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VITA E FILOSOFIA. Per il ventennale della morte di Elvio Fachinelli (1928-1989).

METTERSI IN GIOCO, CORAGGIOSAMENTE. PIER ALDO ROVATTI INCONTRA ELVIO FACHINELLI. Una nota di Federico La Sala

AL DI LA’ DEL ’FARISEISMO CATTOLICO-ROMANO’, UN ESERCIZIO DI PARRHESIA EVANGELICA: PARLARE IN PRIMA PERSONA, E IN SPIRITO DI CARITA’.
sabato 18 febbraio 2012
[...] Vicino/lontano - in un circolo virtuoso, sulla spiaggia, dinanzi al mare. Nel 2009, sostenuto dalla volontà e dal coraggio di mettersi in gioco e di entrare nel gioco (pp. 36-7), Rovatti è giunto “Sulla spiaggia” (E. Fachinelli. La mente estatica, Milano, Adelphi, 1989, pp. 13-25) e, finalmente, ha capito il senso del lavoro di Fachinelli ed è capace di riconoscerne tutto il valore [...]
Psicoanalisi, Storia e Politica....
L’ITALIA, IL VECCHIO E NUOVO FASCISMO, E "LA (...)

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> METTERSI IN GIOCO, CORAGGIOSAMENTE. --- Per essere una città aperta non basta ricevere chiunque, da qualunque parte arrivi: bisogna saper accogliere (di Gianciacome Schiavi - Il coraggio e la solidarietà).

giovedì 7 gennaio 2010

Il coraggio e la solidarietà

di Giangiacomo Schiavi (Corriere della Sera/Milano, 7 gennaio 2010)

Per essere una città aperta non basta ricevere chiunque, da qualunque parte arrivi: bisogna saper accogliere, integrare, avere una cultura e un’identità, bisogna saper dare e anche prendere. Il cardinale Tettamanzi lo ricorda nel giorno dei migranti, con il Duomo gremito e due piccoli che suonano un violino: sono rom, e sciolgono il ghiaccio dal cuore di Milano.

Non hanno gli occhi spaventati dei bambini portati via dal campo nomadi di via Rubattino, ma come loro cercano in questa città uno sguardo solidale, un’attenzione diversa dal rancore e dall’ostilità. Tra noi ci sono buoni e cattivi, dice un ragazzo filippino, ma siamo visti come dei diversi: alcuni di noi non possono nemmeno andare a scuola. Aggiunge una giovane ecuadoregna: «Ti chiedo aiuto, caro don Dionigi, vorrei che papà e mamma mi insegnassero le cose che li hanno resi felici nella vita».

È nel suo simbolo più caro che bisogna cercare Milano. È nel Duomo e nel cardinale che la città si ritrova e fa sentire quell’umanità che a volte sembra smarrita. Sono crollate le vecchie ringhiere a Milano, quelle che intorno alle case portavano una solidarietà attiva, soprattutto nel bisogno. Ma non le abbiamo mai del tutto sostituite, per rendere meno difficile o tragica la sopportazione dei disagi, degli stenti, delle miserie della vita ai meno fortunati, che oggi sono sempre più stranieri, immigrati, e fra questi donne e bambini.

Non siamo riusciti a trovare qualcosa, come scriveva anni fa il grande Giovanni Testori, «che ci aiuti ancora a sopportare, non solo non facendo del male al prossimo nostro, ma facendosi reciprocamente del bene. Parole vecchie, usate, anzi, abusate? Ma non invecchiano, e turpemente, assai prima l’altre, quelle con cui abbiamo stabilito, come nostra corona, non già la milanese passione, bensì la nuova milanese indifferenza?».

È contro l’indifferenza che predica generosamente e con coraggio da mesi il cardinale Tettamanzi. Per farci guardare i poveri di Milano, gli immigrati, i senzatetto, gli emarginati, i disoccupati, oltre l’impressione del fastidio: invitandoci a riconoscere in loro una dignità e un’umanità troppe volte calpestata. Purtroppo ci sono cuori che non vogliono aprirsi, ha ripetuto ieri il cardinale, sfidando un’altra volta il muro di gomma che sembra avvolgere Milano. Ma richiamando anche i genitori migranti ai loro doveri, invitandoli a portare avanti i progetti educativi per la nuova società nella quale hanno scelto di vivere. Vanno aiutati a diventare nuovi milanesi.

Bisogna far emergere il meglio in ciascuno di noi, ha detto Tettamanzi. E cogliere i segnali di speranza e di fiducia che si vedono negli occhi dei bambini. Il violino dei piccoli rom in Duomo è anche questo. È una domanda forte, per tutti: cosa c’entrano i bambini con la sofferenza?


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