[...] Prigione, una immagine che nelle considerazioni di Ging, come in quelle di Jimmy Carter, Desmond Tutu, Maread Maguire, non ha nulla di metaforico: «Quando parliamo di servizi e di condizioni di vita a Gaza, possiamo dire che quelle nelle prigioni del mondo sono migliori che a Gaza», rileva il responsabile Onu, sottolineando come i detenuti in Europa ricevano più cure sanitarie di quelle che ricevono gli abitanti di Gaza. Questa deriva si consuma nel silenzio e nell’inazione della comunità internazionale. Un silenzio che il responsabile dell’Unrwa prova a spezzare. «La distruzione in corso della società civile a Gaza - avverte Ging - non ci lascia margini di tempo, bisogna intervenire» [...]
Colloquio con John Ging
«I bambini senza speranza nella prigione di Gaza»
Il direttore dell’agenzia Onu per la Striscia: «Sono 750mila, vivono in un territorio al collasso Il rischio è che per loro l’unica chance sia Hamas»
La crisi
L’80% dei palestinesi
dipende dagli aiuti
umanitari dell’Onu
Oltre il 90% dell’acqua è
fuori dagli standard sanitari
Le cifre
Nell’ultimo anno
la povertà è triplicata
le cure sanitarie
sono un miraggio
Crescono gli estremisti
di Umberto De Giovannangeli (l’Unità, 03.12.2009)
Da Bruxelles lancia un accorato, e documentato, grido d’allarme: «La vita a Gaza è insostenibile. Non abbiamo più tempo, bisogna intervenire». Se c’è una persona al mondo che oggi può raccontare cosa significhi vivere a Gaza, questa persona è John Ging, irlandese, direttore dell’Unrwa, l’agenzia per gli aiuti umanitari delle Nazioni Unite nella Striscia di Gaza. L’obiettivo di Ging è di sensibilizzare i leader europei verso una situazione disperante. «Ai miei interlocutori - afferma il responsabile dell’Unrwa nel suo colloquio con l’Unità - ripeto che la Striscia di Gaza si trova in una situazione di assoluta emergenza». Non c’è nulla di ideologico nella denuncia di Ging.
A parlare sono i dati di cui è portatore: «Le condizioni di vita della popolazione (un milione e 400mila persone, in maggioranza sotto i 18 anni, ndr) sono divenute insostenibili, con l’80% delle persone che dipende dagli aiuti alimentari delle Nazioni Unite. L’economia non esiste più. Il settore privato è stato disintegrato dall’assedio (il blocco israeliano, ndr) e dalla guerra, mentre fino a due anni e mezzo fa 120mila persone avevano un lavoro nel privato. Le infrastrutture, dall’acqua ai servizi igienico-sanitari, sono al collasso, e le acque reflue, trattate e non, vengono scaricate nel Mediterraneo».
Quanto all’ acqua potabile, «’secondo l’Oms aggiunge Ging oltre il 90% dell’acqua di Gaza non risponde agli standard minimi sanitari e il 60% della popolazione ha un accesso irregolare. Nell’ultimo anno la povertà nella Striscia è triplicata”. Quei dati, pur così significativi, da soli non danno ancora una visione complessiva delle condizioni di vita della gente di Gaza. Non si tratta, annota Ging, solo di un «collasso politico» ma anche di «assenza di umanità» che deve essere combattuta e rimossa. Il che significa porre fine all’assedio della Striscia «perché - ribadisce il responsabile dell’Unrwa - è tempo di vedere un cambiamento delle politiche in tutti coloro che hanno determinato una simile povertà e questa indicibile vergogna».
Il quadro offerto da John Ging conferma quanto personalità di prestigio mondiale, come l’ex presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter e i premi Nobel per la Pace Desmond Tutu e Mairead Corrigan Maguire, avevano denunciati in interviste rilasciate a l’Unità: Gaza è una enorme prigione a cielo aperto, isolata dal mondo, dove è sempre più problematico sopravvivere e impossibile fuggire. La condizione materiale è drammatica ma. Rimarca Ging, «il problema più grave è la devastazione psicologica di cui soffre la popolazione nel suo complesso e, presi individualmente, i 750mila bambini che vivono in quella prigione che è la Striscia di Gaza».
I bambini. Questa è la loro quotidianità: «Stiamo perdendo i bambini di Gaza - denuncia Ging I bambini stanno crescendo in questo ambiente. I loro genitori stanno facendo di tutto per non educarli alla violenza, vorrebbero fare di loro dei dottori, degli insegnanti, degli avvocati. Ma la realtà offre altro. La vita di tutti i minorenni a Gaza è piena di limiti, come quella dei loro genitori. Gli adolescenti sono ribelli ovunque, dunque proviamo a immaginare che considerazione abbiano gli adolescenti di Gaza delle loro famiglie. Le trovano patetiche, incapaci di provvedere alle loro necessità minime, ai desideri. E poi ci sono gli estremisti di Hamas, che dicono, che ripetono a questi ragazzi: la nostra è la strada da seguire.
I bambini di Gaza, soprattutto quelli fino a 8-9 anni di età, non sono mai usciti da qui. Non sanno nulla di Israele, degli israeliani hanno visto solo il soldato, la bomba, il carro armato. Stiamo creando questa piccola pentola a pressione, un piccolo mondo disperato e violento, sempre più carico di frustrazione».
Prigione, una immagine che nelle considerazioni di Ging, come in quelle di Jimmy Carter, Desmond Tutu, Maread Maguire, non ha nulla di metaforico: «Quando parliamo di servizi e di condizioni di vita a Gaza, possiamo dire che quelle nelle prigioni del mondo sono migliori che a Gaza», rileva il responsabile Onu, sottolineando come i detenuti in Europa ricevano più cure sanitarie di quelle che ricevono gli abitanti di Gaza. Questa deriva si consuma nel silenzio e nell’inazione della comunità internazionale. Un silenzio che il responsabile dell’Unrwa prova a spezzare. «La distruzione in corso della società civile a Gaza - avverte Ging - non ci lascia margini di tempo, bisogna intervenire».
Un intervento sul campo che risulta sempre più proibitivo per la stessa Agenzia Onu. Non ci sono possibilità di ricostruzione «nemmeno per l’Unrwa - spiega Ging che ha presentato al governo israeliano un conto da 11 milioni di dollari di danni alle sue strutture e attende ancora una risposta». L’Unrwa celebra quest’anno i suoi 60 anni di esistenza, una anniversario amaro per John Ging: «Celebriamo 60 anni di sconfitte. di mancanza di soluzione politica. Questo deve servire a una riflessione sul ruolo della nostra agenzia», poiché «la sfida alla quale dobbiamo far fronte diventa ogni anno più pesante».❖
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Rapporto shock sui danni provocati dall’uso di armi segrete nel conflitto lanciato da
Israele. Sui corpi feriti trovati metalli tossici e sostanze cancerogene
«La guerra di Gaza causò mutazioni genetiche»
Le analisi. Condotte dai ricercatori di tre Università, coinvolta anche Roma
Mezzi sperimentali. Non hanno lasciato schegge o frammenti sui corpi colpiti
di Umberto De Giovannangeli (l’Unità, 14.05.2010)
«La guerra di Gaza non ha curato la ferita che avevamo disperatamente bisogno di medicare. Al contrario, ha rivelato ancor più i nostri errori di rotta, tragici e ripetuti, e la profondità della trappola in cui siamo imprigionati». Così scriveva David Grossman riflettendo sulle conseguenze dell’operazione Piombo Fuso scatenata da Israele nella Striscia di Gaza. Quella ferita continua a sanguinare e come un tragico Vaso di Pandora da quella prigione a cielo aperto e isolata dal mondo che è Gaza, continuano a uscire notizie raccapriccianti.
Come la storia che l’Unità ha deciso di raccontare dopo aver compiuto i necessari riscontri. Una storia sconvolgente. Metalli tossici ma anche sostanze carcinogene, in grado cioè di provocare mutazioni genetiche. È quanto individuato nei tessuti di alcune persone ferite a Gaza durante le operazioni militari israeliane del 2006 e del 2009. L’indagine ha riguardato ferite provocate da armi che non hanno lasciato schegge o frammenti nel corpo delle persone colpite, una particolarità segnalata più volte dai medici di Gaza e che indicherebbe l’impiego sperimentale di armi sconosciute, i cui effetti sono ancora da accertare completamente.
La ricerca, che ha messo a confronto il contenuto di 32 elementi rilevati dalle biopsie attraverso analisi di spettrometria di massa effettuate in tre diverse università, La Sapienza di Roma, l’Università di Chalmer (Svezia) e l’Università di Beirut (Libano) è stata coordinata da New Weapons Research Group (Nwrg), una commissione indipendente di scienziati ed esperti basata in Italia che studia l’impiego delle armi non convenzionali per investigare i loro effetti di medio periodo sui residenti delle aree in cui vengono utilizzate. La rilevante presenza di metalli tossici e carcinogeni, riferisce la commissione in un comunicato, indica rischi diretti per i sopravvissuti ma anche di contaminazione ambientale. I tessuti sono stati prelevati da medici dell’ospedale Shifa di Gaza City, che hanno collaborato a questa ricerca e classificato il tipo di ferita delle vittime. L’analisi è stata realizzata su 16 campioni di tessuto appartenenti a 13 vittime.
I campioni che fanno riferimento alle prime quattro persone risalgono al giugno2006, periodo dell’ operazione «Piogge estive». Quelli che appartengono alle altre 9 sono state invece raccolti nella prima settimana del gennaio 2009, nel corso dell’operazione Piombo Fuso.
Tutti i tessuti sono stati esaminati in ciascuna delle tre università. Inglobare schegge o respirare micropolveri di tungsteno, metallo pesante e notoriamente cancerogeno, non potrà che provocare nella popolazione sopravvissuta o che vive nei dintorni un aumento della frequenza di insorgenze tumorali.
Sono stati individuati quattro tipi di ferite: carbonizzazione, bruciature superficiali, bruciature da fosforo bianco e amputazioni. Gli elementi di cui è stata rilevata la presenza più significativa, in quantità molto superiore a quella rilevata nei tessuti normali, sono: alluminio, titanio, rame, stronzio, bario, cobalto, mercurio, vanadio, cesio e stagno nei campioni prelevati dalle persone che hanno subito una amputazione o sono rimaste carbo- nizzate; alluminio, titanio, rame, stronzio, bario, cobalto e mercurio nelle ferite da fosforo bianco; cobalto, mercurio, cesio e stagno nei campioni di tessuto appartenenti a chi ha subito bruciature superficiali; piombo e uranio in tutti i tipi di ferite; bario, arsenico, manganese, rubidio, cadmio, cromo e zinco in tutti i tipi di ferite salvo che in quelle da fosforo bianco; nichel solo nelle amputazioni. Alcuni di questi elementi sono carcinogeni (mercurio, arsenico, cadmio, cromo nichel e uranio), altri potenzialmente carcinogeni (cobalto, vanadio), altri ancora fetotossici (alluminio, mercurio, rame, bario, piombo, manganese). I primi sono in grado di produrre mutazioni genetiche; i secondi provocano questo effetto negli animali ma non è dimostrato che facciano altrettanto nell’uomo; i terzi hanno effetti tossici per le persone e provocano danni anche per il nascituro nel caso di donne incinte: sono in grado, in particolare l’alluminio, di oltrepassare la placenta e danneggiare l’embrione o il feto. Tutti i metalli trovati, inoltre, sono capaci anche di causare patologie croniche dell’apparato respiratorio, renale e riproduttivo e della pelle. La differente combinazione della presenza e della quantità di questi metalli rappresenta una «firma metallica».
«Nessuno - spiega Paola Manduca, che insegna genetica all’Università di Genova, portavoce del New Weapons Research Group - aveva mai condotto questo tipo di analisi bioptica su campioni di tessuto appartenenti a feriti. Noi abbiamo focalizzato lo studio su ferite prodotte da armi che non lasciano schegge e frammenti perché ferite di questo tipo sono state riportate ripetutamente dai medici a Gaza e perché esistono armi sviluppate negli ultimi anni con il criterio di non lasciare frammenti nel corpo. Abbiamo deciso di usare questo tipo di analisi per verificare la presenza, nelle armi che producono ferite amputanti e carbonizzanti, di metalli che si depositano sulla pelle e dentro il derma nella sede della ferita”. «La presenza - prosegue - di metalli in queste armi che non lasciano frammenti era stata ipotizzata, ma mai provata prima. Con nostra sorpresa, anche le bruciature da fosforo bianco contengono molti metalli in quantità elevate. La loro presenza in tutte queste armi implica anche una diffusione nell’ambiente, in un’area di dimensioni a noi ignote, variabile secondo il tipo di arma. Questi elementi vengono perciò inalati dalla persona ferita e da chi si trovava nelle adiacenze anche dopo l’attacco militare. La loro presenza comporta così un rischio sia per le persone coinvolte direttamente, che per quelle che invece non sono state colpite». L’indagine fa seguito a due ricerche analoghe del Nwrg. La prima, pubblicata il 17 dicembre 2009, aveva individuato la presenza di metalli tossici nelle aree di crateri prodotti dai bombardamenti israeliani a Gaza, indicando una contaminazione del suolo che, associata alle precarie condizioni di vita, in particolare nei campi profughi, espone la popolazione al rischio di venire in contatto con sostanze velenose.
La seconda ricerca, pubblicata il 17 marzo scorso, aveva evidenziato tracce di metalli tossici in campioni di capelli di bambini palestinesi che vivono nelle aree colpite dai bombardamenti israeliani all’interno della Striscia di Gaza. Una conferma viene anche da attendibili fonti mediche palestinesi indipendenti a Gaza City contattate dall’Unità. Tra queste, Thabet El-Masri, primario del reparto di terapia intensiva presso l’ospedale Shifa di Gaza, il dottor Ashur, direttore dello Shifa Hospital e il dottor Bassam Abu Warda direttore della struttura medica attiva a Jabalya, il più grande campo profughi della Striscia (300mila persone). «L’occupazione di Gaza - riflette Gideon Levy, una delle firme del giornalismo israelianoha semplicemente assunto una nuova forma: un recinto al posto delle colonie. I carcerieri fanno la guardia dall’esterno invece che all’interno». Ed è una «guardia» spietata.❖
Il carcere di Gaza
di Luigi Fioravanti (l’Unità, 11.01.2010)
La strage di Gaza, lo scorso anno, è stata perpetrata da parte degli israeliani senza lasciare ai palestinesi alcuna via di scampo; anche l’Egitto fece la sua parte: chiuse i confini a sud, unica via di fuga. Quest’anno l’Egitto ha impedito ai partecipanti alla Gaza Freedom March di raggiungere Gaza, per portare ai palestinesi aiuti e solidarietà. Da tempo ormai l’Egitto dove c’è una dittatura, ma che come amico dell’Occidente, viene insignito del titolo di “paese moderato" è più interessato a compiacere Israele e Usa che a sostenere i diritti dei palestinesi. Ora sta costruendo un muro d’acciaio sotterraneo sul confine di Gaza: la striscia di Gaza sotto embargo totale da parte di Israele da tre anni chiusa per mare, per cielo, per terra, lo sarà anche sottoterra: una prigione collettiva per un milione e mezzo di abitanti. Carcerieri Israele e Egitto, finanziatori gli Stati Uniti, spettatori gli europei: nel silenzio complice di grande stampa e tv.
20 dicembre 2009
CHRISTMAS IN GAZA
cento città per la pace.
a cura di do Nandino *
ANCHE NELLA TUA CITTA’ DOMENICA 20 dicembre convoca persone e gruppi, promuovi incontri pubblici e anima celebrazioni domenicali dell’Eucaristia per FAR MEMORIA del I° anniversario del massacro di Gaza e per unirsi alla festa del NATALE presieduta in quel giorno dal Patriarca di Gerusalemme Fouad Twal con la gente della Striscia.
Comunica subito il IL NOME DELLA TUA CITTA’ a nandyno@libero.it per essere inserito nell’elenco delle cento città.
* per leggere il testo, clicca sul link seguente:
http://www.ildialogo.org/mediooriente/Notizie_1260374584.htm