Settanta radici ebraiche del cristianesimo
Gli interrogativi aperti sulla composizione e la trasmissione della versione greca del testo biblico, che divenne l’Antico Testamento
di MASSIMO GIULIANI (Avvenire, 09.10.2010)
S i pensa e si dice spesso che ebrei e cristiani hanno in comune il testo biblico (inteso come Antico Testamento), e che a dividerli sia l’interpretazione della figura di Gesù. Queste affermazioni sono solo parzialmente vere. All’inizio della loro storia i cristiani adottarono sì la Bibbia degli ebrei, ma già in una versione tradotta in greco. Adottarono quella che si suol chiamare la Settanta, in latino Septuaginta (LXX), una traduzione in greco della Torà, dei libri profetici e di altri testi sapienziali, ma aumentata di altri ’libri’ che non facevano parte del Tanakh o Bibbia ebraica e che non entrarono mai a far parte del canone rabbinico, il quale si chiuse, per così dire, solo alla fine del I secolo d.C.
In sintesi, le due religioni, l’ebraica e la cristiana, fin dall’inizio si riferirono a due corpi scritturali non identici, diversi nella lingua e parzialmente nella composizione dei testi. La Septuaginta era certamente una Bibbia tradotta da ebrei per gli ebrei di Alessandria che non parlavano più ebraico bensì greco (tradotta precisamente da chi, è ancora tema di discussione tra gli studiosi), ma con il declinare di quella comunità venne abbandonata proprio mentre, a poco a poco, diventava la Bibbia adottata dalla nuova religione, quella cristiana, e mentre il giudaismo rabbinico fissava il suo canone e la sua versione in ebraico tradizionale, ossia masoretico.
La storia di questo testo greco, di fatto la Bibbia più antica che si ’conosca’, e gli infiniti problemi della sua composizione, ricezione, trasmissione, nonché delle molteplici correzioni che subì nei primi secoli dell’era cristiana, sono presentati ora in un volume di alta divulgazione scientifica, Septuaginta. La Bibbia di ebrei e cristiani, scritto da Natalio Fernàndez Marcos, uno dei massimi esperti della Settanta e delle origini ebraiche del cristianesimo.
La pubblicazione riflette il crescente interesse che da una ventina d’anni si registra verso questa fonte autorevolissima della cultura occidentale, senza la quale risultano incomprensibili sia il Nuovo Testamento sia i Padri della Chiesa. Due esempi: dal 1995 il Dipartimento di Scienze Religiose dell’Università Cattolica promuove a scadenza biennale una giornata di studi dedicata alla Settanta (e ne pubblica gli atti nei suoi Annali, ora editi da Brepols), mentre la prossima assemblea dell’Aisg (Associazione italiana per lo studio del giudaismo) ospiterà una sessione di lavoro su tale testo e sull’impatto che la scoperta dei rotoli del Mar Morto ha avuto sugli studi della Settanta.
L’introduzione di Fernàndez Marcos è sintetica ma rigorosa, e offre molti punti fermi in un ambito in cui a prevalere sono, tra mitologia e apologetica, i punti interrogativi. All’epoca di Gesù e di Paolo, ad essere plurale non era solo il cosiddetto ’medio giudaismo’ ma plurali erano anzitutto le sue Scritture, non ancora ben codificate né canonizzate, almeno fuori dalla terra di Israele. E il cristianesimo nascente, in tale pluralismo di giudaismi e di testi sacri ebraici, seguì la strada tracciata dal giudaismo ellenistico.
La conclusione dello studioso spagnolo è condivisibile: nell’impossibilità di risalire al testo ebraico originario, che sta cioè alla base della traduzione detta dei Settanta, «si devono rispettare ambedue le tradizioni, quella ebraica e quella greca, senza tentare di ridurre o di adattare l’una all’altra».
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Natalio Fernàndez Marcos
SEPTUAGINTA. LA BIBBIA DI EBREI E CRISTIANI
Morcelliana. Pagine 108. Euro 12 ,00