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USA. ORRIBILE TRAGEDIA NELLA MAGGIORE BASE MILITARE AMERICANA ...

IN TEXAS, UNA STRAGE NELLA BASE MILITARE DI FORT HOOD. UN MAGGIORE MEDICO HA UCCISO 12 MILITARI E NE HA FERITO MOLTI ALTRI. Il presidente Barack Obama ha definito "sconvolgente" quanto avvenuto

Il maggiore Nidal Malik Hasan, un medico specializzato in malattie mentali, ha agito da solo usando un’arma semi-automatica ed alcune pistole (...)
venerdì 6 novembre 2009 di Federico La Sala
[...] Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha definito "sconvolgente" quanto avvenuto oggi a Fort Hood. "Non si conoscono ancora i dettagli - ha detto Obama - sappiamo solo che c’é stata una sparatoria e che molti uomini in uniforme sono stati uccisi, e altri sono rimasti feriti. I miei pensieri vanno alle famiglie. E’ sconvolgente sapere che uomini e donne in uniforme muoiono in territori di guerra, ma è ancora più sconvolgente quando questo avviene in territorio americano" [...] (...)

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> IN TEXAS --- Il maggiore, psichiatra di origine giordana, ha ucciso 13 persone e ne ha ferite 31. E’ sopravvissuto alla sparatoria.

sabato 7 novembre 2009


-  Il maggiore, psichiatra di origine giordana, ha ucciso 13 persone e ne ha ferite 31
-  E’ sopravvissuto alla sparatoria. I testimoni: "Mentre sparava invocava Allah"

-  Texas, strage nella base militare
-  Hasan ha gridato: "Allah è grande"

-  Ancora da chiarire le motivazioni della carneficina. A quanto pare l’omicida
-  non voleva partire per l’Iraq. Obama: "Evitare conclusioni affrettate"
*

NEW YORK - Malik Nidal Hasan, maggiore dell’esercito degli Stati Uniti d’America, professione psichiatra, non partirà più per l’Iraq. E non partiranno più neppure quei tredici ragazzi finiti sotto i suoi colpi: uccisi, sterminati nel Soldier Readiness Facility, il centro medico di Fort Hood, Texas. Ma a differenza di quei ragazzi, Malik, l’autore della strage che ha fatto ripiombare l’America nell’incubo del terrorismo, non morirà. Non per ora. "La sua morte non è imminente": ha detto proprio così il generale Bob Cone, "non è imminente", nell’ultima, incredibile conferenza stampa di una giornata d’inferno. L’ultimo colpo di scena.

Il killer di Fort Hoods non è morto. La rivelazione arriva più di sei ore dopo la strage, nella notte americana, quando tutti i giornali del mondo hanno già mandato in stampa la notizia dello psichiatra-killer ucciso. Invece Malik è vivo e nelle mani della polizia. Ma ormai c’è poco da scoprire. "Non voleva partire per l’Iraq", dicono i suoi amici alla base. Il colonnello Terry Lee, che ha lavorato con lui, racconta che il maggiore sarebbe stato spedito in Iraq. E che per quell’ex ragazzo single di 39 anni, musulmano religiosissimo, americano di origine giordana, ormai era diventata un’ossessione: Barack Obama ci porterà fuori da qui, il presidente ci porterà fuori dalla guerra.

Il maggiore che non voleva andare al fronte ha fatto una strage impugnando due pistole: fuoco sui soldati, fuoco sui civili, fuoco sui poliziotti. Spara, dicono i testimoni, urlando: "Allah Akbar", Allah è grande. Forse un’ultima invocazione nel momento in cui sapeva di dover morire. Quando un’agente riesce a colpirlo è la fine dell’incubo, di quella "terrificante esplosione di violenza", come la definisce il Comandante in Capo dell’esercito Usa, il presidente Barack Obama. La Casa Bianca in contatto con il Pentagono, mobilitato l’antiterrorismo. Allarme altissimo in tutte le basi militari Usa. Si ferma il Congresso in un minuto di silenzio. Il governatore del Texas, Dick Perry, ordina bandiere a mezz’asta. Tutta l’America paralizzata davanti alle tv. Oggi, comunque, davanti a un Paese terrorizzato all’idea di un rigurgito di terrorismo interno, lo stesso presidente ha invitato "a evitare conclusioni affrettate" sulla vicenda. Come dire, di non dare troppo peso all’ipotesi terrorismo.

Tredici vittime, 31 feriti: una carneficina. Tra quelli in pericolo di vita c’è anche Kimberly Munley, la poliziotta che, unica, ha avuto il coraggio di intervenire e ha sparato quattro proiettili contro il folle maggiore. Le prime voci l’hanno data per morta, adesso le autorità militari fanno sapere che Kim è sempre grave ma è stata "stabilizzata". Insieme alle notizie sulla sua salute arrivano anche elogi per la sua prontezza e la sua abilità. In soli tre minuti dall’allarme, la donna è arrivata nell’edificio, ha capito cosa stava succedendo e chi era l’assassino ed ha agito di conseguenza.

Fort Hood è una delle basi militari più grandi del mondo, la casa dei soldati che stanno per partire per l’Afghanistan e per l’Iraq. "Questa è un’esecuzione, un’azione deliberata, predeterminata" dice il generale Robert Scales, l’esperto militare della Fox. Ha ragione: ma non ci sono complici, non c’è il commando.

L’Fbi prima esclude la pista del terrorismo, poi la notizia del nome dell’attentatore riapre scenari inquietanti. C’è chi fa circolare il sospetto che si tratti di un americano che avrebbe cambiato il suo nome dopo essersi convertito all’Islam. Era uno psichiatra. Era stato riassegnato al Forte recentemente. Sarebbe dovuto partire per l’Iraq. Aveva passato sei anni al Walter Reed, l’ospedale militare più famoso d’America. Le ultime valutazioni non erano per niente buone, anzi.

La sparatoria si scatena nel centro medico dove vengono svolti gli ultimi accertamenti prima della partenza. A poca distanza c’è l’Hozwe, il teatro della base: c’è una cerimonia di fine corso. Nel Forte scatta lo stato di assedio. Il presidente viene avvisato, interviene in una conferenza stampa: "Non conosciamo ancora i dettagli, c’è stata una sparatoria, molti uomini in uniforme sono stati uccisi, altri feriti: è sconvolgente sapere che uomini e donne in uniforme muoiono in territori di guerra, ma è ancora più sconvolgente quando avviene sul territorio americano".

La base di Fort Hood è un pezzo di storia d’America, una struttura che risale alla seconda guerra mondiale trasformatasi in una vera e propria città militare, più di 30mila le persone ospitate tra soldati e familiari, centri commerciali, un teatro, un campo di softball. Fort Hood si trova a metà strada, cento chilometri, tra Austin e Waco, la città tragicamente famosa per il suicidio di massa della setta dei davidiani. Faizul Khan, l’ex imam della moschea di Silver Spring, se lo ricorda bene quel ragazzo che si lamentava di non trovare una moglie. Ma nessuno - come sempre in questi casi - avrebbe mai sospettato questo orrore.

© la Repubblica, 6 novembre 2009


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