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CRISI COSTITUZIONALE: L’ITALIA E IL "QUIZ" CONTINUO!!! DUE PRESIDENTI (1994-2009) GRIDANO "FORZA ITALIA" ... CHI E’ IL VERO PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA?!

I CENTO ANNI DI NORBERTO BOBBIO E UN’ITALIA CON "DUE PRESIDENTI" DELLA REPUBBLICA (IN "COABITAZIONE"?) CHE GUIDANO L’ITALIA?! Dopo l’attacco di Berlusconi sul Lodo Alfano, il Presidente Napolitano ribadisce: «Il capo dello Stato è un potere neutro, non finzione» - a cura di Federico La Sala

BERLUSCONI CONTINUA A CANTARE LA SUA CANZONE POPULISTICA - IL PRESIDENTE DELL’ "ITALIA" SONO IO: "FORZA ITALIA"!!!, VIVA IL "POPOLO DELLA LIBERTA’"!!!
giovedì 15 ottobre 2009 di Federico La Sala
[...] a un convegno per i cento anni della nascita di Norberto Bobbio
Napolitano: «Nonostante le tensioni proseguo sereno il mio mandato»
Dopo l’attacco di Berlusconi sul Lodo Alfano ribadisce: «Il capo dello Stato è un potere neutro, non finzione» [...]
L’ITALIA (1994-2009), TRE PRESIDENTI DELLA REPUBBLICA, E I FURBASTRI CHE SANNO (COSA SIGNIFICA) GRIDARE "FORZA ITALIA".
"APRITE, APRITE": IL GOLPISMO DEL LUPO, LA PAROLA "ITALIA" CONSEGNATA A UN PARTITO (1994-2009), E I SETTE CAPRETTI. (...)

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> I CENTO ANNI DI NORBERTO BOBBIO ---- Il pessimismo di un illuminista. Esce un Meridiano dedicato ai suoi scritti curato da Marco Revelli (di Adriano Prosperi).

martedì 24 novembre 2009

Esce un Meridiano dedicato ai suoi scritti curato da Marco Revelli

Bobbio, Il pessimismo di un illuminista

Il legame tra giustizia e libertà è il filo rosso delle riflessioni e degli interventi con cui il filosofo torinese accolse via via le sfide che la realtà pose alla sua intelligenza e cultura

di Adriano Prosperi (la Repubblica, 24.11.2009)

Uno spettro si aggira per l’Italia: non il comunismo, regredito ufficialmente a mostro spaventa-bambini da cartoon giapponese. Quello che sembra destinato a levarsi al suo posto si chiama Illuminismo. E’ uno spettro che appare nei sogni di certi uomini di Chiesa, gli unici peraltro a evocarlo per nome, con aggettivi come «bieco», «torvo» e così via, con l’orrore e la determinazione dell’esorcista che affronta il demonio. Roba vecchia, degna degli sberleffi di Gavroche. Ma proprio nel contesto italiano dei nostri anni dominato da rivalse clerico-fasciste si affaccia oggi un illuminista italiano: Norberto Bobbio. Un’ampia selezione di scritti suoi curata con passione e intelligenza da Marco Revelli compone uno splendido Meridiano Mondadori grazie al quale possiamo rileggere una proposta pacata e intransigente di moralità civile e di impegno culturale e capire in che cosa possa riconoscersi un illuminista.

Il caso che governa le cose umane porta in libreria questo imponente volume insieme all’intervista data da Alberto Asor Rosa a Simonetta Fiori. Due voci diversissime, confrontabili solo per via di quelle opposizioni dilemmatiche care a Bobbio. Due testimonianze, tuttavia, di quello che fu e non è più il ruolo civile dell’intellettuale in un paese dove oggi non ci si vergogna a rispolverare la parola di Scelba - «culturame». Fermiamoci a Bobbio: il suo è un illuminismo di metodo e di desiderio. «Vorremmo essere illuministi» scrisse nel 1955. Si professò illuminista ma anche pessimista: non alla maniera di Sebastiano Timpanaro e del suo indimenticabile Leopardi, e tuttavia pur sempre alla scuola di Hobbes, di Machiavelli, di Marx. Quel pessimismo, su se stesso e sul paese dove si trovò a operare, non fu mai dismesso: ma proprio per questo si sentì spinto a non abbandonare mai la fede nella ragione.

«Uomo di ragione e non di fede», si definì nelle ultime volontà. Quella ragione era fatta di fede nell’Italia civile. La «sua Italia» - il titolo da lui scelto per un libro concepito come ultimo - l’aveva imparata alla scuola di maestri e di compagni qui rievocati e raccontati nella prima sezione del volume. Su tutti spicca Piero Gobetti. Il nome di quell’«esile biondo miope ragazzino», come lo descrisse Augusto Monti, ricorre in questi scritti con una frequenza più alta di quella di Machiavelli, appena minore di quelli di Kant, Hegel e Marx.

L’Italia dove si formò era il paese che cancellava le vite e spegneva i pensieri degli oppositori e degli uomini liberi: ma le scintille accese da maestri come Gobetti e da amici come Leone Ginzburg bastarono a Bobbio per illuminargli il percorso in una ricerca intellettuale calata nel vivo dell’azione: «L’ora dell’azione» si intitolò il primo suo articolo, stampato nel settembre 1944 in un giornale clandestino del Fronte degli intellettuali nella Torino occupata. Seguirono quelli sul quotidiano del Partito che si chiamò appunto di Azione, un quotidiano intitolato: Giustizia e libertà. Il binomio inquietò il filosofo della libertà, Benedetto Croce che parlò di «ircocervo», preoccupato che la volontà giacobina di giustizia sociale soffocasse la libertà.

Ma che rapporto ci può essere tra libertà e uguaglianza? Ecco uno dei temi della casistica morale della politica di allora. Aiutano a ricomporre questa casistica i saggi della seconda sezione, intitolata ai «dilemmi etici» posti da questioni come intellettuali e politica, pace e guerra, libertà e uguaglianza. Marco Revelli richiama giustamente l’attenzione sullo stile del pensiero di Bobbio: un pensiero «dicotomico, duale, aporetico», un procedere per dilemmi. Le coppie oppositive si ritrovano nella terza sezione su «le forme della politica» e sono quelle di un dialogo dei massimi sistemi del ‘900: democrazia e dittatura, socialismo e comunismo, destra e sinistra. Il congedo lo danno le pagine di meditazione sulla morte e sul non essere del De senectute, un altissimo breviario morale scritto al termine del secolo come ricapitolazione di una vita e riflessione sui cambiamenti del mondo.

«Uomo di studio, non apolitico ma neppure troppo politicizzato»: così Bobbio si definì nell’autobiografia intellettuale che apre il volume. La distanza dai tumulti verbali e dall’uso strumentale della pagina scritta fu per lui una costante: la si riconosce nell’ironia lieve con cui rispose agli attacchi giornalistici dell’avanzante regime berlusconiano contro le «cariatidi velenose» dei senatori a vita. Ma la sua vigilanza sulla questione dei diritti di libertà fu pronta e severa. Il legame tra giustizia e libertà è il filo rosso delle riflessioni e degli interventi con cui Bobbio accolse via via le sfide che la realtà pose alla sua intelligenza e alla sua sterminata cultura. Un filo che parte da un capo: aveva imparato dal grande maestro di studio e di integrità morale che ebbe per professore, Francesco Ruffini, che «tutte le libertà civili sono solidali» e che una volta ammessa la prima, la libertà religiosa, «non possono non essere ammesse tutte le altre».

E’ una lezione la cui lungimiranza possiamo oggi verificare nell’esperienza dell’attacco congiunto che un ritorno di fiamma clericale e una oscena dittatura televisiva conducono ai fondamenti costituzionali della Repubblica. Oggi da lì si è obbligati a ripartire. Ma non da zero, non dal livello del suolo: è dal sottosuolo che a Bobbio stesso - scrivendone sul Ponte nel gennaio 1994 - parve «uscito l’incantatore plebeo, cui si accompagnano i grandi demagoghi e i grandi mestatori in nome, udite! Della liberaldemocrazia». Si poteva scendere più in basso? Secondo Bobbio, no. Liberi noi di pensare che, almeno qui, lui si sia sbagliato.


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