tutta un’altra storia - ri­sponde Bellocchio -. La signo­ra Lario ha reso pubblica la sua volontà di divorziare ma non mette certo in discussione i suoi diritti e privilegi. Ida è mor­ta in manicomio, offesa e di­menticata. Non sarà certo la sor­te di Veronica».


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