La partita con la Chiesa
di Adriano Prosperi (la Repubblica, 04.09.2009)
No, non sono affari interni della Chiesa, come ha commentato chi ancora impugna la pistola fumante - e la impugna perché chi l’ha armato non gliel’ha mai tolta di mano. Singolare affermazione, del resto: ma non era questo il governo che si professava più vicino alla Chiesa, quello che aveva avuto fin dall’inizio il soddisfatto via libera delle gerarchie ecclesiastiche? Oggi invece quella destra cattolica obbediente e collaborativa così gradita a eminenti cardinali finge un laico e pudico disinteresse per i problemi della Chiesa.
D’altra parte, la domanda che tutti ci poniamo è: quale Chiesa? Ne abbiamo viste diverse nei giorni scorsi e non abbiamo mai avuto l’impressione di trovarci davanti alla antica istituzione sacrale che immaginavamo capace di rispondere severamente e dal suo più alto livello all’attacco che l’ha ferita. Una cosa almeno è certa: le dimissioni del direttore dell’Avvenire sono un fatto che di per sé esclude qualunque possibilità di chiudere l’episodio a un fatto interno di chicchessia, tanto meno a un fatto interno della Chiesa.
Ci fu all’inizio il tentativo di chiudere tra parentesi le tensioni tra un premier e una chiesa italiana in agitazione facendo ripartire l’antico ron-ron della diplomazia ovattata, dei contatti riservati, magari dei colloqui tra un premier discusso e il segretario di Stato vaticano intorno a un tavolo conviviale all’ombra di un antico rito solenne del perdono.
Ma qui il percorso si interruppe: quel premier aveva un giornale di famiglia e il suo direttore fece partire in quel preciso momento un attacco inqualificabile contro l’Avvenire, organo della Conferenza episcopale italiana. Uno scandalo: bisogna che gli scandali avvengano, dice la parola del Cristo dei Vangeli canonici. Non così hanno pensato le menti diplomaticamente esercitate del mondo vaticano, d’accordo col Grande Inquisitore di Dostoevskij nel ritenere che l’ordine del mondo è troppo prezioso per metterlo a rischio con un ritorno della parola di Cristo.
C’era stata una mossa per far rientrare lo scandalo: una proposta di tregua con scambio dei caduti. La Chiesa-Potere aveva calato molto tempestivamente la carta più alta nelle sue mani per dimostrare la sua buona volontà e far rientrare la vicenda «citra sanguinem», senza versare sangue, come dicevano le regole della tortura dell’Inquisizione. L’aveva calata nientemeno che il direttore dell’Osservatore Romano nell’intervista al Corriere della Sera: un bel rimbrotto a Boffo e un’offerta di continuare come nulla fosse. Meglio una sola vittima che uno scontro dagli esiti imprevedibili. Era un prezzo sostenibile per pagare la pace politica e la tranquilla gestione dei problemi etici in discussione nel prossimo autunno - testamento biologico, pillola abortiva e così via. Ma la logica dello scambio richiedeva un passo analogo dall’altra parte: la parallela rimozione di Feltri dalla direzione del Giornale o almeno una smentita adeguatamente sdegnata da parte del suo padrone. Abbiamo visto com’è andata a finire. È finita che Boffo si è dimesso. Perché?
Sul piano umano possiamo ben capirlo: ed è questo l’unico piano comprensibile e condivisibile. La vittima designata non ha accettato il suo destino, non ha aspettato di essere dolcemente rimossa da mani curiali in tempi più tranquilli: si è tolta di mezzo da sola. Diciamo vittima con la piena consapevolezza che qui la parola è quella giusta. L’aggressione contro Boffo ha teso a distruggerne strumentalmente il ruolo sociale e la vita privata, sfruttando cinicamente il clima di linciaggio che il semplice sospetto di scelta o tendenza omosessuale sta scatenando oggi in Italia, indizio questo sì della malattia morale e della regressione nazistoide del paese. Quanto alle dimissioni, era stato monsignor Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo e presidente del consiglio Cei per gli affari giuridici, che ne aveva formulato per primo l’ipotesi. Mogavero sapeva che le dimissioni sarebbero state intese come ammissione di colpa.
Lo sappiamo tutti: in Italia, fin dai tempi di Dante Alighieri, la parte offesa e ferita diventa nel grido collettivo la parte colpevole. Ma quali saranno da oggi le sedi opportune per accertare i fatti? E quali fatti ancora si dovrebbero accertare? Una cosa sola è chiara: con le dimissioni di Boffo si apre un vuoto: non solo fra le voci autorizzate e autorevoli della Chiesa-Potere e il titolare del potere politico e monopolista dei media italiani, ma anche all’interno dell’arcipelago che si chiama Chiesa in Italia o Chiesa italiana.
Adesso forse qualcuno tenterà ancora di chiudere la partita con qualche paroletta di solidarietà. Si potrà sempre battere una pacca consolatoria sulla spalla del dimissionario, contando sul fatto che tanto in Italia chi si dimette ha sempre torto. Si potrà dire che il direttore di Avvenire è stato oggetto di un «inqualificabile attacco mediatico» - questo il commento, per esempio, del cardinale Angelo Bagnasco.
Bagnasco è il presidente della Conferenza episcopale italiana e in quanto tale è responsabile della condotta di Avvenire e del suo direttore quasi quanto Silvio Berlusconi è responsabile delle scelte del Giornale di famiglia. L’attacco è inqualificabile ma non viene da un killer ignoto. Viene dall’impero italiano dei media ed è ascrivibile al suo padrone. Il contenzioso opporrà la Chiesa nelle sue molte forme ed espressioni italiane al presidente del Consiglio tanto più direttamente e immediatamente quanto più lo spazio tra i due è rimasto sgombro e vuoto.
E c’è qualcosa di grottesco nella scena che si profila: il dialogo tra un’entità teoricamente monolitica e governata da un Papa infallibile e ostile al relativismo, oggi diventata una Babele di linguaggi, e il capo di un governo teoricamente democratico che parla la lingua di un potere intollerante di ogni critica e si immagina nei panni fumettistici di un Super Supeman.