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ANTROPOLOGIA E TEOLOGIA. LA VERITA’, LE PASSIONI DELL’ANIMA, E LE INTERPRETAZIONI .... DELLA GENTE DALLA DOPPIA TESTA E DALLA LINGUA BIFORCUTA.

"IL MITO GRECO" E "1984" DI ORWELL: IL "CHI E’ PIU’ FORTE COMANDA" E "LA VOGLIA DI FASCISMO". Luciano Canfora e Tommaso Pincio evidenziano, contemporaneamente (senza volerlo), il "lato oscuro" della tradizione europea - a cura di Federico La Sala

lunedì 8 giugno 2009 di Federico La Sala
Luciano Canfora
[...] Lo dicono gli Atenie­si ai Meli, nel celebre «dialogo del carnefice con la vittima» nel quinto libro della Storia tu­cididea, onde togliere ai Meli ogni illusione: «noi riteniamo che, a quanto si sa tra gli dei, ma certamente tra gli uomini, in forza di una necessità (hypo physeos anankaias), chi è più forte comanda. Non siamo noi ad aver stabili­to questa norma, né siamo i primi ad attenerci ad essa; l’abbiamo trovata che c’era già e la la­sceremo in eredità a chi (...)

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> "IL MITO GRECO" E "1984" DI ORWELL: IL "CHI E’ PIU’ FORTE COMANDA" E "LA VOGLIA DI FASCISMO". -- «Come un pesciolino rosso in una vasca di lucci» (G. Orwell).

domenica 10 giugno 2018

Pericoli. Un’antologia di testi di George Orwell sembra parlare profeticamente dell’era della rete

Disprezzare l’autorità senza credere alla libertà

di Giulio Giorello (Corriere della Sera, La Lettura, 10.06.2018)

      • George Orwell, «Come un pesciolino rosso in una vasca di lucci», a cura di Vittorio Giacopini, Elèuthera, pagine 224, e. 16

«Le bombe atomiche si ammassano nelle fabbriche, le polizie si aggirano minacciose nelle città, le menzogne piovono dagli altoparlanti, ma la Terra continua a girare intorno al Sole, e né i dittatori né i burocrati, per quanto profondamente ostili alla cosa, sono in grado di impedirglielo».

Così scriveva nel 1946 Eric Arthur Blair (1903-1950), noto al pubblico come George Orwell. Eppure, ci sono voluti secoli per capire e far accettare il moto del piccolo globo che noi abitiamo. Ciò significava, per Orwell, che è necessaria «una vigilanza costante» per vedere «ciò che abbiamo sotto il naso». Ma non è solo passione per la verità; è amore per la libertà. Perché l’assenza di tale incessante attenzione consegna la vittoria a vecchi e nuovi despoti. Costoro incarnano quella che si potrebbe chiamare la perversione della politica, la quale, da invenzione per favorire la sopravvivenza degli esseri umani in un ambiente ostile, si è tramutata in rischio subdolo, che ci minaccia di estinzione più di quanto facciano catastrofi o disastri naturali.

Orwell avrebbe voluto tenersene lontano per dedicarsi alla letteratura; ma, forse fin dai banchi di scuola, si era reso conto che la fuga dagli onnipresenti rapporti di potere era impossibile. Si era sentito come «un pesciolino rosso in una vasca di lucci»; e ora Vittorio Giacopini intitola così una bella antologia di scritti orwelliani per la casa editrice Elèuthera (Milano). Nato nell’India britannica ma formatosi in Inghilterra, Orwell, non ancora ventenne, si era trasferito in Birmania e si era arruolato nell’Indian Imperial Police. Ma non doveva trattarsi di un incarico troppo congeniale, visto che gli insegnò «a odiare l’imperialismo».

Dimessosi nel 1927, cominciò a scrivere «racconti e romanzi che nessuno voleva pubblicare», e gli ci vollero quasi dieci anni per riuscire a campare dei suoi libri. L’orrore per lo sfruttamento coloniale e per le discriminazioni sociali nella «progredita» Inghilterra lo portarono tra le file del socialismo. Con lo scoppio della guerra civile in Spagna, Orwell si recò in Catalogna con la moglie a difendere la Repubblica. Ma l’entusiasmo iniziale era destinato a spegnersi man mano che emergevano i contrasti interni alle forze che avrebbero dovuto battersi contro il fascismo di Franco. Quelle vicende sono state poi raccontate in Omaggio alla Catalogna (1938). I comunisti staliniani si misero a braccare sia anarchici sia seguaci di Trotzky: «Questa caccia all’uomo in Spagna avveniva in simultanea con le Grandi Purghe in Urss e ne costituiva il complemento». E ciò, commenta Orwell, «mi insegnò con quanta facilità la propaganda totalitaria può influenzare l’opinione pubblica nei Paesi democratici», ove le accuse staliniane erano accettate persino negli ambienti «progressisti».

Orwell avrebbe poi dedicato parecchi sforzi a mostrare come Stalin avesse finito per capovolgere il sogno di Lenin nel suo opposto: una società gerarchica, autoritaria e repressiva, non molto diversa dai regimi di Hitler e di Mussolini. Contro i totalitarismi di ogni sorta, che mirano a cancellare le differenze individuali, Orwell si guardava bene dall’abbandonare la difesa delle leggi. C’è infatti anche una «tendenza totalitaria inerente alla visione anarchica o pacifista della società», ove «l’unico possibile arbitro del comportamento» resta l’opinione pubblica. Solo che «quando si presume che gli individui siano governati dall’Amore (...) il singolo è sottoposto a una pressione costante per comportarsi e pensare in modo esattamente identico a tutti gli altri».

Oggi, nell’epoca nella rete che Orwell non fece in tempo a conoscere, chi «disprezza l’autorità senza credere alla libertà» ha i mezzi per imporre un conformismo così generalizzato da rendere superflua ogni forza di polizia. D’altra parte, chi ancora crede alla propria libertà dev’essere disposto a resistere e contrattaccare anche in difesa di quella altrui.


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