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CRISI COSTITUZIONALE DI LUNGA DURATA. DUE PRESIDENTI GRIDANO: FORZA ITALIA!!! .... E IL LUNGO SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE DELLE ISTITUZIONI E DEGLI INTELLETTUALI.

BERLUSCONI E LA "MEZZA" DIAGNOSI DEL PROF. CANCRINI. Il Narcisismo e l’uso lucidissimo come arma politica dell’"antinomia del mentitore" - "L’Italia è il mio Partito": "Forza Italia"!!! - a cura di Federico La Sala

IN ITALIA L’UNICO LEGITTIMO PRESIDENTE DEGNO DI GRIDARE "FORZA ITALIA" E’ IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, GIORGIO NAPOLITANO. Chi lo ha fatto e continua a farlo "ISTITUZIONALMENTE" è solo un (narcisista) mentitore e un (narcisista) golpista!!! E l’attentato alla Costituzione è già stato fatto!!!
domenica 1 agosto 2010 di Federico La Sala
IN ITALIA, NATO IL PARTITO "FORZA ITALIA" (1994), "IL PRESIDENTE DELL’ ITALIA" E’ DIVENTATO UNO SOLO - QUELLO FALSO E MENZOGNERO?! BERLUSCONI ("L’Italia è il mio Partito"): "Forza Italia"!!!
L’ITALIA, IL VECCHIO E NUOVO FASCISMO, E "LA FRECCIA FERMA". La lezione sorprendente e preveggente di Elvio Fachinelli
Non basta dire come fanno i francesi che la loro nazione è stata colta alla sprovvista. Non si perdona a una nazione, come non si perdona a una donna, il momento di debolezza in cui (...)

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> BERLUSCONI E LA "MEZZA" DIAGNOSI DEL PROF. CANCRINI. --- E LA "MEZZA" ANALISI DI CARLO GALLI ("Berlusconi, teorico dell’"arte di sapersela sbrogliare" - da "Le Monde Diplomatique").

lunedì 14 settembre 2009


-  Né Stato di diritto, né legge di mercato
-  Berlusconi, teorico dell’ “arte di sapersela sbrogliare”

-  di Carlo Galli

-  da Le Monde Diplomatique, settembre 2009, pag. 3
-  (traduzione dal francese di José F. Padova) *

-  Inossidabile, così appare il capo del governo italiano. Gli scandali personali e finanziari che si succedono non sembrano raggiungerlo, attribuiti come sono alla malevolenza della magistratura, della stampa o di un’opposizione che pure è al collasso. E se fosse precisamente questa sfacciataggine e questo disprezzo delle regole comuni che, molto più del suo liberismo economico, d’altra parte relativo, o delle sue misure anti-immigrati, spiegassero la longevità politica di Silvio Berlusconi?

-  Di Carlo Galli, professore di Storia del pensiero politico all’Università di Bologna, presidente dell’Istituto Gramsci dell’Emilia-Romagna

Il successo politico di Silvio Berlusconi non ha nulla di un lampo nel cielo sereno della storia d’Italia, né di un ufo caduto nel bel mezzo di una democrazia efficiente e di un mercato trasparente. Egli al contrario rappresenta la realizzazione e la garanzia del loro declino come pure del loro immobilismo - per una parte ne è la causa.

A partire dal 1978, anno dell’assassinio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, l’Italia ha sofferto di una mancanza di obiettivi politici e di slancio riformatore; ha subito una decadenza del senso civico legata all’estinzione progressiva del fondamento di legittimità della Repubblica: l’antifascismo. In seguito, e dopo gli anni ’80, il ruolo regolatore della politica e del diritto è diminuito a favore del peso delle esigenze economiche. Ma di un’economia il cui carattere «liberale» dipende da una definizione puramente ideologica, mentre la sua sostanza è neo-corporativa, clientelare.

L’Italia è un Paese frammentato in gruppi d’interesse, dai più potenti ai più miserevoli, in guerra gli uni contro gli altri e dimentichi della legalità comune, perfino dello spirito civico. La sua società è una giungla, con qualche radura più ospitale - come certe regioni del Nord o quelle, «rosse», del Centro - dove non intervengono pienamente né la logica del mercato né la logica dello Stato, ma quella del privilegio, dell’appartenenza, del risentimento o della paura.

Non è per caso se l’insicurezza caratterizza questo «stato di natura», tipico di una società che comprende sempre meno la necessità di norme per vivere insieme. Gli italiani sentono intuitivamente che la crisi della legalità li penalizza tutti, ma la maggior parte preferisce giocare allo «scrocco», tentando d’intrufolarsi fra le maglie della legge, senza mai sforzarsi di ritornare a un’azione collettiva rispettosa delle regole.

L’incremento della corruzione, compresa quella nell’ambito dell’amministrazione pubblica, deriva da questa logica del «particolare» o del «familiare amorale», che ormai costituisce la norma (1). Lo spazio pubblico della legalità, della trasparenza e dell’universalità si riduce. Lo rimpiazza un conglomerato d’interessi privati e di particolarismi con influenze e pesi diversi, in lotta per un equilibrio precario. La società si struttura sempre in funzione delle fedeltà personali e delle clientele: alla legge, ai diritti e ai doveri preferisce le astuzie e i favoritismi. Alla crisi economica, sociale e politica si aggiunge così una crisi morale, vero e proprio spreco del capitale sociale che è rappresentato dalla fiducia.

Lo sfaldamento della sinistra ha svolto un grande ruolo nell’avventura berlusconiana. Minata da incertezze e contraddizioni quando si trovava al potere, essa ha concluso un’alleanza con una parte minoritaria dei cattolici e formato con essi un polo politico d’intellettuali (sempre meno numerosi), di stipendiati del settore pubblico e di pensionati. Rimane egemonica (non senza difficoltà) in qualche regione dell’Italia centrale, come l’Emilia-Romagna e la Toscana, mentre altrove domina il sistema clientelare della destra.

Complicità della gerarchia religiosa

Perché Berlusconi è riuscito a incarnare la «ribellione delle masse» provocata dalla fine del sistema dei partiti della I. Repubblica, accelerata dai processi giudiziari di «Mani pulite» (2), che hanno decimato una parte della classe politica. Berlusconi ha approfittato della rivolta contro la politica, contro la cultura, contro le élite, che ha segnato gli anni ’90 e continua ancora.

La sua forza si basa su un populismo plebiscitario che si nutre di potere mediatico, di un autentico carisma personale e di un patto con gli italiani fondato su inclinazioni, interessi, paure e passioni. Berlusconi offre ai suoi elettori una retorica e una cultura politica ciniche e anti-istituzionali. I valori che difende a parole - ma che non mette per niente in pratica - derivano da convinzioni tradizionali anti-intellettuali e piccolo-borghesi. Egli non accetta alcun limite al proprio potere, come lo provano le sue polemiche con il Parlamento, nel quale tuttavia dispone di una maggioranza, e contro la magistratura, dalla quale si è voluto proteggere con una legge che gli garantisce l’immunità giudiziaria personale, senza dimenticare la sua interpretazione dispotica del ruolo di presidente del Consiglio.

Per Berlusconi quest’ultimo rappresenta l’espressione diretta del favore popolare, un’investitura che fornisce al fortunato eletto l’unzione del Signore (come l’aveva lui stesso affermato qualche anno fa) e lo pone ampiamente al disopra delle leggi e delle istituzioni. In quest’ottica la delegazione non proviene da una procedura razionale ma da una rappresentazione simbolica, personale e plebiscitaria, grazie alla quale un popolo riconosce la propria identità nel corpo mistico del capo. Lo ama perché lo capisce e ne ricava un senso di sicurezza, per lo meno quando odia (ve lo si spinge) i «comunisti», termine col quale la retorica di destra definisce gli spiriti critici e più in generale chiunque non si allinei sui valori della maggioranza. Per Berlusconi la sfera pubblica non è per nulla uno spazio critico, ma piuttosto quello della pubblicità - nel senso commerciale della parola -, della propaganda e del consenso entusiasta.

Questa politica autoritaria e carismatica è naturalmente estranea all’antifascismo - d’altra parte nessuno dei grandi partiti storici del CNL (Comitato Nazionale di Liberazione) partecipava al primo governo Berlusconi del 1994. Essa non ha nulla in comune con la democrazia liberale, come lo confermano i reiterati attacchi contro la libertà della stampa e della televisione, l’abbandono di qualsiasi nozione laica in politica (privilegi economici della Chiesa e ostentato rispetto delle direttive della Gerarchia ecclesiastica in materia di bioetica e di biopolitica), l’assenza di qualsiasi scrupolo nell’eccitare la xenofobia e le paure sociali (3).

Si tratta anche del passaggio dal potere dei partiti a quello delle persone, addirittura di una persona, e dall’ «arco costituzionale» (4) a una politica di scissione verticale del Paese in due blocchi opposti fin dentro alle loro antropologie. La ripetizione costante della logica amico/nemico permette di forgiare un’unità simbolica in un Paese del quale si mantiene deliberatamente la frammentazione e le disuguaglianze economiche e sociali (5).

Più che l’ «uomo del fare» - come lui ama definirsi, in contrasto con i politici di professione che si accontenterebbero di parlare - Berlusconi è l’ «uomo del lasciar fare». Ma non nel senso del protoliberismo di François Guizot: il suo consiste nel lasciare che ogni gruppo di potere o d’interessi conservi i suoi privilegi e nel cercare di accrescerli a detrimento dei gruppi più deboli, ivi compreso lo strumento fiscale (la lotta contro l’evasione ha perso la sua efficacia), e più in generale della dimensione collettiva della coabitazione nazionale.

Il premier ha di che trarre benefici, evidentemente proprio lui, il cui conflitto d’interessi non risolto appartiene ormai al panorama politico e non attira ormai più neanche l’attenzione. Al contrario: la posizione anormale del capo lo spinge a garantire l’impunità di tutti i cittadini per le loro trasgressioni alla regola comune, piccoli e grandi. La legge universale della Repubblica diventa l’anomalia, della quale Berlusconi costituisce l’icona: saturare la vita pubblica con logiche e pratiche private rappresenta la forza della sua posizione e la ragione del consenso del quale gode. Il lavoro salariato, innanzitutto pubblico, nondimeno fa eccezione, «preso di mira» dai controlli del ministro Renato Brunetta, che eccita il risentimento della maggioranza degli italiani contro l’amministrazione pubblica senza per questo migliorarne le prestazioni (6).

L’elettorato di Berlusconi non si riduce ai ricchi e ai potenti. Le classi medie, gli impiegati e una parte degli operai votano per lui, delusi dalla politica di sicurezza collettiva della sinistra, dallo Stato-provvidenza e dal principio stesso di eguaglianza. Essi preferiscono credere alle speranze, alle illusioni (e ai rancori) che la destra alimenta. Essi contano su Berlusconi per essere aiutati a venirne fuori, magari con l’appoggio, tradizionale, della pubblica amministrazione.

All’opposto, fra i discorsi e gli atti di Berlusconi si scava un fossato più profondo di quello dei professionisti senza scrupoli della politica. Che cosa è stato della promessa elettorale del 2001 - «meno imposte per tutti»? La destra l’ha rinnegata: la sua politica reale va in direzione opposta a quella degli interessi delle categorie più modeste. Si pensi anche alle misure contro i trust e per la libera concorrenza del mercato prese dal governo di Romano Prodi, che in particolare introducevano, con prudenza, un genere di class action (possibilità per i consumatori di opporsi collettivamente contro una pratica disonesta di una società privata): la destra le ha svuotate della loro sostanza moltiplicando gli emendamenti, tutti destinati a favorire le grandi imprese (7).

In breve, come d’abitudine, la corsa all’interesse a breve termine ricompensa i più forti: moltissimi italiani si credono furbi, ma in realtà si fanno prendere per il naso, quando non si ingannano da sé. Se Berlusconi appare come un mago che, simultaneamente, delude e affascina, non arriverà mai a modernizzare autoritariamente alcunché, perfino in modo indiretto. Dalla vecchia Democrazia Cristiana ha ereditato l’elettorato, ma non la politica: questa consisteva nel prendere voti a destra per riciclarli al centro-sinistra, al servizio di uno sviluppo democratico. Lui prende i suoi voti dal «ventre» del Paese e li utilizza per lasciare l’Italia nello stato in cui si trova e affermare il proprio potere.

Forse la maggioranza degli italiani si risveglieranno dal fascino berlusconiano e romperanno il patto firmato con lui il giorno in cui si renderanno conto che la politica del «fare nulla» risulta rovinosa. Che il rifiuto di vedere la crisi, come sta facendo la destra, non basta per superarla. Resta il fatto che nel giugno scorso il «Cavaliere» ha attraversato la crisi più grave della sua carriera, che avrebbe distrutto qualsiasi altro uomo politico occidentale: lo scandalo dei festini nelle sue residenze private a Roma e in Sardegna, la partecipazione di prostitute di lusso, il loro trasporto con voli noleggiati dallo Stato... tuttavia gli italiani continuano a manifestargli in maggioranza la loro fiducia, anche se ridotta, nei sondaggi e nelle elezioni (8), come se la vera essenza della sua politica, la sua funzione pubblica restassero intatte.

Da qui il ritorno alla nostra domanda iniziale: Berlusconi si è adattato agli italiani al punto che, quando lascerà la scena, il Paese non potrà più tornare a una politica che non pratica più da molti anni?

-  (1) Il barometro della corruzione di Transparency International, « Global Corruption Barometer 2009 » pone l’Italia in una posizione disonorevole sul piano mondiale della corruzione - reale e percepita.

-  (2) «Mani pulite»: indagine penale lanciata da magistrati milanesi il 17 febbraio 1992, allo scopo di mettere in luce la corruzione generalizzata del sistema dei partiti.

-  (3) Si pensi ai recenti commenti su Milano, che «rassomiglia a una città africana»: v. Il Corriere della Sera, 4 giugno 2009.

-  (4) Espressione usata nel dibattito politico degli anni ’60 e ’70 per definire i partiti che avevano partecipato alla redazione e all’approvazione della Costituzione del 1948, dai comunisti ai liberali. Ne era escluso il Movimento sociale italiano (MSI), che non condivideva i valori antifascisti.

-  (5) Per Berlusconi la sinistra è il «nemico dell’Italia», v. la Repubblica, Roma, 30 giugno 2009.

-  (6) Il 25 giugno 2008, su proposta del ministro della Funzione pubblica, il governo ha approvato il decreto-legge 112/2008, noto come «decreto anti-fannulloni», che punisce le assenze dal alvoro dei funzionari e prevede fra l’altro riduzioni di stipendio per i primi dieci giorni d’assenza, indipendentemente dalla durata del congedo per malattia.

-  (7) V. il Rapporto annuale dell’Autorità per la concorrenza e il mercato, 30 aprile 2009, www.agcm.it.

-  (8) Alle elezioni europee e regionali del giugno 2009 il partito del presidente del Consiglio ha riportato un reale successo, ma senza raggiungere la soglia del 40% che Berlusconi aveva presentato come suo obiettivo.

* Il Dialogo, Lunedì 14 Settembre,2009


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