EVANGELO E COSTITUZIONE. Politica e morale ....

GABRIELE DE ROSA (1917-2009): UN GRANDE PROTAGONISTA DELLA VITA DEMOCRATICA ITALIANA. Note sull’ultima intervista, sulla sua scomparsa (un articolo di Giovanni Grasso) e sul lavoro di storico (un articolo di Antonio Airò) - a cura di Federico La Sala

È morto ieri nella sua casa romana lo storico ed ex senatore Gabriele De Rosa. Aveva 92 anni. La camera ardente è allestita all’Istituto Luigi Sturzo, in via delle Coppelle a Roma. I funerali avranno luogo luogo domani alle 11,30 nella Chiesa di Sant’Agostino
mercoledì 9 dicembre 2009.
 


l’ultima intervista

-   «No al carrierismo e alle leggi su misura
-  I politici servano lo Stato, non lo usino per sé»

«Io oggi di eredi di Sturzo in giro ne vedo pochissimi». Lo affermava Gabriele De Rosa a Giovanni Grasso, nella sua ultima intervista su questo giornale il 18 gennaio scorso: «Molti dicono di ispirarsi a lui, anche se non hanno mai letto un suo libro. Sturzo è stato il protagonista di una stagione politica che resta irripetibile, quella dell’ingresso dei cattolici italiani nella vita democratica del Paese».

In quell’ultimo dialogo, lo storico campano sottolineava come dalla vita di don Sturzo «ci vengono ancora tanti elementi attualissimi, capaci di indicare una direzione alla politica di oggi, smarrita, povera di ideali».

In particolare De Rosa indicava due gli insegnamenti sturziani per il mondo politico odierno, cattolico e no: «Primo, lo strettissimo legame tra politica e morale, non solo sul piano della difesa dei valori cristiani ma anche come rifiuto di ogni machiavellismo».
-  Secondo, «la capacità straordinaria di tradurre i valori in proposte concrete, capaci di parlare a tutti gli uomini ’liberi e forti’».

De Rosa in quel colloquio si mostrava preoccupato del «forte calo di tensione etica che sembra attraversare le classi dirigenti del nostro Paese: personalismi, leggi su misura, corruzione, clientelismo, difesa degli interessi particolari, carrierismo. Sturzo ci ha insegnato ad amare le istituzioni democratiche, i loro compiti, le loro funzioni; e prendere atto dei loro limiti. Questo è un monito costante per i politici che a volte tendono a servirsi dello Stato più che a servirlo».

De Rosa metteva poi in risalto la «modernità» del fondatore del Partito popolare: «Se si leggono i suoi 12 punti programmatici del 1919 si rimane sorpresi per la lucidità di quelle proposte: la difesa della famiglia e di insegnamento unita alla lotta contro l’analfabetismo. Quindi il riconoscimento delle organizzazioni sindacali, la legislazione sociale e per il lavoro, il Mezzogiorno, l’autonomia degli enti locali e il decentramento amministrativo. Infine l’indicazione di un ordine internazionale basato su un organismo sovranazionale».


La scomparsa

De Rosa: Il patriarca «popolare»

di Giovanni Grasso (Avvenire, 9 Dicembre 2009)

È morto ieri nella sua casa romana lo storico ed ex senatore Gabriele De Rosa. Aveva 92 anni. La camera ardente è allestita all’Istituto Luigi Sturzo, in via delle Coppelle a Roma. I funerali avranno luogo luogo domani alle 11,30 nella Chiesa di Sant’Agostino, officiati dal cardinale Achille Silvestrini.

Per Gabriele De Rosa cultura e impegno civile erano strettamente connessi. E, forse, per un uomo dal carattere e dalla biografia battagliera, era l’unico modo di vivere la vita pienamente e senza rimpianti. Ufficiale dei granatieri a El Alamein, membro della Resistenza nella Roma occupata dai nazisti, primo biografo "autorizzato" da don Luigi Sturzo, di cui raccolse dalla viva voce le memorie e i ricordi, portava in quell’ambiente accademico, di cui era membro e protagonista, una passione civile, un’attenzione al tempo presente, un’analisi profonda e un amore per i poveri e i perseguitati davvero unici. Pur essendo un frequentatore di archivi e un ricercatore finissimo e rigoroso, tutto in lui era così distante dallo stereotipo del topo di biblioteca, prigioniero di carte e documenti. Anche a livello fisico: corporatura imponente, sguardo severo, andatura fiera, voce baritonale. Per non parlare del suo carattere: uno spirito forte, libero, indipendente, profondamente ironico, spigoloso a volte, ma capace di momenti di grandissima dolcezza.

Non fu dunque un caso che da giovanissimo riuscì a imporsi nell’ambiente accademico in anni in cui nelle università dominava l’egemonia comunista: e, non avendo una scuola alle spalle, divenne rapidamente lui stesso un caposcuola. Insieme a pionieri come Fausto Fonzi e Pietro Scoppola restituì alle vicende del movimento cattolico italiano, per molti anni trascurate dalla storiografia, il ruolo e la dignità che a esse spettano nella storia italiana. E se nel mondo cattolico c’era chi si lamentava che i manuali di storia dei licei erano tutti orientati a sinistra, De Rosa non si associava ai piagnistei e rispondeva alla sua maniera: scrivendone lui uno.

Fu dunque naturale per lui, ex cattolico-comunista "convertito" dall’incontro folgorante con Sturzo al cattolicesimo democratico, seguire con interesse e passione le alterne vicende politiche italiane e della Dc. Schierandosi, da uomo libero e mai da gregario, con le componenti della sinistra democristiana più attente all’evoluzione della politica, alle riforme sociali e ai temi del rinnovamento. Battendosi per il dialogo, ma erigendo sempre un muro di intransigenza nei confronti del decadimento morale, del malcostume, della corruzione e della contiguità tra politica, mafia e poteri occulti.

Per De Rosa, che da intellettuale aveva collaborato strettamente con Aldo Moro - preparandogli, tra l’altro, la traccia per il famoso e bellissimo discorso in memoria di don Sturzo tenuto al teatro Eliseo nel 1959 - la candidatura al Senato, nelle liste della Dc, nel 1987, fu quasi uno sbocco obbligato. Erano i tempi in cui, a Palazzo Madama, lo scudocrociato faceva eleggere un piccolo numero di intellettuali cattolici, i cosiddetti esterni. De Rosa, che si trovò subito a fianco di personalità come Roberto Ruffilli, Niccolò Lipari, Leopoldo Elia, non era però un esterno. Ma, a ben vedere, nemmeno un interno. Già in quegli anni la sua forza, il suo prestigio, la sua competenza andavano ben oltre lo schieramento a cui pure, con convinzione, apparteneva. Era, davvero, un monumento vivente.

Lo conobbi in quegli anni, giovane praticante giornalista alla Discussione, il settimanale della Dc. Flavia Nardelli, segretario generale dell’Istituto Sturzo, di cui De Rosa era presidente, mi propose di occuparmi dell’ufficio stampa di un convegno, fissandomi un incontro con il Professore. La figura di De Rosa era circondata da un’aura di timore. Entrai nella sua stanza trepidante.

Mi scrutò, con quell’inconfondibile espressione tra il burbero e il bonario, mi indicò una sedia e cominciò a chiedermi notizie sulla Dc. Contrariamente alle aspettative era affabile ed estremamente cordiale. Ma la cosa che mi stupì di più era che avesse perso molto tempo (la conversazione durò più di un’ora) ad ascoltare le opinioni di un giovane alle prime armi. Lui era fatto così.

La crisi di Tangentopoli, la decimazione giudiziaria della classe dirigente democristiana, obbligò De Rosa a impegnarsi ancora più a fondo nella politica attiva. Fu proposto per l’incarico, faticoso e, in quella stagione tormentata, delicatissimo di presidente dei senatori democristiani. Un ruolo che non avrebbe mai cercato, ma che accettò con spirito di servizio, mostrando equilibrio, competenza, onestà e altissima dignità in un momento in cui tutto gli stava franando intorno. Di lì a poco la Dc, dopo aver eletto segretario Mino Martinazzoli, chiuse i battenti.

Sulle sue ceneri rinacque il Partito Popolare Italiano, che avrebbe dovuto rappresentare il meglio della tradizione politica cattolica, depurata dalle scorie di troppi anni di permanenza al potere. De Rosa si buttò a capofitto, con entusiasmo, nella nuova impresa. E aprì le porte dell’Istituto Sturzo al battesimo ufficiale della nuova formazione politica, di cui divenne presidente. Come sappiamo, il secondo Ppi ebbe vita breve e travagliata. In quel periodo i contatti tra il Professore e me, cronista parlamentare, si intensificarono notevolmente.

Ricordo come fosse oggi quando, deferito ai probiviri e sospeso dal partito per aver appoggiato Gerardo Bianco contro Buttiglione, si sfogò amaramente con me in Transatlantico. E qualche tempo dopo mi disse: «Abbiamo fatto lo stesso errore, quello di considerare possibile la rinascita di un partito sturziano in Italia, dove di personalità come Sturzo ormai non ce n’è nemmeno l’ombra».

Amareggiato dalle successive vicende politiche, che considerava una vera involuzione della democrazia italiana, uscì dalla vita parlamentare. Ma non per questo smise di fare politica. Con due obbiettivi principali: difendere la figura unica e irripetibile di don Luigi Sturzo dai ricorrenti tentativi di appropriazione indebita; combattere il revisionismo storico di chi voleva negare, in toto, la dignità e il valore etico della Resistenza. Di fronte a questi atteggiamenti il vecchio e leone di El Alamein tornava a ruggire con la forza di sempre.

Giovanni Grasso


lo storico

-  E la storia religiosa salì in cattedra con lui

-  L’esperienza giovanile fascista, il travaso nel Pci all’«Unità», l’incontro con il fondatore del Ppi tramite don De Luca
-  La passione per la ricerca, «analisi dell’umanità»

-  Studiò il Veneto «bianco» di Fogazzaro. Per molto tempo diresse l’«Istituto Don Sturzo» di Roma Geniale la sua idea di una ricerca «integrata» tra economia, cultura e anche spiritualità

-  di ANTONIO AIRÒ (Avvenire, 09.12.2009)

Aveva poco più di 35 anni Gabriele De Rosa quando, nel 1953, uscì presso l’editore Laterza una corposa Storia politica dell’Azione Cattolica , che si dipanava dal 1870 con la «questione romana» fino al decennio giolittiano del primo Novecento.

Un’opera che «pur alimentata da un forte fervore polemico - come affermò in un suo profilo biografico lo stesso storico morto ieri a 92 anni - ebbe il merito di superare, con questo tentativo, l’isolamento storiografico che fino ad allora era stato riservato al movimento cattolico». De Rosa arrivava alla storia dopo una giovanile militanza nel Fascio di Alessandria, con articoli sul giornale locale a sostegno delle leggi razziali. Poi venne la partecipazione, come ufficiale dei granatieri, alla guerra in Africa di cui è testimonianza il taccuino La passione di El Alamein (Donzelli editore), «fitto di amor di patria dalla prima all’ultima pagina... Quella sanguinosa sconfitta apriva uno scenario diverso per il futuro dell’Italia».

Ancora più tardi c’è stata la Resistenza, l’adesione al Pci, il lavoro giornalistico all’Unità... Quindi De Rosa imboccava la strada della storia: «Le velleità letterarie si erano spente, mentre i miei interessi si indirizzavano alle fonti della storia contemporanea». Il lavoro sull’Azione Cattolica, che avrebbe visto in rapida successione il suo seguito ne La storia del Partito popolare e in una nuova edizione del primo volume «rafforzato da uno scavo archivistico quasi del tutto inedito», poneva al centro della sua ricerche le vicende dell’Opera dei Congressi attraverso lo studio di uno dei suoi protagonisti, Giuseppe Sacchetti, veneto come Giovan Battista Paganuzzi, entrambi «arroccati alla parrocchia e al mondo rurale... Ma c’è anche il Veneto, signorile e distaccato, prudente e inquieto, sottilmente tormentato da sete di religiosità cosmica, di Antonio Fogazzaro». E c’era a Vicenza il mondo degli imprenditori Rossi e Lampertico, che mette insieme senza rotture «campanile e fabbrica».

Le vicende del Partito popolare e il ruolo di Sturzo non potevano che essere il punto di arrivo del percorso scientifico di Gabriele De Rosa. Ma, man mano che scavava negli archivi e acquisiva documenti, cresceva nello studioso l’esigenza di una storia «integrata» nella quale «cultura, pratica religiosa, economia, istituzioni non sono comportamenti specialistici a sé, ma componenti, vasi comunicanti di una medesima realtà di scienza storica, che è quella in ultima analisi dell’umanità».

Di questa visione globale, e non solo politica, sono gli studi e i saggi di storia sociale e religiosa d’Italia e i profili di vescovi, colti nella loro attività pastorale, che costellano la sua produzione scientifica o che sono da lui stimolati (attraverso anche il «Centro studi per la storia della Chiesa nel Veneto nell’età contemporanea» da lui fondato a Padova nel 1966) e che trovano in diverse case editrici il loro canale divulgativo.

Essenziale per De Rosa è a Palazzo Lancellotti, dove hanno sede «Le Edizioni di Storia e letteratura», la conoscenza e la frequentazione di don Giuseppe De Luca «sacerdote di una pietà rarissima e di un amore profondo, spesso struggente per la Chiesa». È tramite questo «prete romano» - come amava definirsi - che lo storico del movimento cattolico conosce don Sturzo. Il fondatore del Partito Popolare cercava un giovane che facesse per lui ricerche. «De Luca gli fece il mio nome, spingendomi così nell’agone e il 15 maggio 1954, nel convento delle suore canossiane, ebbi il primo dei miei incontri con Sturzo».

Del sacerdote di Caltagirone, De Rosa, docente di storia contemporanea in diverse università, sarebbe divenuto il biografo esauriente (come emerge nel libro edito dalla Utet) vivendo con passione - ma questa non incide sul rigore dello storico - i tanti incontri tradotti nel volume Sturzo mi disse (edito da Morcelliana) che consentono di leggere in modo più compiuto l’esperienza politica del fondatore del Partito Popolare; compresi nel dopoguerra gli aspetti critici di non poche scelte della stessa Dc. «In questi colloqui - scrive lo storico - il popolarismo non mi apparve più come una pura propaggine della storia del movimento cattolico, anche se indubbiamente i rapporti con questa storia erano evidenti, ma il progetto sturziano di partito ne usciva fuori per la sua capacità di inserirsi modernamente nella storia della società italiana».

La presidenza per lunghi anni dell’Istituto «Luigi Sturzo» avrebbe contribuito a meglio riflettere sull’esperienza dei cattolici in politica. Sulla quale De Rosa aveva cominciato a lavorare quasi sessant’anni fa.

-  LE OPERE

-  Da Giolitti alla religiosità del Sud

Nato a Castellammare di Stabia (Napoli) il 24 giugno del 1917, De Rosa si laurea in Giurisprudenza e, dopo l’esperienza della guerra, nel 1958 vince il concorso per la prima docenza di storia contemporanea in Italia, disciplina che insegnerà nelle università di Padova, di Salerno (di cui sarà rettore) e di Roma.

Della sua imponente bibliografia restano particolarmente note «Storia del movimento cattolico» (1962), «Storia del Partito popolare italiano» (1966) e, in tre volumi curati assieme a Tullio Gregory e André Vauchez, «Storia dell’Italia religiosa», tutti pubblicati da Laterza.

Tra le altre pubblicazioni si ricordano poi «Storia politica dell’Azione Cattolica» (1953), «Alcide De Gasperi. I cattolici dall’opposizione al governo» (1955), «Giolitti e il fascismo» (1957), «Filippo Meda e l’età liberale» (1959), «Chiesa e religione popolare nel Mezzogiorno» (1972), «Luigi Sturzo» (1977), «Storia del Banco di Roma» (1984), «Tempo religioso e tempo storico», in tre volumi (1987, 1994 e 1999).


Sul tema, nel sito, si cfr.:

-  DOMANDE AGLI STORICI (CATTOLICI E NON) DI DAVID BIDUSSA.
-  DOPO 14 ANNI DI BERLUSCONISMO SOSTENUTO DAL VATICANO, DALLA CEI E DAGLI ORGANI DI STAMPA CATTOLICA, SIAMO ARRIVATI ALLE IMPRONTE AI ROM. NON E’ IL CASO DI SVEGLIARSI DAL SONNO DOGMATICO E RISPONDERE "SENZA FARE LE SPALLUCCE"?!

-  VIVA L’ITALIA. LA QUESTIONE "CATTOLICA" E LO SPIRITO DEI NOSTRI PADRI E E DELLE NOSTRE MADRI COSTITUENTI. Per un ri-orientamento antropologico e teologico-politico.

-   L’ATTACCO A TETTAMANZI. LA CHIESA DI RATZINGER, "SPOSATASI" COL CAVALIERE, ORA SUBISCE LE "AVANCES" DELLA LEGA.

-  POLITICA E URBANISTICA. ROMA E I "SETTE COLLI": LO SCEMPIO DEL “TERRITORIO” E LE “CAMERE” SGARRUPATE!!!


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