BIBBIA E ATTUALITA’
VERIDICITA’
di Giuseppe Platone ("Riforma", n. 32 del 28 agosto 2009)
«Comportatevi come uomini liberi, non servendovi della libertà come di un velo per coprire la malizia, ma come servitori di Dio» (I Pietro 2, 15-16)
UN’ANTICA narrazione ebraica rivela come dalla seconda sera di Pasqua ogni ebreo conti i giorni che lo separano dalla celebrazione dell’evento del Sinai: sette settimane. Ci vogliono, insomma, 49 giorni per metabolizzare le conseguenze provocate dalla liberazione. Prima viene la liberazione dalla schiavitù. Dopo viene la legge. Quest’ultima serve per conservare, valorizzare la libertà ricevuta e non ricadere nella schiavitù.
Possiamo distinguere tra libertà individuale e collettiva ma, per chi si disseta alla fonte biblica, non ci sono dei subumani, delle razze inferiori. Ci si differenzia per motivi economici, culturali o per capacità personali, ma teologicamente, di fronte al Dio che prima libera e poi dà la legge, non ci sono differenze: di fronte a Lui abbiamo tutti uguale dignità. Nella sapienza biblica l’uso della libertà è sempre a favore della persona. Insomma: dimmi che uso fai della tua libertà e ti dirò in chi credi.
IN questa lettera, che ci consegna il cristianesimo primitivo, si ricorda che una delle esperienze più intense e autentiche che possiamo provare, in quanto persone liberate che rendono conto direttamente a Dio di quello che fanno, è quella di dire la verità. Se da un lato rivivere la liberazione ricevuta significa dire la verità, dall’altro si tratta di non usare la libertà come un «velo per coprire la malizia». È un avvertimento che ci raggiunge da lontano ma è attuale. Viviamo infatti nella società della malizia, del disinganno, della manipolazione della verità. Siamo dentro un impasto di illusioni e miti difficili da smontare, quotidianamente alimentato e rilanciato da molti media. Ciò che appare non è ciò che realmente è.
LA cultura dell’illusione è il brodo in cui nuotiamo: illusi, ingannati e sfruttati nella nostra ingenuità. Ma anche se vittime del disinganno collettivo, cova sempre, sotto la cenere, un incandescente desiderio di autenticità.
Io ho sempre concepito il protestantesimo come una forza spirituale tesa alla verità. Protestanti che vogliono e dicono la verità. Chiese non come luoghi di inganni, mistificazioni, coperture e silenzi su giochi di potere e nefandezze, ma luoghi in cui coltivare la franchezza nella fraternità. In un mondo che utilizza la menzogna come olio lubrificante per far girare al meglio i propri affari noi ci collochiamo, in tutta coscienza, in controtendenza.
È vero che a volte non si riesce a dire compiutamente la verità, (anche in chiesa) perché essa può ferire, distruggere psicologicamente le persone. Ma la libertà nel dire la verità con fraternità vera, con amore e non con il gusto di distruggere l’altro è doverosa per chi percorre la strada di Colui che ha detto di sé: «Io sono la via, la verità, la vita». Certo le nostre sono verità parziali, umane, relative, discutibili ma si collocano davanti (non al posto) alla verità di Dio: una chiara tensione verso la verità è oggi urgente proprio per smontare quell’ingannevole impasto di regime che avvelena e divide il paese.
Giuseppe Platone