le esequie di De Rosa
Il cardinale Silvestrini: «Ha avuto il coraggio della verità»
DA ROMA GIOVANNI GRASSO (Avvenire, 11.12.2009)
« Vorrei riuscire a morire oggi o domani con la semplicità e tranquillità di una fede divina», scriveva Gabriele De Rosa nel suo diario del 26 marzo 2001. E queste parole sono state scelte dalla famiglia del grande storico cattolico, scomparso l’8 dicembre scorso - nel giorno anniversario di matrimonio -, per il libretto della messa funebre, celebrata ieri mattina nella Chiesa di Sant’Agostino, a poche centinaia di metri dalla sede dell’Istituto Sturzo che per De Rosa era una seconda casa.
Sull’altare maggiore, a officiare, il cardinale Achille Silvestrini. Concelebravano i vescovi di Terni Vincenzo Paglia e di Piazza Armerina Michele Pennisi, con numerosissimi sacerdoti, tutti legati da amicizia e stima al professore scomparso. Una funzione «semplice e tranquilla» che al Professore sarebbe piaciuta.
Il feretro era circondato da fiori bianchi, il simbolo dei cattolici democratici. Tra questi spiccava il cuscino a fiori rossi dell’Istituto Gramsci. Accanto ai familiari - la moglie Sabine, che l’ha accudito con amore e dedizione fino alla fine, i figli e i nipoti - molti politici cattolici, di ieri e di oggi: i senatori a vita Andreotti e Colombo, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Letta, il vicepresidente del Csm Mancino. Poi Forlani, Gerardo Bianco, Signorello, Treu, Garavaglia, Segni, Ciccardini, Mazzotta (successore di De Rosa alla presidenza dell’Istituto Sturzo), Jervolino, Duilio, Parisi, Morgando, Selva... Molti altri, trattenuti alla Ca- mera per le votazioni sull’autorizzazione all’arresto di Cosentino, avevano fatto mercoledì visita alla camera ardente. Ma non hanno fatto mancare, ieri in aula a Montecitorio, l’omaggio deferente, osservando un minuto di silenzio in piedi, dopo un breve ricordo di Pierluigi Castagnetti.
Ma la schiera più nutrita in chiesa era quella degli storici, la categoria a cui De Rosa sentiva di appartenere sopra ogni altra: colleghi, amici e allievi di tre generazioni. Tra questi Fonzi, D’Addio, Monticone, Malgeri, Ignesti, Riccardi, Casula, Giovagnoli, D’Andrea e molti altri. In un angolo, lo stendardo glorioso dei Granatieri di Sardegna, sotto le cui insegne De Rosa combattè a El Alamein e un gruppetto di granatieri con il caratteristico colletto rosso fuoco. E, ancora, il personale visibilmente commosso dell’Istituto Sturzo, tanti amici ed estimatori.
Nella sua omelia, Silvestrini ha parlato di De Rosa come di una «personalità gigantesca» e ha voluto mettere in luce «gli aspetti morali» della sua esistenza, citando «il coraggio della verità negli studi» e la «presa di coscienza della grave situazione dell’Italia degli anni Quaranta», con la decisione di far parte della Resistenza romana. Una scelta che, ha ricordato il cardinale, De Rosa considerò sempre centrale e decisiva in tutti i momenti della sua vita successiva, segnati dall’impegno accademico, culturale e politico. Monsignor Paglia ha aggiunto: «La fede di Gabriele nel Signore non era una scelta periferica, ma era al centro del suo cuore».