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DALLA FIABA, UNA LEZIONE DI PENSIERO COSTITUZIONALE A FILOSOFI E A GIURISTI. A VLADIMIR J. PROPP E A GIANNI RODARI, A ETERNA MEMORIA...

L’ASTUZIA DEL LUPO E I SETTE CAPRETTI. "APRITE, APRITE": SONO IL VOSTRO "PAPI"!!! LA PAROLA "ITALIA", LA "PASSWORD", CONSEGNATA A UN PARTITO (1994-2011). Un omaggio a Giorgio Napolitano, al Presidente della Repubblica italiana - a cura di Federico La Sala

CRISI COSTITUZIONALE (1994-2011). "DUE PRESIDENTI" DELLA REPUBBLICA GRIDANO: FORZA ITALIA!!! LA DOMANDA E’: CHI E’ "IL LUPO"?! CHI IL MENTITORE?!
lunedì 14 novembre 2011 di Federico La Sala
[...] "Aprite miei cari figli, è la vostra mamma che porta dolciumi per voi."
Purtroppo per lui, il lupo, sbadato, aveva posato le sue zampe nere sull’orlo della finestra e fu quindi subito riconosciuto. I capretti gridarono scherzosamente: "Uuh! Uuh! Signor lupo zampe nere, ti sei tradito!" [...]
COSTITUZIONE ED EDUCAZIONE CIVICA. LA LEZIONE DI GAETANO FILANGIERI, IL PARTITO DI "FORZA ITALIA" E IL COLPO DI STATO DI SILVIO BERLUSCONI.
"PUBBLICITA’ PROGRESSO": L’ITALIA E LA FORZA DI UN (...)

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> L’ASTUZIA DEL LUPO E I SETTE CAPRETTI. - Come nelle favole, a 24 ore dall’inizio tutto svanisce. Silvio mette in trappola i due vincitori. Napolitano per Gentiloni.

venerdì 23 marzo 2018

Silvio mette in trappola i due vincitori

di Lucia Annunziata (La Stampa, 23.03.2018)

Per diciannove giorni esatti, due uomini, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, hanno girato l’Italia in lungo e in largo, in un tour della vittoria, raccontando a tutti di aver vinto le elezioni. Intessendo intorno a questo concetto un racconto fatto di emozioni («saremo sempre fedeli a chi ci ha scelto») e parole d’ordine («nulla sarà come prima») che ha rapito anche le migliori menti nella seduzione di una idea - l’inevitabilità di un governo Lega-M5S, dannazione, disperazione, entusiasmo, come preferite, in Europa, in Usa, in Russia.

Ma, come nelle favole, a 24 ore dall’inizio della prima scelta che avvia la strada per formare un esecutivo, tutto svanisce, e i due uomini, Salvini e Di Maio, come la ragazza che porta la ricottina al mercato, scoprono che la vittoria nelle urne è stata solo un rapido sguardo riflesso in uno specchio. Avevano fatto un accordo che contentava entrambi: al primo la presidenza del Senato, al secondo la presidenza della Camera. Intesa viatico di un futuro accordo di governo.

Salvo scoprire che per fare un governo ci vuole ben altro dei voti fin qui raccolti, e molto molto altro che una semplice somma numerica.

È bastato che si rialzasse dal suo dispiacere il vecchio leone della politica italiana, per scompigliare ogni progetto. Nelle prime ore dopo i risultati sembrava morta, Forza Italia. Vergognosa, schiacciata dal sorpasso inflittogli dalla Lega. Poi, tre giorni fa l’arrivo a Roma di Silvio Berlusconi.

A differenza degli altri leader che hanno solo partiti, il Cavaliere può contare anche su una poderosa macchina che ha costruito negli anni, e che, sebbene sminuita di peso, schiera un’ampia articolazione di ruoli e intelligenze, come Ghedini e Letta, giornali e televisioni, relazioni istituzionali e fedeltà consolidate. Fili sono stati tirati da questa macchina, progetti sono stati abbozzati. Discreti approcci, telefonate, amicizie riascoltate, una tela è stata sistemata, a Roma, per provare a rimettere l’esuberanza salviniana in un progetto logico. Un richiamo al realismo di un accordo: alla Lega l’incarico di governo, a Forza Italia la presidenza del Senato. Carica, quest’ultima da non sottovalutare, essendo la seconda dopo il Presidente, e la guida della più incerta delle ali del Parlamento, dove le maggioranze sono più ristrette e dunque più decisive.

Come mai questo ovvio accordo fra alleati non fosse stato definito finora, è una domanda superflua. La matematica anche in politica è una scienza esatta: un Salvini in uscita dalla coalizione con Forza Italia, per fare un governo con i Cinquestelle sarebbe stato il leader di una forza politica del 18 per cento che si univa a una forza politica con il 33 per cento. Un progetto suicida per se stesso e per tutta la destra.

L’accordo con i Cinquestelle era dunque, dopotutto, solo un po’ di scena, da parte di Salvini, per spingere la coalizione ad assicurargli l’incarico di fare il governo.

E per rendere nullo ogni accordo fin qui fatto tra Lega e Pentastellati non è stato nemmeno necessario fare una telefonata o mandare una nota: per Di Maio una cosa è giocare con Salvini, altro è allearsi con Berlusconi. L’intesa che doveva sconvolgere l’Italia si è rivelata alla fine solo un classico «teatrino» politico.

Potremmo persino felicitarci per questa lezione di realismo che scuote tutti ancora prima dell’insediamento del nuovo Parlamento. Se non fosse che ora sul tavolo non rimane uno straccio di idea su future maggioranze. Il Pd ex partito di governo oggi disorientato, diviso, è senza una strategia. Certo non gli sarà facile accodarsi a un centrodestra unito; d’altra parte non è nemmeno pronto a costruire un rapporto con l’acerrimo nemico M5S. In ogni caso, la lacerazione interna, dopo la sconfitta, lo tira su aree politiche opposte.

Gli M5S che finora pensavano di poter giocare usando i due forni, la Lega e il Pd, magari mettendoli su piani di competizione, oggi si ritrovano a dover cambiare del tutto schema.

Se il voto per le presidenze di Camera e Senato che inizia stamattina vedrà un centrodestra compatto sul nome di Romani, come è stato detto ieri sera dopo il vertice dei capigruppo, la destra sarà l’unica area con una strategia chiara.

Se c’è un incrocio dove nei prossimi giorni ogni accordo sarà fatto o disfatto, questo è l’incrocio fra piazza Venezia e via del Plebiscito, dove si erge Palazzo Grazioli, da anni casa del Cavaliere.


Napolitano, sgambetto a Renzi. “Gentiloni uomo giusto per il bis”

Il premier resta il più corteggiato: sempre alti i consensi nei sondaggi

di Fabio Martini (La Stampa, 22/02/2018)

ROMA. Dopo Romano Prodi, Walter Veltroni, Emma Bonino e Carlo Calenda, un po’ a sorpresa anche l’ex Capo dello Stato Giorgio Napolitano si produce in un energico endorsement a favore di Paolo Gentiloni e indirettamente fa lo “sgambetto” a Matteo Renzi. Durante una cerimonia all’Ispi, l’istituto di studi di politica internazionale, il presidente emerito ha scelto parole impegnative per motivare un premio che veniva conferito al premier: «Paolo Gentiloni è divenuto punto essenziale di riferimento per il futuro prossimo e non solo nel breve termine, della governabilità e stabilità politica dell’Italia», «un’attitudine all’ascolto e al dialogo e uno spirito di ricerca senza preclusioni da ministro degli Esteri e poi da presidente del Consiglio». Un elogio che è arrivato a sottolineare virtù irrituali: «La qualità della sua educazione famigliare e scolastica gli offre strumenti importanti per operare ai più alti livelli anche in futuro».

Un’ escalation di dichiarazioni di “voto” per Paolo Gentiloni che si incrocia con una tentazione coltivata in silenzio da Matteo Renzi, ma alla fine scartata: rendere esplicito in extremis una clamorosa “incoronazione” del presidente del Consiglio. Una tentazione che aveva qualche buon motivo ma anche una controindicazione che lo stesso leader del Pd confida: «In caso di largo intese, che noi non cerchiamo ma che potrebbero rendersi necessarie, è del tutto evidente che il candidato unico di una coalizione, per andare a palazzo Chigi, deve essere espresso dalla coalizione più forte». In altre parole, Gentiloni ha più chances di restare in campo se mantiene il suo attuale profilo “bipartisan”, anziché essere il candidato di un partito e di una coalizione. E poi c’è un’altra ragione che Renzi ha spiegato così ai suoi: «Se noi cambiamo lo spirito e la lettera del nostro Statuto soltanto perché i sondaggi suggeriscono qualcosa, allora un partito non ha più senso».

E tra i motivi che hanno sconsigliato un cambio di cavallo all’ultima ora, anche il timore di uno spaesamento tra gli elettori. È vero che è stabilmente elevata la fiducia che tutti i sondaggi attribuiscono a Gentiloni, tanto è vero che un mese fa un istituto tra i più quotati valutò in due punti percentuali in più una eventuale “cessione di sovranità” a favore del premier. Ma è altrettanto vero che nei comizi del Pd la presenza di Renzi - ovvero la sua evocazione da parte degli altri dirigenti - suscita ancora applausi e consensi e dunque esiste uno “zoccolo duro” da non deludere.

Certo, in queste ore Matteo Renzi sta cercando la carta per invertire una tendenza al ribasso che da sette mesi non si è più fermata. Anche perché negli ultimi giorni di campagna elettorale, Renzi lo sa bene, i numeri sono suscettibili di cambiamenti repentini e, come lui stesso ricorda, «nel 2013 nell’ultima settimana i Cinque Stelle recuperarono molti voti e il Pd ne perse». Oggi Renzi parlerà a Firenze e, annuncia, farà un discorso «alto, diverso dal solito».

A rendere il quadro ancora più incerto contribuisce una legge elettorale la cui traduzione dei voti in seggi parlamentari si sta rivelando un enigma. E proprio per questo motivo si sta intensificando la pressione anche da parte di personalità oramai fuori dalla mischia politica. Eppure, a dispetto di endorsement prestigiosi le chances per Gentiloni di una nuova stagione a palazzo Chigi sono legate a crescenti incognite. Certo, decisiva sarà la ripartizione dei seggi parlamentari tra i partiti, ma la novità che sta frenando le speranze dei fans di Gentiloni è un’altra ed appartiene alla sfera del non-detto: Berlusconi e Salvini, pur nella rivalità, hanno capito che se non raggiungeranno la maggioranza, dovranno convivere e spalleggiarsi nella ricerca di una soluzione per la guida di un governo - breve, di scopo o lungo - da condividere col Pd. E, al momento, il punto di intesa possibile non può non essere un premier vicino al centrodestra.


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