«No al carrierismo e alle leggi su misura
I politici servano lo Stato, non lo usino per sé»
«Io oggi di eredi di Sturzo in giro ne vedo pochissimi». Lo affermava Gabriele De Rosa a Giovanni Grasso, nella sua ultima intervista su questo giornale il 18 gennaio scorso: «Molti dicono di ispirarsi a lui, anche se non hanno mai letto un suo libro. Sturzo è stato il protagonista di una stagione politica che resta irripetibile, quella dell’ingresso dei cattolici italiani nella vita democratica del Paese».
In quell’ultimo dialogo, lo storico campano sottolineava come dalla vita di don Sturzo «ci vengono ancora tanti elementi attualissimi, capaci di indicare una direzione alla politica di oggi, smarrita, povera di ideali».
In particolare De Rosa indicava due gli insegnamenti sturziani per il mondo politico odierno, cattolico e no: «Primo, lo strettissimo legame tra politica e morale, non solo sul piano della difesa dei valori cristiani ma anche come rifiuto di ogni machiavellismo».
Secondo, «la capacità straordinaria di tradurre i valori in proposte concrete, capaci di parlare a tutti gli uomini ’liberi e forti’».
De Rosa in quel colloquio si mostrava preoccupato del «forte calo di tensione etica che sembra attraversare le classi dirigenti del nostro Paese: personalismi, leggi su misura, corruzione, clientelismo, difesa degli interessi particolari, carrierismo. Sturzo ci ha insegnato ad amare le istituzioni democratiche, i loro compiti, le loro funzioni; e prendere atto dei loro limiti. Questo è un monito costante per i politici che a volte tendono a servirsi dello Stato più che a servirlo».
De Rosa metteva poi in risalto la «modernità» del fondatore del Partito popolare: «Se si leggono i suoi 12 punti programmatici del 1919 si rimane sorpresi per la lucidità di quelle proposte: la difesa della famiglia e di insegnamento unita alla lotta contro l’analfabetismo. Quindi il riconoscimento delle organizzazioni sindacali, la legislazione sociale e per il lavoro, il Mezzogiorno, l’autonomia degli enti locali e il decentramento amministrativo. Infine l’indicazione di un ordine internazionale basato su un organismo sovranazionale».
La scomparsa
De Rosa: Il patriarca «popolare»
di Giovanni Grasso (Avvenire, 9 Dicembre 2009)
È morto ieri nella sua casa romana lo storico ed ex senatore Gabriele De Rosa. Aveva 92 anni. La camera ardente è allestita all’Istituto Luigi Sturzo, in via delle Coppelle a Roma. I funerali avranno luogo luogo domani alle 11,30 nella Chiesa di Sant’Agostino, officiati dal cardinale Achille Silvestrini.
Per Gabriele De Rosa cultura e impegno civile erano strettamente connessi. E, forse, per un uomo dal carattere e dalla biografia battagliera, era l’unico modo di vivere la vita pienamente e senza rimpianti. Ufficiale dei granatieri a El Alamein, membro della Resistenza nella Roma occupata dai nazisti, primo biografo "autorizzato" da don Luigi Sturzo, di cui raccolse dalla viva voce le memorie e i ricordi, portava in quell’ambiente accademico, di cui era membro e protagonista, una passione civile, un’attenzione al tempo presente, un’analisi profonda e un amore per i poveri e i perseguitati davvero unici. Pur essendo un frequentatore di archivi e un ricercatore finissimo e rigoroso, tutto in lui era così distante dallo stereotipo del topo di biblioteca, prigioniero di carte e documenti. Anche a livello fisico: corporatura imponente, sguardo severo, andatura fiera, voce baritonale. Per non parlare del suo carattere: uno spirito forte, libero, indipendente, profondamente ironico, spigoloso a volte, ma capace di momenti di grandissima dolcezza.
Non fu dunque un caso che da giovanissimo riuscì a imporsi nell’ambiente accademico in anni in cui nelle università dominava l’egemonia comunista: e, non avendo una scuola alle spalle, divenne rapidamente lui stesso un caposcuola. Insieme a pionieri come Fausto Fonzi e Pietro Scoppola restituì alle vicende del movimento cattolico italiano, per molti anni trascurate dalla storiografia, il ruolo e la dignità che a esse spettano nella storia italiana. E se nel mondo cattolico c’era chi si lamentava che i manuali di storia dei licei erano tutti orientati a sinistra, De Rosa non si associava ai piagnistei e rispondeva alla sua maniera: scrivendone lui uno.
Fu dunque naturale per lui, ex cattolico-comunista "convertito" dall’incontro folgorante con Sturzo al cattolicesimo democratico, seguire con interesse e passione le alterne vicende politiche italiane e della Dc. Schierandosi, da uomo libero e mai da gregario, con le componenti della sinistra democristiana più attente all’evoluzione della politica, alle riforme sociali e ai temi del rinnovamento. Battendosi per il dialogo, ma erigendo sempre un muro di intransigenza nei confronti del decadimento morale, del malcostume, della corruzione e della contiguità tra politica, mafia e poteri occulti.
Per De Rosa, che da intellettuale aveva collaborato strettamente con Aldo Moro - preparandogli, tra l’altro, la traccia per il famoso e bellissimo discorso in memoria di don Sturzo tenuto al teatro Eliseo nel 1959 - la candidatura al Senato, nelle liste della Dc, nel 1987, fu quasi uno sbocco obbligato. Erano i tempi in cui, a Palazzo Madama, lo scudocrociato faceva eleggere un piccolo numero di intellettuali cattolici, i cosiddetti esterni. De Rosa, che si trovò subito a fianco di personalità come Roberto Ruffilli, Niccolò Lipari, Leopoldo Elia, non era però un esterno. Ma, a ben vedere, nemmeno un interno. Già in quegli anni la sua forza, il suo prestigio, la sua competenza andavano ben oltre lo schieramento a cui pure, con convinzione, apparteneva. Era, davvero, un monumento vivente.
Lo conobbi in quegli anni, giovane praticante giornalista alla Discussione, il settimanale della Dc. Flavia Nardelli, segretario generale dell’Istituto Sturzo, di cui De Rosa era presidente, mi propose di occuparmi dell’ufficio stampa di un convegno, fissandomi un incontro con il Professore. La figura di De Rosa era circondata da un’aura di timore. Entrai nella sua stanza trepidante.
Mi scrutò, con quell’inconfondibile espressione tra il burbero e il bonario, mi indicò una sedia e cominciò a chiedermi notizie sulla Dc. Contrariamente alle aspettative era affabile ed estremamente cordiale. Ma la cosa che mi stupì di più era che avesse perso molto tempo (la conversazione durò più di un’ora) ad ascoltare le opinioni di un giovane alle prime armi. Lui era fatto così.
La crisi di Tangentopoli, la decimazione giudiziaria della classe dirigente democristiana, obbligò De Rosa a impegnarsi ancora più a fondo nella politica attiva. Fu proposto per l’incarico, faticoso e, in quella stagione tormentata, delicatissimo di presidente dei senatori democristiani. Un ruolo che non avrebbe mai cercato, ma che accettò con spirito di servizio, mostrando equilibrio, competenza, onestà e altissima dignità in un momento in cui tutto gli stava franando intorno. Di lì a poco la Dc, dopo aver eletto segretario Mino Martinazzoli, chiuse i battenti.
Sulle sue ceneri rinacque il Partito Popolare Italiano, che avrebbe dovuto rappresentare il meglio della tradizione politica cattolica, depurata dalle scorie di troppi anni di permanenza al potere. De Rosa si buttò a capofitto, con entusiasmo, nella nuova impresa. E aprì le porte dell’Istituto Sturzo al battesimo ufficiale della nuova formazione politica, di cui divenne presidente. Come sappiamo, il secondo Ppi ebbe vita breve e travagliata. In quel periodo i contatti tra il Professore e me, cronista parlamentare, si intensificarono notevolmente.
Ricordo come fosse oggi quando, deferito ai probiviri e sospeso dal partito per aver appoggiato Gerardo Bianco contro Buttiglione, si sfogò amaramente con me in Transatlantico. E qualche tempo dopo mi disse: «Abbiamo fatto lo stesso errore, quello di considerare possibile la rinascita di un partito sturziano in Italia, dove di personalità come Sturzo ormai non ce n’è nemmeno l’ombra».
Amareggiato dalle successive vicende politiche, che considerava una vera involuzione della democrazia italiana, uscì dalla vita parlamentare. Ma non per questo smise di fare politica. Con due obbiettivi principali: difendere la figura unica e irripetibile di don Luigi Sturzo dai ricorrenti tentativi di appropriazione indebita; combattere il revisionismo storico di chi voleva negare, in toto, la dignità e il valore etico della Resistenza. Di fronte a questi atteggiamenti il vecchio e leone di El Alamein tornava a ruggire con la forza di sempre.
Giovanni Grasso
E la storia religiosa salì in cattedra con lui
L’esperienza giovanile fascista, il travaso nel Pci all’«Unità», l’incontro con il fondatore del Ppi tramite don De Luca
La passione per la ricerca, «analisi dell’umanità»
Studiò il Veneto «bianco» di Fogazzaro. Per molto tempo diresse l’«Istituto Don Sturzo» di Roma Geniale la sua idea di una ricerca «integrata» tra economia, cultura e anche spiritualità
di ANTONIO AIRÒ (Avvenire, 09.12.2009)
Aveva poco più di 35 anni Gabriele De Rosa quando, nel 1953, uscì presso l’editore Laterza una corposa Storia politica dell’Azione Cattolica , che si dipanava dal 1870 con la «questione romana» fino al decennio giolittiano del primo Novecento.
Un’opera che «pur alimentata da un forte fervore polemico - come affermò in un suo profilo biografico lo stesso storico morto ieri a 92 anni - ebbe il merito di superare, con questo tentativo, l’isolamento storiografico che fino ad allora era stato riservato al movimento cattolico». De Rosa arrivava alla storia dopo una giovanile militanza nel Fascio di Alessandria, con articoli sul giornale locale a sostegno delle leggi razziali. Poi venne la partecipazione, come ufficiale dei granatieri, alla guerra in Africa di cui è testimonianza il taccuino La passione di El Alamein (Donzelli editore), «fitto di amor di patria dalla prima all’ultima pagina... Quella sanguinosa sconfitta apriva uno scenario diverso per il futuro dell’Italia».
Ancora più tardi c’è stata la Resistenza, l’adesione al Pci, il lavoro giornalistico all’Unità... Quindi De Rosa imboccava la strada della storia: «Le velleità letterarie si erano spente, mentre i miei interessi si indirizzavano alle fonti della storia contemporanea». Il lavoro sull’Azione Cattolica, che avrebbe visto in rapida successione il suo seguito ne La storia del Partito popolare e in una nuova edizione del primo volume «rafforzato da uno scavo archivistico quasi del tutto inedito», poneva al centro della sua ricerche le vicende dell’Opera dei Congressi attraverso lo studio di uno dei suoi protagonisti, Giuseppe Sacchetti, veneto come Giovan Battista Paganuzzi, entrambi «arroccati alla parrocchia e al mondo rurale... Ma c’è anche il Veneto, signorile e distaccato, prudente e inquieto, sottilmente tormentato da sete di religiosità cosmica, di Antonio Fogazzaro». E c’era a Vicenza il mondo degli imprenditori Rossi e Lampertico, che mette insieme senza rotture «campanile e fabbrica».
Le vicende del Partito popolare e il ruolo di Sturzo non potevano che essere il punto di arrivo del percorso scientifico di Gabriele De Rosa. Ma, man mano che scavava negli archivi e acquisiva documenti, cresceva nello studioso l’esigenza di una storia «integrata» nella quale «cultura, pratica religiosa, economia, istituzioni non sono comportamenti specialistici a sé, ma componenti, vasi comunicanti di una medesima realtà di scienza storica, che è quella in ultima analisi dell’umanità».
Di questa visione globale, e non solo politica, sono gli studi e i saggi di storia sociale e religiosa d’Italia e i profili di vescovi, colti nella loro attività pastorale, che costellano la sua produzione scientifica o che sono da lui stimolati (attraverso anche il «Centro studi per la storia della Chiesa nel Veneto nell’età contemporanea» da lui fondato a Padova nel 1966) e che trovano in diverse case editrici il loro canale divulgativo.
Essenziale per De Rosa è a Palazzo Lancellotti, dove hanno sede «Le Edizioni di Storia e letteratura», la conoscenza e la frequentazione di don Giuseppe De Luca «sacerdote di una pietà rarissima e di un amore profondo, spesso struggente per la Chiesa». È tramite questo «prete romano» - come amava definirsi - che lo storico del movimento cattolico conosce don Sturzo. Il fondatore del Partito Popolare cercava un giovane che facesse per lui ricerche. «De Luca gli fece il mio nome, spingendomi così nell’agone e il 15 maggio 1954, nel convento delle suore canossiane, ebbi il primo dei miei incontri con Sturzo».
Del sacerdote di Caltagirone, De Rosa, docente di storia contemporanea in diverse università, sarebbe divenuto il biografo esauriente (come emerge nel libro edito dalla Utet) vivendo con passione - ma questa non incide sul rigore dello storico - i tanti incontri tradotti nel volume Sturzo mi disse (edito da Morcelliana) che consentono di leggere in modo più compiuto l’esperienza politica del fondatore del Partito Popolare; compresi nel dopoguerra gli aspetti critici di non poche scelte della stessa Dc. «In questi colloqui - scrive lo storico - il popolarismo non mi apparve più come una pura propaggine della storia del movimento cattolico, anche se indubbiamente i rapporti con questa storia erano evidenti, ma il progetto sturziano di partito ne usciva fuori per la sua capacità di inserirsi modernamente nella storia della società italiana».
La presidenza per lunghi anni dell’Istituto «Luigi Sturzo» avrebbe contribuito a meglio riflettere sull’esperienza dei cattolici in politica. Sulla quale De Rosa aveva cominciato a lavorare quasi sessant’anni fa.
LE OPERE
Da Giolitti alla religiosità del Sud
Nato a Castellammare di Stabia (Napoli) il 24 giugno del 1917, De Rosa si laurea in Giurisprudenza e, dopo l’esperienza della guerra, nel 1958 vince il concorso per la prima docenza di storia contemporanea in Italia, disciplina che insegnerà nelle università di Padova, di Salerno (di cui sarà rettore) e di Roma.
Della sua imponente bibliografia restano particolarmente note «Storia del movimento cattolico» (1962), «Storia del Partito popolare italiano» (1966) e, in tre volumi curati assieme a Tullio Gregory e André Vauchez, «Storia dell’Italia religiosa», tutti pubblicati da Laterza.
Tra le altre pubblicazioni si ricordano poi «Storia politica dell’Azione Cattolica» (1953), «Alcide De Gasperi. I cattolici dall’opposizione al governo» (1955), «Giolitti e il fascismo» (1957), «Filippo Meda e l’età liberale» (1959), «Chiesa e religione popolare nel Mezzogiorno» (1972), «Luigi Sturzo» (1977), «Storia del Banco di Roma» (1984), «Tempo religioso e tempo storico», in tre volumi (1987, 1994 e 1999).
Sul tema, nel sito, si cfr.:
vicino a don luigi sturzo, gli dedicò molti saggi. firmò tanti manuali scolastici
Addio a Gabriele De Rosa. Morto a Roma
il primo storico contemporaneo
Nato a Castellammare di Stabia, è stato un innovatore del metodo di ricerca sulla storia religiosa *
NAPOLI - È morto oggi a Roma, a 92 anni, lo storico Gabriele De Rosa. Era nato a Castellammare di Stabia il 24 giugno del 1917. Appena tornato dalla guerra in Africa, confessò di aver ritrovato fiducia nella «nostra civilità» leggendo il saggio di Croce «Perché non possiamo non dirci cristiani». Una sorta di viatico che accompagnò tutta la sua produzione successiva di studioso di storia del movimento cattolico e di storia politica ed economica dell’età contemporanea.
INNOVATORE CATTOLICO - De Rosa è stato un profondo innovatore della metodologia di ricerca sulla storia religiosa: non a caso tra le sue opere principali ci sono «Storia dell’Italia religiosa», pubblicata in tre volumi da Laterza, e «Storia del movimento cattolico», sempre per Laterza.
LA GUERRA IN AFRICA - Lauretao in Giurisprudenza, il professore seguì la sorte dei giovani italiani che andarono in guerra: a lui capitò il fronte nordafricano sul quale decenni dopo pubblicò da Donzelli un «taccuino militare» intitolato «La passione di El Alamein». In esso rivendicò «l’amor di patria» che - scrisse - continuò ad essere vivo «nella guerra di Liberazione, nella Resistenza e nella fondazione della Repubblica».
PRIMO PROF DI STORIA CONTEMPORANEA - Nel 1958 vinse il concorso per la prima docenza di storia contemporanea in Italia, disciplina che successivamente insegnò nelle università di Padova, di Salerno (di cui è stato rettore) e di Roma. Particolarmente attento alla genesi del movimento cattolico, ha imperniato molte delle sue ricerche sulla figura di don Luigi Sturzo. Del resto l’anziano sacerdote era stato per lui, a partire dal 1954, un aiuto prezioso per la preparazione del libro sulla storia del movimento cattolico. L’opera - che va dal periodo della Restaurazione alla prima guerra mondiale, alla nascita del partito popolare - ha come filo conduttore la storia del cattolicesimo intransigente. Segna inoltre uno spartiacque fra la concezione di una storia ancora prevalentemente politica del cattolicesimo italiano e l’incontro con una «storia minore», attenta alla religiosità quotidiana, che caratterizzerà inoltre la fase successiva del lavoro di De Rosa. In questo filone si inserisce ad esempio il libro «Vescovi, popolo e magia nel sud» (1971).
PER DON STURZO - Autore anche numerosi manuali per le scuole medie e superiori, il suo nome è però legato alla biografia di don Sturzo e ai saggi su De Gasperi, due giganti dell’organizzazione politica dei cattolici in Italia. Una passione civile che lo contraddistinse nei suoi due mandati da parlamentare: il primo nel 1987, il secondo nel 1992, entrambi per le forze cattoliche (Dc e Ppi), lui che si era iscritto durante la Resistenza al Pcim e aveva anche lavorato all’Unità. Fondatore del centro studi per la storia religiosa del Veneto è stato per molti anni presidente dell’Istituto Sturzo. Per anni si è battuto perché la carestia che nel 1932-33 affamò l’Ucraina con milioni di vittime, che faceva risalire alle teorie genetiche di Lysenko, fosse annoverato tra i crimini di Stalin e iscritto nel libro nero dei genocidi commessi nel XX secolo.
* Corriere della Sera, 08 dicembre 2009
Caro "Yossi"
non tocca a me difendere la memoria di Gabriele De Rosa. E’ da considerare però che egli, pur condividendo le sorti della maggioranza del popolo italiano, era riuscito a ’leggere’ la sua esperienza e a capire che il filo forte di tutta la sua vita era stato «l’amor di patria», che - scrisse - continuò ad essere vivo «nella guerra di Liberazione, nella Resistenza e nella fondazione della Repubblica» (La passione di El Alamein). Non mi sembra né un approdo né una conquista da poco, per un giovane che a 21 anni sognava "la rivincita di Ario". O no?
Grazie per il suo intervento.
Federico La Sala
le esequie di De Rosa
Il cardinale Silvestrini: «Ha avuto il coraggio della verità»
DA ROMA GIOVANNI GRASSO (Avvenire, 11.12.2009)
« Vorrei riuscire a morire oggi o domani con la semplicità e tranquillità di una fede divina», scriveva Gabriele De Rosa nel suo diario del 26 marzo 2001. E queste parole sono state scelte dalla famiglia del grande storico cattolico, scomparso l’8 dicembre scorso - nel giorno anniversario di matrimonio -, per il libretto della messa funebre, celebrata ieri mattina nella Chiesa di Sant’Agostino, a poche centinaia di metri dalla sede dell’Istituto Sturzo che per De Rosa era una seconda casa.
Sull’altare maggiore, a officiare, il cardinale Achille Silvestrini. Concelebravano i vescovi di Terni Vincenzo Paglia e di Piazza Armerina Michele Pennisi, con numerosissimi sacerdoti, tutti legati da amicizia e stima al professore scomparso. Una funzione «semplice e tranquilla» che al Professore sarebbe piaciuta.
Il feretro era circondato da fiori bianchi, il simbolo dei cattolici democratici. Tra questi spiccava il cuscino a fiori rossi dell’Istituto Gramsci. Accanto ai familiari - la moglie Sabine, che l’ha accudito con amore e dedizione fino alla fine, i figli e i nipoti - molti politici cattolici, di ieri e di oggi: i senatori a vita Andreotti e Colombo, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Letta, il vicepresidente del Csm Mancino. Poi Forlani, Gerardo Bianco, Signorello, Treu, Garavaglia, Segni, Ciccardini, Mazzotta (successore di De Rosa alla presidenza dell’Istituto Sturzo), Jervolino, Duilio, Parisi, Morgando, Selva... Molti altri, trattenuti alla Ca- mera per le votazioni sull’autorizzazione all’arresto di Cosentino, avevano fatto mercoledì visita alla camera ardente. Ma non hanno fatto mancare, ieri in aula a Montecitorio, l’omaggio deferente, osservando un minuto di silenzio in piedi, dopo un breve ricordo di Pierluigi Castagnetti.
Ma la schiera più nutrita in chiesa era quella degli storici, la categoria a cui De Rosa sentiva di appartenere sopra ogni altra: colleghi, amici e allievi di tre generazioni. Tra questi Fonzi, D’Addio, Monticone, Malgeri, Ignesti, Riccardi, Casula, Giovagnoli, D’Andrea e molti altri. In un angolo, lo stendardo glorioso dei Granatieri di Sardegna, sotto le cui insegne De Rosa combattè a El Alamein e un gruppetto di granatieri con il caratteristico colletto rosso fuoco. E, ancora, il personale visibilmente commosso dell’Istituto Sturzo, tanti amici ed estimatori.
Nella sua omelia, Silvestrini ha parlato di De Rosa come di una «personalità gigantesca» e ha voluto mettere in luce «gli aspetti morali» della sua esistenza, citando «il coraggio della verità negli studi» e la «presa di coscienza della grave situazione dell’Italia degli anni Quaranta», con la decisione di far parte della Resistenza romana. Una scelta che, ha ricordato il cardinale, De Rosa considerò sempre centrale e decisiva in tutti i momenti della sua vita successiva, segnati dall’impegno accademico, culturale e politico. Monsignor Paglia ha aggiunto: «La fede di Gabriele nel Signore non era una scelta periferica, ma era al centro del suo cuore».
Alcuni materiali per riflettere ....
VISITA DI BENEDETTO XVI IN SINAGOGA. UNA TRISTE FARSA - di Gherush92
LA PAROLA DI DIO, IL SINODO DEI VESCOVI, E UN OMAGGIO AI FRATELLI MAGGIORI E A SIGMUND FREUD.
Federico La Sala
C’è anche la sua adesione al manifesto degli scienziati razzisti, pubblicato su: La difesa della razza, I, i, 5 agosto 1938,. Cfr.: