Lo scienziato raccontato da Piergiorgio Odifreddi
L’impossibile impresa di Galileo: scienza e fede sotto il segno della libertà
di Giulio Giorello (Corriere della Sera, 29.11.2009)
Il cielo è un libro in cui da millenni gli esseri umani leggono i segreti della natura (come ci ricorda Piergiorgio Odifreddi nella sua ultima fatica) ma non poche delle sue pagine risultano piuttosto ambigue. La vicenda di Galileo, come la ricostruisce il nostro «matematico impertinente», è la storia di una doppia impresa: rendere sempre più plausibile il copernicanesimo eliminando non poche obiezioni, e fornire una «dimostrazione» della sua «verità». Col primo bersaglio Galileo ha davvero vinto. A partire dal 1609, grazie al suo «tubo ottico» o «cannocchiale», aveva mostrato con successo che la Luna era... un’altra Terra; nel 1610, con la scoperta di quattro «lune» di Giove aveva vanificato l’obiezione che, nello schema copernicano, la Terra fosse l’unico pianeta dotato di un satellite; nel 1611 aveva riscontrato le fasi di Venere, una conseguenza del sistema copernicano che nessuno era stato prima in grado di osservare (ma solo per la «debolezza» dell’occhio umano). Tutti punti di forza della nuova cosmologia, che declassava la Terra da centro dell’Universo a pianeta minore del Sistema solare (uno dei tanti «mondi» che popolavano «lo spazio immenso», almeno se aveva avuto ragione «l’eretico ostinato e impenitente» Giordano Bruno).
Ma come aveva obiettato a Galileo il «collega » Keplero, anche lui copernicano convinto, queste non erano ancora prove definitive per la correttezza della nuova concezione del cosmo. Ma le evidenze della rivoluzione della Terra (Bradley, 1728) e della sua rotazione (Foucault, 1851) dovevano cominciare ad affiorare più di un secolo dopo! A suo tempo il cardinal Bellarmino aveva ingiunto all’audace astronomo di fornire garanzie dei moti terrestri, prima di turbare le coscienze dei credenti, abituati dalla lettura della Bibbia a una Terra immobile. Galileo aveva pensato di rispondere col «flusso e riflusso del mare »: come l’acqua di un catino posto in una barca, «che se ne viene con mediocre velocità per la Laguna», all’inizio del moto «resta indietro» e alla fine «si alza», così per la combinazione della rotazione e della rivoluzione terrestre si abbassano e si alzano le acque contenute nel «catino» del Mediterraneo. Ma questo argomento delle maree non regge, come constatava lo stesso Maffeo Barberini, ovvero papa Urbano VIII, un tipo non digiuno di scienza.
Odifreddi insiste sulle «lacrime di coccodrillo » versate oggi dalla Chiesa cattolica a proposito della condanna del 1633. Per lui, la morale della storia resta quella della battuta di Oscar Wilde: chi dice la verità, prima o poi viene... scoperto.
A nostro avviso, però, non è tanto questione di scienza e fede o di assolutezza della «verità» scientifica, quanto di diritto (politico) all’errore anche da parte di grandissimi scienziati. Togliete la possibilità di commettere sbagli (e magari di spacciarli per cogenti dimostrazioni) e non avrete più libertà di ricerca.
PIERGIORGIO ODIFREDDI ,
Hai vinto, Galileo!
MONDADORI
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