Quindici anni fa veniva ucciso Iqbal Masih. Oggi i bimbi parlano di lui
di Massimo Filipponi *
La scuola elementare del quartiere Casilino (Roma) ha un nome strano. «Iqbal Masih». Chi è, anzi, chi era ce lo spiegano i bambini dell’istituto nella pagina accanto con disegni, pensieri e poesie.
Iqbal lavorava già all’età di 4 anni, si è poi ribellato al padrone divenendo il simbolo della lotta contro lo sfruttamento dei bambini. Saif Ranjha, presidente dell’associazione Together Italy-Pakistan , nella sua terra torna ogni anno per portare nei villaggi il materiale e i soldi raccolti nella scuola con l’adozione a distanza. «Mi vergogno a chiedere soldi - dice Saif - ma ce n’è bisogno». Nelle 19 classi che hanno aderito al progetto sono i bambini stessi a «risparmiare» un euro al mese e versarlo agli insegnanti.
La maestra Susanna Serpe ci tiene che siano «risparmiati». «Quando ci consegnano le loro monetine - racconta - gli alunni ci dicono “un giorno non ho mangiato il gelato” oppure “ho comprato un pacchetto di figurine in meno”». «Dopo decenni di dittatura militare, da due anni in Pakistan la democrazia sta facendo passi in avanti - dice Saif - Le cose stanno cambiando e molto, pensi che la rappresentanza femminile nel nostro Parlamento è già del 22%... Però il problema è culturale e ci vuole tempo. Certo il lavoro minorile ancora esiste e non solo per la realizzazione dei tappeti.
I bambini vengono sfruttati nelle fabbriche di mattoni, come domestici o nei ristoranti». «Quando torno in Pakistan parlo con i genitori dei bambini - aggiunge Saif - Dico loro che devono mandare i figli a scuola. Mi rispondono che è un problema economico: se lavorano guadagnano anche per la famiglia, se vanno a scuola no. E poi non è che la scuola, una volta terminata, gli garantisca il lavoro... ». Per questo con i fondi raccolti in Italia l’associazione Together Italy-Pakistan ha costruito una scuola frequentata attualmente da più di 100 bambini e si impegna nelle adozioni a distanza. «È un lavoro enorme, perché in alcuni villaggi non c’è nemmeno l’obbligo di registrazione immediata delle nascite». Come uscirne? «Il Pakistan purtroppo investe la maggior parte dei suoi soldi per la sicurezza delle frontiere, armi e soldati da schierare ai confini con India, Russia, Cina, Iran e Afghanistan... Se potessimo farne a meno, senz’altro più bambini andrebbero a scuola». E non ci sarebbe più il rischio di un altro Iqbal Masih...
* l’Unità, 16 aprile 2010