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CORPUS DOMINI - CORPO DEL SIGNORE. LA LEGGE DELLA CASA (ECO-NOMIA) DEL SIGNORE E L’ EU-CHARISTIA. "La parola «Eucaristia» deriva dal verbo greco «eu-charistèō/rendo grazie» che a sua volta proviene dall’avverbio augurale «eu-...-bene» e «chàirō-rallegrarsi/essere contento»" (Paolo Farinella, prete).

IL VANGELO DI PAPA RATZINGER E DI TUTTI I VESCOVI E IL "PANE QUOTIDIANO" DEL "PADRE NOSTRO", VENDUTO A "CARO PREZZO". Una nota di Federico La Sala

LA "SACRA FAMIGLIA" DELLA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA E’ ZOPPA E CIECA: IL FIGLIO HA PRESO IL POSTO DEL PADRE DI GESU’ E DEL "PADRE NOSTRO" ... E CONTINUA A "GIRARE" IL SUO FILM PREFERITO, "IL PADRINO".
martedì 16 giugno 2009 di Federico La Sala
[...] Ma da chi, avete ricevuto questo “vangelo” che predicate?! A quale tavolo vi siete seduti, e con chi?!
Certamente non da Gesù e certamente non con Gesù: “Prendete, mangiate, questo è il mio corpo" (Mt. 26:26)[...]
[...] IL MOTTO DELL’ILLUMINISMO, IL SIMBOLO, IL "SAPERE AUDE" (Orazio, Epistole, I, 2: "risolviti ad as-saggiare, a ’mangiare’ - sàpere - a nutrirti e a diventare saggio - a sapére"), , E L’USO PUBBLICO DELLA RAGIONE. Alcune considerazioni di Kant
[...] (...)

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> IL VANGELO DI PAPA RATZINGER E DI TUTTI I VESCOVI E ---- E "IL VILLAGGIO DI CARTONE". il bene è più della fede, e l’altro (la relazione con l’altro) è più del bene.(di Roberto Escobar)

domenica 29 aprile 2012

Il bene vale più della fede?

di Roberto Escobar (Il Sole 24 Ore, 29 aprile 2012)

«I1 bene è più della fede», dice il vecchio prete raccontato da Ermanno Olmi in Il villaggio di cartone. Dopo che la sua chiesa è stata svuotata del sacro, a cominciare dal crocifisso, a lui resta solo l’attesa della morte. In una solitudine colma di ricordi, pensa agli occhi di una donna, perduti nel rimpianto. E pensa al suo mestiere, intrapreso per fare il bene. Ma uno scoramento profondo lo vince. Per fare il bene, confida a un medico "positivista", non serve la fede. Il bene, appunto, è più della fede.

Tutto questo si può leggere ora in un piccolo libro che riproduce la sceneggiatura del film (Ermanno Olmi, Il villaggio di cartone, edizioni Archinto).

In una bella introduzione, Vito Mancuso torna al cruccio del vecchio prete, e allo scandalo del suo scoramento. Lo fa per illuminare quella che chiama «conversione della religione». Tratta dal pensiero di Raimon Panikkar, l’espressione indica la necessità che il cristianesimo torni sale della terra, smettendo d’essere «accettazione intellettualistica di una dottrina (la “fede”)», e diventando, o ridiventando, convinzione radicata del primato del bene e della vita buona». Non più ortodossia, o retta opinione, esso si trasformerebbe in ortoprassi, o retto comportamento. E ancora: all’obbedienza ossequiosa del credente nei confronti della gerarchia si sostituirebbero le sue azioni concrete, non riconducibili all’utile (nemmeno a quello della salvezza promessa e gestita dalla gerarchia, si deve supporre).

È rischiosa, questa prospettiva, e scandalosa al pari del vecchio prete di Olmi. Se vien meno non tanto la dòxa, l’opinione, quanto il controllo della sua "rettitudine" da parte di un dispositivo di controllo dottrinale e gerarchico, nasce appunto il rischio che le opinioni si moltiplichino, ognuna certa di valere quanto ogni altra. Insomma, ammette Mancuso, si può finire per cedere a quella che Joseph Ratzinger ha bollato come «dittatura del relativismo [...] che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie». D’altra parte, prosegue citando Dietrich Bonhoefer, il senso dell’essere cristiani sta nell’imitazione di Cristo, che è «esistere-per-gli altri». Il figlio di Dio è tale non perché sia diverso e distante da noi, ma «in virtù del compimento della legge suprema dell’essere che è la relazionalità. fino a collocare nella relazione assoluta dell’amore il senso ultimo dell’essere e della vita». Si ritrova così un fondamento saldo per l’ortoprassi e un viatico contro il rischio del relativismo. Sta, questo fondamento, nell’espressione relazione assoluta, un ossimoro evidente: quel che è relativo non può essere assoluto, e quel che è assoluto non può essere relativo. D’altra parte, negli ossimori più d’una volta può nascondersi il senso dell’umano.

Fin qui Mancuso, e la sua lettura religiosa di Olmi. Ma a noi ne sembra possibile un’altra, del tutto e solo umana. Si tratta della nostra, che non pretendiamo sia condivisa da Olmi (come certo non pretende Mancuso). Così vale sempre per un’opera d’arte: uscita dalle mani del suo autore, non è più sua, ma d’ogni suo spettatore o lettore.

Ripartiamo dalle parole del vecchio prete, e prendiamole sul serio, cioè per quello che dicono del suo scoramento. La chiesa vuota s’è riempita di migranti, di prossimo, per usare una grande parola evangelica, o di altri, per usare un’altra parola non meno grande. Se stesse cercando la "relazione assoluta", la relazionalità come compimento della legge suprema dell’essere, il vecchio prete ne sarebbe consolato. E però nel film non c’è per lui acquietamento, ma solo cruccio e rimpianto. E questo suggerisce in lui qualcosa di radicale, che non può essere rimediato con una conversione ipotetica della religione.

Quando dice che il bene è più della fede, intende proprio solo che la sua fede in Dio è in crisi, e che questa crisi gli si manifesta nella sua superfluità per fare il bene. Siamo qui sul punto di precipitare in piena dittatura del relativismo, se volessimo dirla di nuovo con Ratzinger. D’altra parte, il termine dittatura del relativismo è un altro ossimoro evidente, ma non dei più felici. Per loro (trista) natura, le dittature sono assolutistiche, non relativistiche. E l’io che ha se stesso e le proprie voglie come unica misura può forse essere nichilistico, ma mai relativistico.

Il nichilista è sicuro che niente sia vero, e che tutto sia permesso. Ma così afferma già due verità, legate in una sorta di sillogismo: che niente sia vero, e che (perciò) tutto sia permesso. Ben diversamente opina il relativista, nel senso che a noi piace dare al termine.

Mettiamoci ora nei panni del vecchio prete, e domandiamoci come potrebbe tornare a fare il bene, al di là della sua fede in crisi. Ebbene, potrebbe smettere di attendersi giustificazioni assolute per la sua prassi, accontentandosi di quelle che gli mostrano i suoi occhi. Potrebbe cioè guardare l’altro che gli sta davanti, senza mediazioni e senza aneliti verso leggi supreme dell’essere. Se poi volesse un conforto intellettuale e filosofico, potrebbe rivolgersi ad Adam Smith, e alla sua nozione di simpatia.

Quando si vede l’altro che patisce, scrive il filosofo scozzese, si è portati a immaginare di soffrire la sua stessa sofferenza, o almeno a immaginare che si soffrirebbe come lui se si fosse nella sua condizione. Ma si tratta di un’illusione vera e propria: la sofferenza dell’altro non può essere davvero la mia, né mia può essere davvero la sua condizione. E tuttavia questa very illusion è fortunata e produttiva: mi apre all’altro, e mi mette in relazione con lui.

Che tutto questo abbia grandi conseguenze non solo morali ma anche politiche è dimostrato per esempio da Richard Sennett nel suo splendido Rispetto (il Mulino).

E poi si potrebbe raccomandare al prete di Olmi anche la rivolta camusiana, ossia la scelta con cui un essere umano pone termine alla sofferenza cui un altro essere umano costringe la propria vittima. Non c’è bisogno di assoluti, per rivoltarsi. Basta guardare l’altro vedendolo, vedendo il suo dolore e soffrendolo come se fosse nostro. Può bastare questo perché l’io e l’altro insieme producano da sé i motivi e i "fondamenti" di una prassi retta. Questo è il relativismo, questo essere in relazione, questo gusto per quello che è umano, molto umano, senza il bisogno di dispositivi dottrinari e gerarchici che certifichino la rettitudine della prassi, e poi magari dell’opinione. Rispetto a quello popolato di assoluti, questo intessuto di umanissimi, concretissimi "valori relativi" è un mondo più libero. Ed è un mondo attento ai singoli esseri umani, alla loro materialità sofferente.

Insomma, per parafrasare il vecchio prete, e per andare oltre il suo scoramento, il bene è più della fede, e l’altro (la relazione con l’altro) è più del bene.


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