Tra Stato e Chiesa chi ha vinto?
di Sergio Luzzatto (Il Sole 24 Ore, 13 marzo 2011)
Giovedì prossimo,17 marzo, i vertici istituzionali della Santa Sede celebreranno accanto alle massime autorità della Repubblica il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. E neppure il "laicista" più incallito avrà ragione di rimpiangerlo: sarà la prova di come sia definitivamente sanata, dopo un secolo e mezzo, la ferita di un Risorgimento culminato nella sfida militare al Papato e nella breccia di Porta Pia.
In compenso, si ha ragione di chiedersi se lo scrupolo vaticano nel celebrare l’anniversario non abbia a che fare - di là dal cerimoniale e dall’etichetta - con una sconfitta storica di quell’Italia laica che gli uomini del Risorgimento cercarono di fondare. Si ha ragione di chiedersi, cioè, se l’entusiasmo risorgimentista del Papa e delle gerarchie cattoliche non corrisponda alla (comprensibile) fierezza di chi, centocinquanta anni dopo la più bruciante delle sconfitte, capisce di avere vinto.
Che quanto resta dell’Italia laica abbia buoni motivi di preoccuparsi, è ciò che emerge dalle cronache stesse di questi giorni: attacco del premier alla scuola pubblica come luogo di formazione pluralistica delle coscienze, attacco del centrodestra alla libertà costituzionale di liberamente disporre - nel fine vita - della propria vita, eccetera.
Ma di là dal fosco spettacolo del presente, c’è oggi chi ricerca in un passato anche lontano, ancora più lontano del 1861, le circostanze originarie della sconfitta di un’Italia possibile, diversa, migliore. Questo ha fatto, in un "diario intimo" intitolato La fabbrica dell’obbedienza, quel grande vecchio delle nostre patrie lettere che è Ermanno Rea. Il quale ha finito per scrivere un libro molto politico, e non sempre condivisibile (non, per esempio, nell’elogio del separatismo meridionale). Un libro, comunque, che offre spunti preziosi di riflessione sulla "lunga durata" della Controriforma inaugurata dal Concilio di Trento.
Secondo Rea, il segreto dell’Italia presente è da ricercare là, lontano da noi, eppure vicinissimo. In un’unità d’Italia fatta - quattro secoli prima che da Cavour - dai tribunali della Santa Inquisizione. E fatta dentro quei confessionali dove la Chiesa cattolica ha inventato, insieme all’Italia del perdono, l’Italia del condono