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Petra Reski, giornalista tedesca, tra le maggiori esperte di mafie italiane all’estero, scrive di "La società sparente"

’NDRANGHETA: Bloß Worte - Solo parole - di Petra Reski

La mafia non è un problema esclusivamente italiano né un affare di coppole e di realtà arretrate del sud Italia, ma un problema europeo - Petra Reski
mercoledì 31 marzo 2010 di Francesco Saverio Alessio
06. November 2008
Lasst uns gegen die Angst und gegen die Mafia kämpfen - schreiben die beiden kalabrischen Journalisten Francesco Saverio Alessio und Emiliano Morrone, die das Buch “La Società Sparente” verfasst haben, das die Verbindungen zwischen der kalabrischen ‘Ndrangheta, der kampanischen Camorra und den Freimaurern aufdeckt. Seither werden sie von der Mafia bedroht, verklagt, beleidigt, eingeschüchtert. “Und es wird noch weitere Beleidigungen, Klagen, Drohungen (...)

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> CONSIDERAZIONI A MARGINE DELLA MANIFESTAZIONE DEL 5 GENNAIO SCORSO

venerdì 15 gennaio 2010
Faccio alcune brevi considerazioni a margine della manifestazione del 5 gennaio scorso. Considerazioni che vanno oltre il fatto in sé, ma cercano di disvelare alcune delle dinamiche che la sottendono e che caratterizzano la vita pubblica sangiovannese. Credo, e lo dico in maniera non polemica ma critica e costruttiva, che servono a poco i “Grilli del Pigneto” di Roma se mancano poi i “guagliuni e ra Vianova Suttana” di San Giovanni. Se infatti alla manifestazione hanno partecipato associazioni, movimenti provenienti da diverse parti d’Italia, di fatto non vi hanno aderito i sangiovannesi. Il 5 gennaio non ero in Calabria perché già ripartito per l’Umbria ma, dalle foto, dai video che ho visto e dal resoconto avuto da chi alla manifestazione ha partecipato, sembra piuttosto evidente che la presenza, in termini numerici, della cosiddetta società civile sangiovannese è stata scarsa. Quali considerazioni trarre? Non penso innanzitutto che si possano stabilire, o trovare, risposte certe:una manifestazione di piazza è un fatto umano e, come tutti i fatti umani, è incerta, spiegabile fino ad un certo punto. È illusorio raggiungere risposte incontrovertibili. Credo però, molto modestamente, che il fallimento del 5 gennaio indichi una cosa:il mancato radicamento sociale di un’opposizione politica e ideale al sistema di potere presente a San Giovanni in Fiore. C’è poco da dire:l’allegra banda bassotti, capeggiata dal Lupo Mario e dal Baffo più sorridente d’Italia, comanda, gestisce, intrallazza perché ha consenso. Ora, possiamo chiederci di quale consenso si tratta, su cosa si basa, da dover scaturisce, ma il consenso esiste. Anche se, più che consenso, sarebbe, forse, più opportuno parlare di adesione acritica ad un sistema di potere. Non sto qui ad analizzare perché un paese ormai alla deriva economica e sociale dia ancora legittimità ad una parte importante degli artefici di quella stessa deriva. Mi chiedo perché, in che modo, non si è avuto finora un cambiamento di rotta. Mi chiedo, fra le altre cose, come è stato possibile non riuscire a trovare, in questi anni, la falla giusta per incunearsi dentro le crepe dell’organizzazione politica-elettorale che gestisce San Giovanni in Fiore. Magari quando si è troppo presi dalla foga critica ci si smarrisce, si finisce per essere acritici con se stessi, il proprio operato, non riuscendo ad imboccare la strada giusta o almeno quello meno accidentata. E allora facendo una breve ricognizione nel nostro recente passato, e suggerendo alcune linee di analisi percorribili, penso al nostro movimento “Vattimo per la città”, una delle esperienze politiche che ha portato brio e vivacità nella nostra vita pubblica. Penso alla bella realtà che è la “Voce di Fiore”, alle sue prime pubblicazioni cartacee e all’attuale notiziario on line. Penso alla “Società sparente” di Emiliano e Saverio. Credo fermamente che sono stati, e continuano ad essere, fatti postivi, di indubbio valore. Mi chiedo però, riallacciandomi così all’osservazione iniziale che proponevo sulla manifestazione del 5 gennaio: si poteva fare di più, si poteva fare diversamente? Sicuramente si. Ripercorrendo alcune fasi, alcuni momenti che si sono via via susseguiti dal 2005 in poi mi fa riflettere, ad esempio, come Ida Diminijanni si pronunciò sulla nascita di “Vattimo per la città” dalle pagine del “Manifesto”. Parlava della nostra lista con accenti messianici, quasi fossimo la salvezza non solo per San Giovanni ma per la Calabria intera. Mentre in realtà eravamo un ristretto gruppo di persone che con molta fatica, coraggio e abnegazione, sfidava da solo coalizioni di partiti e cercava fiducioso l’appoggio della gente. Un’idea allora animava le discussioni della parte più attiva del nostro movimento: quella cioè di continuare la nostra esperienza anche dopo le votazioni e a prescindere dal risultato ottenuto. Alla fine arrivammo a cogliere un solo consigliere: il candidato a sindaco, Gianteresio Vattimo detto Gianni,che poi lasciò l’incarico a Marco Militerno, il più votato tra tutti noi candidati in lista. Molti sollecitarono Marco affinché non si “tagliasse il filo”: bisognava mantenere vivo il dialogo, per far sì che potesse essere lui la voce di tutti noi dentro il consiglio comunale. Non è stato così, nel senso che Marco ha svolto con onestà e puntiglio il suo compito, viaggiando su e giù da Bologna, ma alla fine più che la voce di “Vattimo per la città” è stato la voce isolata di “Militerno per la città”. Il punto è allora questo (e non voglio ergermi a pronunciare sentenze inappellabili ma solo animare, se ci sono le condizioni, un dibattito):il cambiamento,il rinnovamento, deve avere come protagonisti principali, e indispensabili, coloro che risiedono e vivono stabilmente a San Giovanni in Fiore. Il contributo della “diaspora”, di chi, per forza di causa maggiore, vive e lavora fuori è prezioso, ma la base viva, pulsante di ogni progetto di crescita sana, moralmente necessaria, deve, per forza di cose, arrivare dal di dentro, da chi si ritrova a respirare a San Giovanni in Fiore l’aria bassa e asfissiante delle fredde e uggiose serate di fine novembre. Questo aspetto è stato sottovalutato. Si è dato per scontato che, per utilizzare un’espressione mutuata dalla grammatica marxista e gramsciana, una minoranza attiva, seppur lontana e “straniera”, attraverso un’opera di egemonia cultura potesse ottenere, come ineludibile corollario, un maggioranza di uomini e donne del posto pronti a seguirla. Così non è stato e così, credo proprio, non potrà essere. Domenico Barberio

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