Piazza Fontana: ora niente segreti
Quasi mezzo secolo dopo si sa tutto ma non ancora abbastanza. Adesso è ora di cambiare strada
di Gigi Marcucci (l’Unità, 12.12.2013)
Sapere che il gruppo veneto che ruotava intorno a Franco Freda e Giovanni Ventura fu responsabile, almeno sul piano storico, dei ventidue attentati che squassarono l’Italia nel 1969, ivi compresa la strage del 12 dicembre alla Banca dell’Agricoltura di Milano, conferma le intuizioni di chi non credette alla pista anarchica prefabbricata dai servizi segreti; contribuisce o almeno così si spera ad attrezzare istituzioni e opinione pubblica per il futuro; ma lascia del tutto inevasa la richiesta di giustizia.
Oltre naturalmente a suggerire riflessioni poco ottimistiche sullo stato della democrazia nel nostro Paese. Una bomba, diciassette vittime, una novantina di feriti. Quasi mezzo secolo dopo, si sa tutto ma non si sa ancora abbastanza. Si conosce la matrice ideologica e organizzativa dei fuochi che cominciarono a divampare in quella primavera. Si sa che quattro anni prima, durante il convegno promosso dall’Istituto Pollio, strana associazione molto legata ai vertici militari dell’epoca, si cominciò a parlare di guerra psicologica. Un Ufficio governativo della Guerra Psicologica era stato caldeggiato da uomini delle Forze armate, ma la Dc, all’epoca avviata al primo esperimento di centrosinistra, aveva lasciato cadere la proposta. che lo ha spiegato il professor Aldo Giannuli, storico e consulente di molti magistrati che hanno indagato sulle stragi dei primi anni Settanta avrebbe alterato profondamente gli equilibri democratici, mettendo nelle mani dei militari parte della Presidenza del consiglio e di numerosi ministeri chiave.
Il principio proposto dall’Istituto Polio era di estrema semplicità. Von Clausevitz aveva spiegato che la guerra era la prosecuzione della politica con altri mezzi. I promotori dell’iniziativa sostenuta finanziariamente dall’Ufficio “R” del Sid, quello da cui, si sarebbe scoperto, dipendeva Gladio capovolsero la massima: era la politica a costituire un appendice, non necessariamente pacifica, della guerra. Secondo storici e magistrati, fu quel convegno a gettare le basi del conflitto “a bassa intensità”, oggi conosciuto come strategia della tensione, che cominciò a lasciare cicatrici profonde nella storia del nostro Paese.
Quattro stragi tra il ‘69 e l’80: piazza Fontana, Brescia, treno Italicus, Bologna. Azioni di una guerra mai dichiarata di cui oggi bisognerebbe sapere di più. Se non altro, perché una sanguinosa appendice di quella stagione ci fu all’inizio degli anni Novanta, con le stragi di mafia, e il significativo intermezzo, nel 1984, della strage del rapido 904, per cui è stato condannato con sentenza definitiva Pippo Calò, boss mafioso legato alla Banda della Magliana e all’estrema destra romana.
In nessun processo per strage è stato posto il segreto di Stato. Lo stop del potere politico è scattato in procedimenti contigui, bloccando verità, in alcuni casi (pochi) rivelate in minima parte, molti anni dopo, dagli stessi imputati di allora. Se non fossero scattati quei semafori rossi, oggi forse avremmo le idee più chiare. Sapremmo con maggiore precisione quali strategie, ed elaborate da chi, armarono la mano degli attentatori. Oppure avremmo la certezza ma le carte processuali vanno purtroppo in un tutt’altra direzione che questi si mossero autonomamente, che non ci furono cospirazioni ma solo follia omicida.
Quello del segreto di stato è un coperchio bucherellato. Difficilmente blocca del tutto la visuale su ciò che bolle in pentola, ma non permette di capire se si tratta di minestra o veleno. A metà degli anni Settanta fu Andreotti a opporre il segreto di Stato per il cosiddetto golpe bianco, su cui indagava l’allora giudice istruttore Luciano Violante. Nel 1985, il presidente del Consiglio Bettino Craxi scomodò il segreto per Augusto Cauchi, terrorista nero fatto espatriare nel 1974 dal SID, finanziato da ambienti molto vicini a Licio Gelli e sospettato per gli attentati ai treni.
Ancora Craxi bloccò le indagini sul comportamento del Sismi che, dopo aver recuperato in Uruguay l’archivio di Gelli, decise di restituire alle autorità sudamericane alcuni i fascicoli. Quando, molti anni dopo, Gelli fu condannato con sentenza definitiva per aver depistato, insieme a ufficiali del Servizio segreto militare, le indagini sulla strage alla stazione di Bologna, molti pensarono che bisognava smettere di proteggere certi segreti.
Ma la linea dei governi, quali che fossero i loro colori, non cambiò molto. Persino sulle rivelazioni di Carmine Schiavone, boss della camorra, è calato nel ‘97 il sudario del segreto di stato (governo Prodi). Così, per molti anni, si è fatto finta di ignorare ciò che tutti sapevano e che alcuni giornalisti avevano già raccontato: che nel suolo della Campania erano interrate tonnellate di rifiuti tossici, che molte persone potevano morire di cancro. La lezione di piazza Fontana, 44 anni dopo, potrebbe in fondo essere molto semplice: è ora di cambiare strada.