Inviare un messaggio

In risposta a:
CRISI COSTITUZIONALE. CON LA NASCITA DEL PARTITO "FORZA ITALIA" (1994), NON UNO, MA "DUE" SONO I PRESIDENTI DELLA REPUBBLICA (IN "COABITAZIONE") A GRIDARE: FORZA ITALIA!!! IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE ..... E LA GUERRA DI "FORZA ITALIA" CONTRO L’ITALIA (1994-2009) CONTINUA!!!

VOLONTA’ DI POTENZA E DEMOCRAZIA AUTORITARIA. CARLO GALLI NON HA ANCORA CAPITO CHE, NEL 1994, CON IL PARTITO "FORZA ITALIA", E’ NATO ANCHE IL "NUOVO" PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA. Una sua riflessione - a cura di Federico La Sala

DALLA BULGARIA, IL PRESIDENTE DELLA "REPUBBLICA" DI "ITALIA", DEL "POPOLO DELLA LIBERTA’", RILANCIA LA RIFORMA COSTITUZIONALE E CANTA LA SUA CANZONE: "FORZA ITALIA"!!!
martedì 20 ottobre 2009 di Federico La Sala
[...] Il nuovo discorso bulgaro di Berlusconi è solo apparentemente più conciliante del diktat che sette anni fa attuò una prima pulizia etnica del video. Anzi, contiene elementi per certi versi ancora più inquietanti [...]
ZAGREBELSKY E IL GRANDE SILENZIO SULLA NASCITA DEL PARTITO GOLPISTA DEL FALSO PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ("FORZA ITALIA"). La democrazia delegittimata
ABUSO ISTITUZIONALE DEL NOME "ITALIA" DA PARTE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO: DIMISSIONI SUBITO.
TEOLOGIA-POLITICA (...)

In risposta a:

> VOLONTA’ DI POTENZA E DEMOCRAZIA AUTORITARIA. CARLO GALLI NON HA ANCORA CAPITO CHE, NEL 1994, CON IL PARTITO "FORZA ITALIA", E’ NATO ANCHE IL "NUOVO" PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA. --- Potere/Responsabilità (di Carlo Galli).

mercoledì 1 dicembre 2021

Potere/Responsabilità

di Carlo Galli

Il concetto di Responsabilità - da cui dipende quello di Cura (si ha cura di colui del quale si è responsabili) - ha a che fare con il rispondere: implica cioè una capacità di domanda, e di risposta, dalla quale ha origine il prendersi Cura: è uno sporgersi dei soggetti oltre sé, dapprima nella parola e poi nell’azione, fino all’incontro. Non necessariamente, però, responsabilità implica un diritto di domanda e un dovere di risposta (responsività). Perché tale diritto e tale dovere si diano, è necessario che ci sia la mediazione del riconoscimento.
-  Ad esempio, quando in Genesi 4, 8 Dio chiede ragione a Caino di Abele, Caino si dichiara irresponsabile, non riconosce la propria responsabilità verso Dio, e si rifiuta di rispondere (se non con la sfuggente domanda “sono forse il custode di mio fratello?”). Dio, d’altra parte, in Genesi 9, 5 promette che chiederà conto del sangue versato anche dagli animali (rende così tutto il creato, in particolare l’uomo, responsabile verso di Lui), mentre al contrario si dichiara irresponsabile - si sottrae cioè al dovere di rispondere, è irresponsivo - davanti a Giobbe che gli chiede conto delle proprie sventure; alla sua domanda Dio offre, per tutta risposta, l’esaltazione della onnipotenza divina e la sottolineatura dell’impotenza umana, in un’ulteriore domanda (come aveva fatto Caino, ma ben più diretta e intimidatoria): ubi eras quando ponebam fundamenta terrae?

Caino avrebbe dovuto rispondere a Dio, ma non comprendeva il fon- damento della sua obbligazione: essere responsabile di Abele davanti a Dio implicava anche riconoscere la insopprimibile alterità, paritetica, di Abele. Al Tre (Dio, Abele, Caino), che sarebbe scaturito da un atto di riconoscimento, Caino si è sottratto, rifugiandosi nella logica dell’Uno, del solipsismo. D’altra parte, Dio avrebbe potuto ma non dovuto rispondere a Giobbe, perché chi gli poneva la domanda - Giobbe - non riconosceva, in quel momento, la Sua insopprimibile alterità, e lo riteneva responsabile secondo una logica di causa-effetto, remunerativa e punitiva, autocentrata, che nel caso concreto era del tutto fallace (è Satana che colpisce Giobbe). Se risponde, Dio risponde per Grazia, non per responsabilità.

Se responsabilità è così un dialogo al quale è necessaria la parità fra gli interlocutori (la responsabilità sta insieme alla responsività, da entrambe le parti); se le è pertanto necessario il riconoscimento, cioè quell’autotrascendimento (non però un auto-annullamento) del Sé che rende possibile la relazione con l’Altro, il prendersi Cura alla pari; allora responsabilità è un atto di libertà, un’apertura del solipsismo, dell’interesse rivolto esclusivamente verso di sé. Nel dominio dell’etica questa apertura si dà nella forma del diritto e del dovere, al di fuori delle relazioni di potere, mentre in politica il potere è sicuramente implicato. Se invece la risposta alla domanda accade in modo necessario - non come decisione di apertura - non si tratta di responsabilità bensì di un automatismo, di un riflesso condizionato. Se infine la risposta alla domanda non c’è, allora questa mancanza di relazione è la libertà dell’Anarca, o dello stato di natura.

La questione della responsabilità - la responsabilità come nesso, mediato dal riconoscimento, di questione e risposta, con la conseguente reciproca Cura - va quin- di posta così: a chi, e perché, possiamo fare domande? A chi, e perché, dobbiamo rispondere? Ovvero: chi è responsivo verso chi, e perché? Chi è responsabile di chi o di che cosa, perché? Chi, infine, si prende Cura di chi, a quali fini, con quali limiti e modalità?

È vero che sotto il profilo intellettuale già il mondo antico aveva elaborato la teoria di una responsabilità libera, coincidente con l’umanità; l’affermazione di Terenzio (Heautontimoroumenos, v. 77) homo sum, humani nihil a me alienum puto ne è la prova. Ma, dal punto di vista politico, la responsabilità premoderna si struttura essenzialmente come auctoritas: quella della famiglia, della gens, dell’Urbs, e poi quelle della respublica christiana; in età cristiana, particolarmente, il vertice di un legame sociale organicistico, superiore al singolo, è responsabile davanti a Dio del suo prendersi cura dei sudditi, per farli vivere e per farli crescere secondo la loro ‘vera’ natura. In parallelo a questo dovere di Cura del superiore, il singolo ha solo un dovere di risposta nella forma dell’obbedienza: il potere non può essere interrogato dal basso, e non ha il dovere di rispondere (è responsabile ma non responsivo). -Fino al XVIII secolo il termine polizey esprimeva la logica profonda di questa politica che vede il monarca responsabile per il suddito davanti a Dio; una politica, quindi, che implica la minorità dei sudditi e l’azione politica paternalistica (tanto aspramente criticata da Kant), la censura, ecc.

La modernità, nel suo versante proto-liberale e razionalistico, non è altro che - primariamente - l’idea (e la prassi che ne discende) che la responsabilità vada ridefinita e molto ridimensionata: nessuno ha diritto di rivolgere domande e di ottenere risposta in via autoritativa. Anzi, l’uomo è immaginato autonomo, responsabile di sé: si interroga e si risponde da sé, scegliendo a proprio rischio la propria via, per nulla fissata a priori. Infatti, la modernità è caratterizzata dall’assenza di un Ordine dell’Essere condiviso, di gerarchie riconosciute, di quell’orizzonte comune (e cogente) di civiltà che era il fulcro della responsabilità premoderna. Un uomo solo e isolato, quindi, è quello moderno; che in realtà è anti-Prometeico, poiché rifiuta la grandiose visioni dell’Assalto al Cielo e della redenzione dell’umanità come anche gli interrogativi ultimi che, privi di soluzione, sono solo portatori di angoscia (non a caso nel Leviatano di Hobbes, al XII capitolo, intitolato Della religione, Prometeo, legato al Caucaso, guarda troppo avanti ed è torturato quindi non solo nel corpo ma anche dalla consapevolezza del suo triste futuro).
-  Un uomo attento a sé, alla propria contingenza, che gioca la propria autonomia e libertà contro il paternalismo e l’autorità, ma che non riconosce l’Altro: lo incontra e lo teme, o ne ha fastidio, o ne ha bisogno; ma se ne fa un problema solo esterno, non esistenziale né morale. Anche la filosofia politica moderna, quindi, conosce la responsabilità, ma la interpreta come un’obbligazione che il singolo impone a se stesso, col costruire egli stesso la Legge (la rappresentanza hobbesiana ne è l’esempio più calzante) a cui rispondere. Soprattutto, questa responsabilità è un’obbligazione giuridica che non consiste nel render conto a una persona specifica, a un Altro: si risponde alla Legge, creata dal potere politico sovrano, rappresentante dei soggetti, a sua volta responsivo verso i cittadini - almeno perché da essi legittimato. Anzi, in generale il soggetto moderno è tanto poco sollecitato a uscire dal proprio solipsismo metodologico che rischia di cadere (e la tarda modernità ne è la prova), in quella negazione della responsabilità che è l’informe narcisismo dei consumi.

Il potere politico moderno, da parte sua, non è, di conseguenza, paterno: anzi, è costruito dagli uomini - separati tra di loro (Hobbes) e incapaci di promessa efficace - per uscire dallo stato di natura e per essere protetti sotto il profilo dei diritti naturali (da trasformarsi in civili e politici), ma anche per essere lasciati liberi per ogni altro aspetto. Il potere corre piuttosto il rischio di essere un agire tecnico, che è responsabile tanto quanto un automa (cioè per nulla responsabile); che cioè è responsivo perché obbedisce alla programmazione ricevuta, e nulla più; e che quindi ha Cura dei cittadini nel senso che ne protegge meccanicamente la vita e i beni, come da loro gli è richiesto, sottomettendoli a un’unica legge. Un automa costruito per essere dispensatore di Cura non individualizzata ma universale a priori; e che chiede a sua volta di essere oggetto di una responsabilità solo tecnica, di ricevere cioè le dovute manutenzioni, e di essere utilizzato razionalmente. Questa è la responsabilità ‘verticale’ che esige lo Stato-macchina moderno; mentre la responsabilità ‘orizzontale’ è, all’interno di questa logica, che ciascuno sappia fare oculatamente i propri interessi individuali, ossia non infranga la legge nel rapportarsi agli altri, e sia capace di calcolare ragionevolmente all’interno dello spazio del mercato. L’etica della responsabilità, opposta da Weber (La politica come professione, 1919) a quella della convinzione, è anch’essa impersonale, è un’analisi delle compatibilità sistemiche delle conseguenze delle azioni individuali: è un interesse personale temperato da interesse per un’istanza superiore di valore strutturale (lo Stato e la sua potenza). In generale, nella modernità la responsabilità è personale, è una scommessa su se stessi, è un confrontarsi solitario con la Legge (umana); la responsabilità si estende ad altri soltanto in ambiti non politici (la famiglia) e in circostanze che implicano la incapacità di qualcuno (minore o minorato) di essere responsabile di sé.

Naturalmente, c’è anche un’altra autonarrazione della modernità, più complessa di quella razionalistica, e ad essa alternativa: quella dialettica. Che vede gli uomini non separati tra di loro (e uniti solo artificialmente nella legge) ma relazionalmente interdipendenti in un riconoscimento (tematizzato esplicitamente come tale) che si dà non nell’orizzonte aprioristico del Dio della metafisica, sì nella storia e segnatamente nel lavoro. È da questo e dal potere che scaturisce dalle sue connaturate asimmetrie (le figure fenomenologiche del servo e del signore) che è reso possibile il legame sociale; il potere non è un artificio razionale ma una struttura - inevitabile e al contempo determinata - che attende di essere resa trasparente e umanizzata nella storia dello Spirito (Hegel). In quest’ottica in cui il riconoscimento è un progressivo farsi dei soggetti (un prendersi Cura di Sé e degli Altri) attraverso la dialettica, la contraddizione, la responsabilità è l’interrogarsi e il rispondersi concreto degli uomini, ovvero il loro sfidarsi e confliggere, sempre più consapevole della umana spiritualità del reale; e implica quindi un dovere di emancipazione e di progresso, una responsabilità davanti allo Spirito (che è l’insieme delle relazioni dialettiche di riconoscimento, rese consapevoli). E questo rispondere Sì alla necessità dello sviluppo dialettico dell’umanità, questa responsabilità verso l’avvenire, è, in Marx e nel pensiero che ne deriva, la responsabilità verso il comunismo, e verso la lotta per realizzarlo.
-  Si tratta quindi di responsabilità del singolo verso dimensioni sovrapersonali e progressive, quali sono lo Spirito, la storia e il comunismo (a cui si affianca, in ambito non dialettico, la responsabilità del singolo verso la Nazione - un’altra entità sovraindividuale che però è spesso, anche se non necessariamente, regressiva e arcaica -). Una responsabilità, in ogni caso, verso istanze che da parte loro non sono responsive, che tendono a nullificare il soggetto, riportandolo alla dimensione dell’obbedienza, o della conciliazione col corso del mondo.

L’età moderna nega quindi ogni responsabilità a priori; ma pare destinata a oscillare fra il solipsismo e la tecnica, oppure il riemergere di nuove dimensioni dell’autorità (Legge, Storia, Progresso, Nazione): un’autorità che divide (la legge della tradizione razionalistica) o che unisce (il pensiero dialettico e l’ideologia della nazione), ma che è impersonale e immanente, a differenza di quella della tradizione cristiana. Una responsabilità che non si manifesta verso l’Altro, ma, nel versante dialettico, verso un Assoluto (è qui, semmai, e non nel razionalismo, l’aspetto prometeico del Moderno: una responsabilità priva di concretezza che diviene facilmente un incentivo alla irresponsabilità, all’obbedienza al Partito o al Capo, anche alle estreme inumane conseguenze).

Infine, la modernità può interpretarsi - nel pensiero negativo - come estranea sia al calcolo sia al dialogo; come sottratta a qualsiasi riconoscimento. E come fondata sul rapporto abissale (cioè infondato) amico/nemico (Schmitt), un rapporto che mette in causa il soggetto, il quale non può chiudersi in se stesso e che anzi deve specchiarsi nell’Altro. Anche da questo punto di vista, il pensiero negativo ha l’andamento di un liberalismo rovesciato: là la responsabilità è negata da un individualismo che scivola nel narcisismo; qui è negata da un rispecchiamento, non in sé quanto piuttosto in un Altro che è il nemico, e che quindi non genera alcun legame. Infatti, in questo rispecchiamento nessuno dei due si costituisce come persona, nessuno dei due interroga l’altro, né lo riconosce; piuttosto, si tratta di un muto rispecchiarsi di due enigmi, di due incomprensioni radicali (Der Feind ist unsere Frage als Gestalt). E quindi nel rapporto amico/nemico è implicita un’incompletezza del soggetto che non è autotrascendimento, né apertura; un legame negativo e non razionale che - poiché nulla è in comune - non dà luogo ad alcuna responsabilità né ad alcuna responsività.

      • CONTINUAZIONE NEL POST SUCCESSIVO


Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Titolo:

Testo del messaggio:
(Per creare dei paragrafi separati, lascia semplicemente delle linee vuote)

Link ipertestuale (opzionale)
(Se il tuo messaggio si riferisce ad un articolo pubblicato sul Web o ad una pagina contenente maggiori informazioni, indica di seguito il titolo della pagina ed il suo indirizzo URL.)
Titolo:

URL:

Chi sei? (opzionale)
Nome (o pseudonimo):

Indirizzo email: