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DOPO L’ANNO DELLA PAROLA (2008), L’ANNO DEL SACERDOTE DI "MAMMONA" ("CARITAS"), SECONDO LA TRADIZIONALE TEOLOGIA "VAN-GELICA" VATICANA (Benedetto XVI, "Deus caritas est", 2006)!!!

Anno sacerdotale, 2009 avanti Cristo. Sulla lettera ai preti di Benedetto XVI, un intervento di Nicole Sotelo ("Non ditelo al papa") - a cura di Federico La Sala

martedì 23 giugno 2009
[...] Gesù non era un prete e neanche i suoi discepoli lo erano. Troviamo riferimenti a Gesù come prete nella Lettera agli Ebrei. L’autore usa questo termine per riferirsi a Gesù come il nuovo ed ultimo "Sommo Sacerdote", segnando la fine della lunga serie di leader giudei. L’autore inoltre conferma che i preti non sono più necessari poiché non lo sono i sacrifici. Gesù è stato l’ultimo sacrificio ed è il nostro ultimo sacerdote.
Forse il papa ha dimenticato che Gesù non era attento al (...)

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> Anno sacerdotale, 2009 ---- la realtà prima del Popolo di Dio non risiede nella diversità delle funzioni e dei carismi, ma nel “noi dei battezzati” che insieme costituiscono il Corpo di Cristo. I ministri non stanno al di sopra di questo insieme: ne fanno parte (Jean Rigal, teologo - Il prete, uomo di relazioni).

lunedì 14 dicembre 2009

Il prete, uomo di relazioni

di Jean Rigal, teologo

in “La Croix” del 12 dicembre 2009 (traduzione. www.finesettimana.org)

L’ “Anno sacerdotale”, aperto in giugno da Benedetto XVI, dovrebbe essere un tempo importante di riflessione e di preghiera dedicato al ministero dei preti. La scelta del punto di partenza è di capitale importanza; è la chiave di volta a partire dalla quale tutti gli elementi costituiscono un insieme ordinato e si situano gli uni rispetto agli altri.

Il Vaticano II ricorda con insistenza che questo punto di partenza deve essere posto sotto il segno della missione della Chiesa. Il prete non è un “in sé”, che si potrebbe considerare al di fuori delle relazioni che gli danno la sua ragion d’essere e lo fanno vivere. Se l’anno “sacerdotale” diventasse una esaltazione del prete per se stesso, posto fuori o al di sopra del popolo di Dio che però è esso stesso tutto “sacerdotale”, allontanerebbe i cristiani dal suo vero significato e da ciò che comporta.

È importante, innanzitutto, sfuggire alla bipolarità “preti-laici”. Essa ha suscitato molto interesse nel corso dei decenni precedenti il Vaticano II. Valorizzava opportunamente i “fedeli laici” in un’epoca in cui la vita della Chiesa girava quasi esclusivamente attorno ai preti. Ma questo schema dualistico è riduttivo. Dove sono gli altri ministeri ordinati in questo binomio? Quale spazio viene dato ai laici e ai religiosi incaricati di una missione ecclesiale?

Questa bipolarità “preti-laici” ha il grave inconveniente di non essere collegata con la comunità cristiana né con la missione prima della Chiesa. Ora, la testimonianza del Nuovo Testamento e un insegnamento importante del Concilio è che ogni ministero cristiano è fondamentalmente un ministero della Chiesa che si definisce esso stesso attraverso la sua missione a servizio del mondo.

Senza dubbio bisogna ripeterlo, - perché il clericalismo, da qualunque parte venga, è una tentazione permanente -, la realtà prima del Popolo di Dio non risiede nella diversità delle funzioni e dei carismi, ma nel “noi dei battezzati” che insieme costituiscono il Corpo di Cristo. I ministri non stanno al di sopra di questo insieme: ne fanno parte.

Questo approccio pone i preti in una rete di relazioni. Innanzitutto, una relazione personale con il Cristo Pastore, al quale la loro esistenza è “configurata”, non come un privilegio o uno stato di vita superiore agli altri, ma un umile servizio degli uomini al seguito di Gesù. Allo stesso tempo, delle relazioni collegiali con il vescovo, il presbiterio, i diaconi, i laici che esercitano un ministero. E poi relazioni con gli altri cristiani che hanno dei legami più o meno stretti con la comunità cristiana, e in senso più ampio con tutti coloro che la vita permette di incontrare. È tutto questo che definisce la specificità del prete e non la presenza o l’autosufficienza, come se si pretendesse di portare agli altri senza ricevere niente da loro. L’ordinazione non separa, ma invia.

In questa prospettiva relazionale, i preti non potrebbero essere definiti né solo né innanzitutto come gli uomini del “sacrificio eucaristico”. Essi sono, più globalmente, i servi del Popolo di Dio: nel triplice servizio della Parola di Dio, della vita sacramentale e della guida pastorale. Queste tre funzioni non sono indipendenti, esse si compenetrano reciprocamente e rinviano l’una all’altra. È una delle insistenze del Vaticano II, come ha sottolineato il teologo Joseph Ratzinger: Presbyterium ordinis, il decreto sul ministero dei preti, “presenta un fatto notevole e sorprendente: non è in primo luogo il sacrificio che rende ragione del ministero dei preti, ma è la riunione del popolo di Dio” (1).

Queste considerazioni teologiche e pastorali lasciano aperte certe importanti questioni sollevate dalla situazione dei preti. Un “Anno sacerdotale” non può fingere di ignorarle. Un discorso fuori del tempo sull’invito al ministero presbiterale ha poche chances di essere ascoltato dai nostri contemporanei. La notevole diminuzione del numero dei preti, almeno in Occidente, è conosciuta e resta una “ferita aperta” nel fianco della Chiesa. Inoltre, questa regressione si inscrive in un contesto secolarizzato, gravoso per i credenti e in particolare per i preti. Tra i problemi relativi alla missione dei preti e al loro equilibrio umano, rileviamo la necessità della formazione permanente, le condizioni dell’esercizio del ministero, la collaborazione con gli altri cristiani, la vita spirituale, la vita materiale ed affettiva... E come non ricordare che le comunità cristiane avranno i preti che contribuiscono a suscitare? Non è facile dare delle risposte concrete a ciascuna di queste domande, ma sarebbe ingiustificabile non affrontarle e non tentare di rispondervi “come Chiesa”. L’ “Anno sacerdotale” lo esige, perché la nostra riflessione avvenga nella verità e la nostra preghiera sia segnata dall’autenticità.

(1) “La mission d’après les textes conciliaires”, in L’activité missionaire de l’Église (Cerf, coll. “Unam sanctam” n° 67), p. 135.


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