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ANTROPOLOGIA E TEOLOGIA. LA VERITA’, LE PASSIONI DELL’ANIMA, E LE INTERPRETAZIONI .... DELLA GENTE DALLA DOPPIA TESTA E DALLA LINGUA BIFORCUTA.

"IL MITO GRECO" E "1984" DI ORWELL: IL "CHI E’ PIU’ FORTE COMANDA" E "LA VOGLIA DI FASCISMO". Luciano Canfora e Tommaso Pincio evidenziano, contemporaneamente (senza volerlo), il "lato oscuro" della tradizione europea - a cura di Federico La Sala

lunedì 8 giugno 2009 di Federico La Sala
Luciano Canfora
[...] Lo dicono gli Atenie­si ai Meli, nel celebre «dialogo del carnefice con la vittima» nel quinto libro della Storia tu­cididea, onde togliere ai Meli ogni illusione: «noi riteniamo che, a quanto si sa tra gli dei, ma certamente tra gli uomini, in forza di una necessità (hypo physeos anankaias), chi è più forte comanda. Non siamo noi ad aver stabili­to questa norma, né siamo i primi ad attenerci ad essa; l’abbiamo trovata che c’era già e la la­sceremo in eredità a chi (...)

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> "IL MITO GRECO" E "1984" DI ORWELL: IL "CHI E’ PIU’ FORTE COMANDA" E "LA VOGLIA DI FASCISMO". --- "Perché odio le dittature". Una lettera inedita di George Orwell (con una nota di Gabriele Pantucci).

mercoledì 14 aprile 2010


-  Una lettera inedita del grande autore in cui rivela
-  il suo rapporto con la politica, le ideologie e i totalitarismi

-  "Ecco cosa penso di fascismo e comunismo"
-  "Combattendo in Spagna ho capito che non c’è differenza"

di George Orwell (la Repubblica, 14.04.2010)

-  La lettera di al direttore della rivista
-  letteraria "Strand", che pubblichiamo in anteprima
-  mondiale, esce domani in Inghilterra nel -volume "Orwell: A Life in Letters" dell’editore Harvill Secker

Caro Mr. Usborne,

grazie della sua lettera del 22 agosto. Cercherò di risponderle come meglio posso.

Sono nato nel 1903 e ho studiato a Eton dove ottenni una borsa di studio. Mio padre era un funzionario dell’Amministrazione statale indiana e anche mia madre proveniva da una famiglia anglo-indiana, con legami soprattutto in Birmania.

Dopo aver completato la scuola ho lavorato per cinque anni per la Imperial Police in Birmania, ma il lavoro non si confaceva per nulla alle mie capacità: così ho dato le dimissioni quando sono venuto a casa, in licenza, nel 1927.

Volevo diventare uno scrittore, e ho vissuto la maggior parte dei due anni successivi a Parigi, mantenendomi con i miei risparmi, scrivendo romanzi che nessuno avrebbe pubblicato e che successivamente ho distrutto. Quando ho finito i soldi, ho lavorato per un po’ come lavapiatti, poi sono tornato in Inghilterra dove ho fatto una serie di lavori mal pagati, come quello di insegnante, con intervalli di disoccupazione e povertà disperata... (Era il periodo della depressione).

Quasi tutte le vicende descritte in Senza un soldo a Parigi e Londra sono accadute realmente ma in momenti diversi, e io le ho intrecciate per creare una storia che funzionasse.

Ho lavorato in una libreria per circa un anno nel 1934-1935, ma ho deciso di raccontarlo soltanto in Fiorirà l’aspidistra per creare uno sfondo. Non mi sembra che il libro sia autobiografico: io non ho mai lavorato in un ufficio di pubblicità. In generale i miei libri hanno un contenuto meno autobiografico di quanto per lo più si creda. Vi sono parti di autentica autobiografia in Wigan Pier e, naturalmente, in Omaggio alla Catalogna, che è un resoconto diretto. Incidentalmente Fiorirà è uno dei molti libri che non m’interessano e che ho soppresso.

Riguardo la politica, me ne sono interessato soltanto saltuariamente fino al 1935, sebbene io creda di poter dire di essere sempre stato più o meno "a sinistra". In Wigan Pier ho tentato per la prima volta di chiarire le mie idee. Ho pensato, e lo penso ancora, che ci siano enormi mancanze nell’intera concezione del Socialismo e mi sono spesso chiesto se non esiste nessun’altra via d’uscita.

Dopo aver studiato abbastanza bene l’industria britannica nella sua versione peggiore, cioè le miniere, ho concluso che è un dovere lavorare per il Socialismo anche se non si è emotivamente attratti da esso, perché la perpetuazione delle condizioni attuali è semplicemente intollerabile, e non esiste una soluzione politicamente realizzabile tranne qualche forma di collettivismo, perché è questo ciò che la massa della popolazione vuole.

Ma, più o meno nella stessa epoca sono stato infettato dall’orrore del totalitarismo, che in realtà avevo già sperimentato in quelle che chiamerei "forma di ostilità per la Chiesa Cattolica".

Ho combattuto per sei mesi (1936-37) in Spagna, e ho avuto la sfortuna di essere coinvolto nelle lotte intestine alle stesse fazioni: questo mi ha dato la certezza che non c’è molto da scegliere fra Comunismo e Fascismo, sebbene per varie ragioni sceglierei il Comunismo, se non avessi alternative. Sono stato vagamente associato con i trotskysti e gli anarchici, e più da vicino con l’ala sinistra del Partito Laburista (la propaggine Bevan-Foot).

Sono stato direttore letterario di Tribune, allora il giornale di Bevan, per circa un anno e mezzo (1943-45), e ho scritto per lo stesso per un periodo di tempo più lungo. Ma non sono mai stato iscritto a un partito politico, e credo di valere molto di più, anche politicamente, se scrivo quello che ritengo vero, rifiutando di seguire una linea imposta dall’alto.

All’inizio dell’anno scorso ho deciso di prendere una vacanza, dato che avevo continuato a scrivere quattro articoli alla settimana per due anni. Trascorsi sei mesi a Jura, un periodo in cui non ho lavorato, sono poi tornato a Londra facendo, come al solito durante l’inverno, il giornalista. Quindi sono rientrato a Jura: ho cominciato un romanzo che spero di finire entro la primavera del 1948.

Cerco di non fare nient’altro mentre continuo a lavorare a questo mio nuovo progetto. Molto raramente scrivo recensioni di libri per il New Yorker. Intendo trascorrere l’inverno a Jura, un po’ perché a Londra mi sembra di non riuscire mai a concludere nulla, un po’ perché credo sia più facile qui. Il clima non è così freddo, ed è più semplice avere cibo e carburante. Qui ho una casa molto comoda anche se in un luogo sperduto. Mia sorella fa funzionare la casa per me. Sono vedovo con un bambino che ha poco più di tre anni.

Spero che queste mie note le saranno d’aiuto. Mi rincresce di non poter scrivere nulla per lo Strand per il momento, perché, come ho detto, sto cercando di non essere distratto da altro.

Qui la posta funziona soltanto due volte alla settimana e questa lettera non partirà sino al 30, perciò la indirizzerò nel Sussex.

-  Con sincerità suo
-  George Orwell
-  Barnhill, Jura, 26 agosto 1947


Il testo scritto un anno prima di "1984"

di Gabriele Pantucci (la Repubblica, 14.04.2010)

L’importanza di questa lettera - che Repubblica riproduce in anteprima - sta, soprattutto, nel periodo in cui il grande autore la scrisse. Siamo a fine agosto 1947, a poco più di due anni dalla sua prematura scomparsa, a 46 anni. Già l’anno precedente aveva sofferto d’una emorragia tubercolare e quasi contemporaneamente decise di scrivere 1984 il suo capolavoro che compose nel 1948. La fattoria degli animali gli aveva dato quel minimo d’indipendenza economica che non lo obbligava a fare quattro articoli alla settimana. Scelse una fattoria abbandonata a otto chilometri dal paesino più vicino nell’isola di Jura, nelle Ebridi a ovest della Scozia. Qui lo raggiunse la lettera di Richard Usborne, il direttore del mensile letterario Strand, che lo invitava a collaborare.

Può sembrare strano che Orwell abbia deciso di rispondere con tanti dettagli a una persona che non conosceva per poi declinare l’offerta. Forse pesava lo stato di penuria in cui aveva trascorso la maggior parte della sua vita: la proposta del direttore d’un giornale poteva tornargli utile in futuro. E forse, stare così isolato, gli aveva offerto l’occasione per chiarirsi le idee a mente fredda. Di sicuro oggi si può leggere la sua risposta come un testamento politico.

La lettera non compare nei volumi che contengono il suo epistolario pubblicato anni fa. È venuta a luce soltanto di recente e verrà pubblicata in Orwell: A Life in Letters che l’editore Harvill Secker pubblica domani.

Il volume, curato da Peter Davison, è un’autobiografia costruita attraverso le sue lettere (tutte già pubblicate, tranne pochissime). È scritta con l’efficienza che contraddistingue tutta la corrispondenza del grande scrittore: si direbbe quasi da uomo d’affari. Non ci sono note di spirito. La dolorosa perdita della moglie Eileen che lo lasciò col bambino adottato di tre anni non invoca commiserazioni.

Nella lettera c’è una contraddizione quando Orwell sostiene di non essere stato iscritto a un partito politico. Era stato un membro dell’Independent Labour Party, su cui aveva anche scritto. Forse fingere di ignorarlo faceva parte del suo processo di dissociazione dalla vita politica.


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