Psicologia & politica
Così il capo conquista la folla
Per Gustave Le Bon la massa vuole uno stile semplice, chiaro, aforistico e al contempo perentorio, assertivo, ripetitivo: è un gregge che non può fare a meno di un padrone
di Emilio Gentile (Il Sole-24 Ore Domenica, 28.09.2014)
Nel 2009, dal 1 ottobre, il quotidiano francese «Le Monde» pubblicò ogni settimana un libro facente parte di una collezione intitolata «I venti libri che hanno cambiato il mondo». Il primo libro fu L’origine della specie di Charles Darwin, seguito da Come vedo il mondo di Albert Einstein. Il Manifesto del partito comunista di Karl Marx e Friedrich Engels era al diciannovesimo posto, mentre al quattordicesimo vi era La psicologia delle folle di Gustave Le Bon, pubblicato per la prima volta nel 1895.
Scrittore poligrafo, autore di grossi volumi che trattavano di medicina, fisica, fotografia, equitazione, archeologia, antropologia, etnologia, filosofia, pedagogia, sociologia, Le Bon aveva cinquantaquattro anni quando pubblicò il libro che gli ha dato una notorietà mondiale. Ignorato dall’accademia francese, che mai lo accolse nelle sue istituzioni, Le Bon acquistò fama come divulgatore scientifico, anche se si considerava orgogliosamente uno scienziato che aveva fatto importanti scoperte: nel 1922 polemizzò per lettera con Einstein sostenendo di essere giunto prima di lui a scoprire l’equivalenza fra masse ed energia.
Le numerose edizioni delle sue opere di psicologia collettiva, tradotte in molte lingue, gli garantirono una fama mondiale per tre decenni, fino alla morte, avvenuta a novanta anni nel 1931. La Psicologia delle folle nel 1928 aveva avuto trentacinque edizioni e rimane tuttora il suo libro più noto e diffuso. Per propagare le sue idee, Le Bon adottò gli stessi modi di comunicazione che consigliò ai capi per conquistare le folle: uno stile semplice, chiaro, aforistico, e nello stesso tempo perentorio, assertivo, ripetitivo.
Le Bon ebbe l’ambizione di essere il Machiavelli della politica nell’era delle masse. Chi voleva governare nella società moderna doveva fondare il proprio potere sulle masse. Come Machiavelli fece con Il Principe, spiegando la psicologia delle folle, Le Bon voleva insegnare ai capi come conquistare e governare le masse.
La folla per Le Bon è un agglomerato di persone che assumono caratteristiche nuove e diverse da quelle dei singoli individui. Gli individui che compongono la folla, indipendentemente dal tipo di vita, dall’occupazione, dal temperamento e dall’intelligenza, acquistano una psicologia comune, una "anima collettiva" come la chiama Le Bon, che li fa sentire, pensare e agire in modo diverso da come ciascuno di loro farebbe isolatamente. «Nella folla, le attitudini coscienti, razionali e intellettuali dei singoli individui si annullano, e predominano i caratteri inconsci. I fenomeni inconsci svolgono una parte preponderante nel funzionamento dell’intelligenza.»
E ciò accadeva, secondo Le Bon, non solo per una folle composta da individui senza cultura o appartenenti alle classi popolari, ma anche per una folla composta da individui colti o appartenenti alle classi superiori. «Le decisioni di interesse generale prese da un’assemblea di uomini illustri, ma di specializzazioni diverse, non sono molto migliori delle decisioni che potrebbero esser prese in una riunione di imbecilli.»
La caratteristica fondamentale della folla è la necessità di avere una guida, un capo. «La folla è un gregge che non può fare a meno di un padrone». Per Le Bon i popoli sono sempre guidati da un capo. Rari però sono i grandi capi dotati di forti convinzioni capaci di creare nelle masse una nuova fede, mentre i capi sono spesso «retori sottili, che mirano all’interesse personale e cercano il consenso lusingando i bassi istinti.»
Ma sia i grandi che i piccoli capi per conquistare le masse devono usare gli stessi modi di persuasione. I modi insegnati da Le Bon erano soprattutto l’affermazione e la ripetizione. «Quanto più l’affermazione è concisa, sprovvista di prove e di dimostrazioni, tanto maggiore è la sua autorità.» L’affermazione deve essere ripetuta continuamente perché solo così essa penetra «nelle regioni profonde dell’inconscio, in cui si elaborano i moventi delle azioni.»
Solo così è possibile penetrare nella psicologia della folla, i cui caratteri specifici sono la suggestionabilità, l’incapacità di ragionare, l’esagerazione dei sentimenti, il semplicismo delle opinioni e altre caratteristiche che apparentano la folla al bambino o agli esseri primitivi per «la facilità a lasciarsi impressionare dalle parole e dalle immagini, a farsi trascinare in atti lesivi dei suoi più evidenti interessi.»
Di conseguenza, Le Bon insegnava ai capi che «conoscere l’arte di impressionare l’immaginazione delle folle, vuol dire conoscere l’arte di governare. « L’arte degli uomini di governo "consiste soprattutto nell’uso della parola", perché la potenza della parola è così grande che bastano alcuni termini ben scelti per far accettare le cose più odiose.» Nella politica di massa, il potere di una parola non dipende dal suo significato «ma dall’immagine che essa suscita. I termini dal significato più confuso possiedono a volte il più grande potere», se sintetizzano le aspirazioni inconsce delle masse e la speranza della loro realizzazione. Perciò il capo deve conoscere «l’affascinante potere di seduzione che hanno le parole, le formule e le immagini», e servirsi di parole e di formule capaci di evocare immagini eccitanti la suggestionabilità delle folle.
Nella psicologia delle folle, le immagini "acquistano la vivacità delle cose reali" e sono considerate reali: «L’irreale predomina sul reale». Ciò va tenuto presente soprattutto nelle elezioni a suffragio universale. Il capo candidato può promettere «senza timore le più imponenti riforme. Le promesse esagerate producono sul momento un grande effetto e non impegnano affatto per l’avvenire», perché l’elettore non si preoccupa mai di sapere se l’eletto ha rispettato la proclamata professione di fede, in base alla quale avrebbe dovuto giustificare la sua elezione. «Ma soprattutto il capo deve possedere il prestigio, "l’elemento fondamentale della persuasione", "la molla più forte di ogni potere", che Le Bon definiva come «una sorta di fascino che un individuo, un’opera o una dottrina esercitano su di noi».
Per Le Bon, l’era delle folle è inevitabilmente l’era dei capi. E i capi, scriveva Le Bon nel 1895, «tendono oggi a sostituire progressivamente i pubblici poteri via via che questi si lasciano contraddire e indebolire», perché grazie al potere conferito loro dal consenso popolare, i capi «ottengono dalle folle una docilità molto più completa di quella mai ottenuta dai governi.»
Nel secolo scorso, capi politici molto diversi, come Theodore Roosevelt, Mussolini, Lenin, Ataturk, Hitler, De Gaulle furono influenzati dalla lettura di Le Bon o da lui appresero come meglio utilizzare le doti personali per conquistare e governare le masse. Non sappiamo se i capi più popolari del ventunesimo si siano ispirati alla Psicologia delle folle. Ma non è difficile constatare che i loro modi di persuasione sembrano derivare letteralmente dai suoi insegnamenti.