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ANNO SACERDOTALE E AFFARI: "IN GOD WE TRUST"!!! NEI TEMPI DI CARESTIA, L’ "EU-CHARIS-STIA" BISOGNA VENDERLA A "CARO PREZZO” (Benedetto XVI, Deus caritas est, SCV 2006)!!!

FIRENZE: DON ALESSANDRO SANTORO, LE PIAGGE, E L’INTERVENTO DELL’ARCIVESCOVO BETORI. Notizie sul caso - a cura di Federico La Sala

La vicenda di don Alessandro Santoro, il parroco delle Piagge rimosso dal suo incarico da Monsignor Betori dopo aver celebrato il matrimonio in chiesa di Sandra Alvino, ex trans con il compagno di una vita, continua ...
mercoledì 11 novembre 2009 di Federico La Sala
[...] LA LETTERA DELL’ARCIVESCOVO - «Cari amici della comunità Le Piagge - scrive Betori - vi ringrazio per l’attenzione che state manifestando alla vita della comunità e alla persona di don Alessandro Santoro, avendo anche presente ciò che questa attenzione ha generato negli anni. Ma non posso trattare il caso che vi riguarda diversamente da come ho sempre impostato il mio impegno nelle nomine e trasferimenti dei presbiteri diocesani, anche quando esse hanno dovuto provocare sofferenze (...)

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> FIRENZE: DON ALESSANDRO SANTORO ... - OBIEZIONE DI COSCIENZA.“Nella mia chiesa comunione anche ai gay”: il prete di strada sfida il vescovo di Firenze (di M. Cristina Carratù)

lunedì 22 ottobre 2012

“Nella mia chiesa comunione anche ai gay”

il prete di strada sfida il vescovo di Firenze

di Maria Cristina Carratù (la Repubblica, 22 ottobre 2012)

Per loro è stato un gesto intimo e silenzioso, ma le gerarchie ecclesiastiche potrebbero prenderlo come una sfida inaccettabile. Si chiamano Ambra, Alice, Silvano, Luciano e Davide, Irene e Cristina, e si sentono «persone qualunque», dicono, anche se «per la Chiesa non lo siamo del tutto».

Per la Chiesa ufficiale, almeno, visto che alle Piagge, quartiere fiorentino di periferia dove l’unico punto di riferimento per tante vite difficili è il Centro sociale Il Pozzo di don Alessandro Santoro, sono di casa, come persone e come credenti. E ieri, nel prefabbricato che ogni domenica si trasforma in chiesa, quando don Santoro ha fatto girare il calice con le ostie consacrate, anche loro, gli «esclusi», hanno fatto la comunione, insieme a tutti gli altri. Offrendo una sponda «al prete che ci ha fatto riavvicinare alla Chiesa», dopo anni di lontananza obbligata in quanto credenti omosessuali, condizione che il magistero bolla come «oggettivamente disordinata» e tale da precludere l’accesso ai sacramenti, in primis l’eucaristia.

Da anni alle Piagge gli omosessuali vengono «accolti», come anche il magistero raccomanda, però qui partecipano ai corsi prematrimoniali per i fidanzati, e possono fare la comunione senza che nessuno pretenda «certificati di omosessualità» con cui escludere dal sacramento i gay dichiarati.

Il clima di ieri, però, dentro la baracca del Pozzo, era decisamente diverso, perché era la prima domenica da quando è stata resa pubblica la seconda delle due lettere su «Chiesa cattolica e omosessualità», dopo quella sullo stesso tema inviata in settembre da tre preti e da una suora fiorentini (don Fabio Masi, don Giacomo Stinghi, suor Stefania Baldini, e dallo stesso Santoro) all’arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori. Il quale, per singolare circostanza, è anche presidente della Commissione per il messaggio finale del Sinodo, dove dovranno trovare una qualche cittadinanza le aperture espresse nei giorni scorsi da alcuni vescovi sui divorziati risposati, anch’essi esclusi dai sacramenti.

Nella lettera, diffusa anche fra i parrocchiani e inviata a tutte le parrocchie di Firenze, i firmatari hanno annunciato di porsi in «obiezione di coscienza di fronte alle norme» del Catechismo della Chiesa sull’omosessualità (richiamate invece da Betori in risposta alla prima loro missiva) «per spingere tutti» hanno spiegato «a riconsiderare quella realtà allargando la riflessione». E ricorrendo a un termine che suona come una sfida al «si faccia purché non si dica» tollerato dalle autorità ecclesiastiche, pronte a scendere in campo quando la trasgressione diventa aperta e pubblica.

Come è avvenuto ieri alle Piagge, con grande soddisfazione di Luciano Tanganelli e Davide Speranza, 50 e 32 anni, sposati civilmente a New York e padri di due gemelli, o Cristina Ciulli e Irene Panzani che è incinta di sei mesi, sposate anche loro all’estero, «tornate in chiesa dopo anni di lontananza grazie a Santoro che ci ha accolto senza se e senza ma», o di Ambra Colacione, studentessa 21enne: «Dopo aver vissuto da piccola una fede convinta, dai 15 anni, quando mi sono dichiarata, ho sentito solo condanna» spiega, «ora finalmente faccio di nuovo la comunione, con uno spirito diverso», di Silvano Santi, anche lui studente, che pone «il nostro problema in un quadro più generale, che riguarda il modo in cui la Chiesa è Chiesa».

Di obiezione di coscienza non si parlava ancora nella prima lettera all’arcivescovo, in cui i tre preti e la suora, citando molti passi biblici, sottolineavano come la Scrittura «offra una cornice più alta» della sola condanna (presa invece a riferimento dal Catechismo) «in cui porre anche questo aspetto della vita», cioè l’omosessualità. E che il «cammino della scienza», la «nuova sensibilità dei credenti» e «l’evoluzione della visione antropologica cristiana» impongono ormai alla Chiesa «di non considerare verità assolute quelle che poi, come è accaduto in passato, dovrà riconoscere come errore».

All’appello al dialogo, Betori aveva replicato non direttamente ai firmatari, come loro chiedevano, ma durante una riunione del clero, ammonendo che «le iniziative personali che si distaccano dalla disciplina della Chiesa universale generano solo confusioni, e fanno oggettivamente male alle persone», e che «la fede, la morale, la disciplina sono patrimonio della Chiesa e non possono essere aggiustate a nostro arbitrio».

Da qui la seconda lettera, e, ieri, «il caso Piagge», di fronte a cui è probabile che le autorità ecclesiastiche non stiano più solo a guardare


’Sacramenti ai gay, pronti all’obiezione di coscienza’

di Maria Cristina Carratù (la Repubblica, 16 ottobre 2012)

«Obiezione di coscienza». È la parola-chiave della nuova lettera - la seconda - inviata la scorsa settimana all’arcivescovo Giuseppe Betori dai tre preti e dalla suora che già ai primi di settembre avevano sollevato, in un testo indirizzato alla massima autorità ecclesiastica fiorentina, la questione dell’accesso degli omosessuali ai sacramenti, in particolare l’eucaristia, sempre negato dalla Chiesa. Una lettera a cui Betori non ha risposto direttamente, come i firmatari avevano chiesto, ma all’ interno del suo discorso al clero all’ eremo di Lecceto, e, riferendosi anche al Catechismo, ribadendo il deciso no della Chiesa ad una apertura.

E adesso, in una seconda lettera all’arcivescovo, don Fabio Masi, don Giacomo Stinghi, don Alessandro Santoro e suor Stefania Baldini tornano sull’argomento con accenti ancora più decisi. Dopo aver chiesto inutilmente la pubblicazione in anteprima del testo («per rispetto dell’ arcivescovo») sul settimanale diocesano Toscanaoggi, hanno deciso di inviare per posta sia la prima, che la seconda lettera, che la risposta di Betori, a tutti i preti e agli oltre 200 consigli pastorali delle parrocchie fiorentine.

La prima volta, Masi, Stinghi, Santoro e Baldini avevano centrato il loro intervento sulla necessità che la Chiesa accettasse di storicizzare e contestualizzare la posizione della Bibbia sull’omosessualità. Lo avevano fatto tenendo conto delle nuove visioni sul tema, anche scientifiche, e soprattutto avevano dichiarato che nelle loro comunità gli omosessuali sono già ammessi alla comunione, nella nuova lettera parlano esplicitamente di «obiezione di coscienza»: non come «disprezzo delle regole», spiegano, ma come «amore e riconoscimento sofferto della comunità di cui uno è parte, aperto anche ad accettare le conseguenze della posizione che ha preso».

Perché, si chiedono i preti e la suora, «in altri campi i capi della Chiesa la onorano e la consigliano, e qualcuno dice addirittura che è la forma più alta di amore e di rispetto della legge», e in questo caso no? «La Chiesa di Firenze, anni addietro», si ricorda, «ha avuto modo di approfondire il senso dell’obiezione di coscienza, e noi siamo figli di quel periodo».

Nella lettera si fa riferimento anche alle parole pronunciate dall’ arcivescovo a Lecceto («L’attenzione alle condizioni delle persone» aveva detto Betori «non può mai portare a un travisamento della verità», la quale deriva dalla «visione antropologica proposta dalla rivelazione», e non lascia spazio a troppi distinguo: «Proprio il bene delle persone richiede sì accoglienza, ma prima di tutto il dono della verità senza confusioni»), per sostenere che «nel cammino della Chiesa non c’è stata una ’visione antropologica’ definita compatta, immutata e immutabile», ma «per grazia di Dio» la visione espressa in certe epoche del passato «si è evoluta ed è cresciuta».

I quattro ne sono convinti: «Noi parlando non rivendichiamo un diritto, ma esercitiamo un dovere: è la Chiesa che ha diritto di conoscere la nostra esperienza». La sfida è aperta, la parola torna all’arcivescovo


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