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LA TRISTE FARSA DELLA VISITA
DEL PAPA IN SINAGOGA
I preparativi della visita del papa in sinagoga, così come riferito in un empio articolo apparso su Radio Vaticana, continuano a seminare sconcerto, dolore e rabbia. L’organo del Vaticano vuole inventarsi una nuova storia e cioè che nel settecento gli Ebrei del ghetto partecipano gioiosamente e di spontanea volontà ai festeggiamenti per l’elezione del nuovo papa. L’editoriale sostiene, infatti, che, per aggiungere un’ulteriore suggestione alla prossima visita del papa in sinagoga, saranno per lui esposti per la prima volta nel museo ebraico dei preziosi pannelli risalenti al XVIII secolo, preparati dagli ebrei per festeggiare l’elezione del pontefice e abbellire l’area della città dal Colosseo all’arco di Tito.
Tale bucolico ed amorevole quadretto - gli Ebrei imprigionati da oltre duecento anni nel ghetto di Roma che partecipano con gioia all’elezione del pontefice e addobbano con gaudio le strade e le piazze della città fino all’arco di Tito che rappresenta la presa di Gerusalemme e la distruzione del Beit HaMikdash - è una evidente falsità che manifesta un chiaro disegno revisionista e negazionista.
Può darsi che gli ebrei s’ impegnassero a fondo confezionando e mostrando arazzi, vessilli e pannelli abbelliti di preziose miniature destinati al papa, questo è possibile; ma davvero esprimono sincera amicizia e partecipazione? Ci immaginiamo sul serio gli Ebrei, rinchiusi nel ghetto, derubati dei loro libri sacri e privati delle sinagoghe, limitati nell’esercizio delle professioni e del commercio, addobbati con il segno distintivo giallo, costretti alle prediche forzate, assassinati, puniti e torturati dal Tribunale dell’Inquisizione, lieti e felici nel festeggiare il nuovo papa persecutore ed oppressore? Non è questa, piuttosto, la prova sconcertante di un tentativo di frenare la feroce repressione cristiana? Uno sforzo di sopravvivenza? Un segnale di paura, assoggettamento, prigionia e schiavitù plurisecolari? Quando lo sgomento intride la memoria fino al presente e inquina il futuro, quando è precluso l’esercizio dei fondamentali diritti di espressione, libero spostamento e lavoro, quando è minacciata l’esistenza quotidiana, ogni gesto è la risposta ad un ordine o a una punizione, oppure è solo un tentativo disperato di allontanare una minaccia imminente e di indurre alla ragione chi ha il potere di vita o di morte e lo adopera ogni giorno contro di te.
La verità è che gli Ebrei non hanno un bel niente da festeggiare, né ieri né oggi. Nel corso del settecento i papi rinnovano l’infame corpus legislativo, foriero di tragedie fino alla Shoah, che impone il ghetto ed altre orribili punizioni già da oltre duecento anni. Clemente XII (1730-1740) sostenitore della tortura, ripristina la "mazzolatura", rottura delle ossa a colpi di bastone, e prepara un minuzioso codice antiebraico, rinnovato da Benedetto XIV e poi da Pio VI. Ebrei condannati a morte, obbligati a subire il “confortorio”, cioè la pressione senza sosta alla conversione ad opera di temibili organizzazioni dell’Inquisizione come gli ordini mendicanti (domenicani, francescani) o la confraternita di San Giovanni Decollato, veri e propri aguzzini. Benedetto XIV (1740-1758) teorizza il favor fidei con il quale si dichiara prevalente su ogni altra autorità il criterio del vantaggio per il cristianesimo; è la base per una campagna di conversioni forzate e di rapimenti di bambini ebrei e per gli ordini, da parte dell’Inquisizione, di spezzare le lapidi dei cimiteri ebraici. Pio VI (1775-1799) promulga il terrificante “Editto sopra gli Ebrei” nel 1775, reiterato con aggravanti nel 1793 per calmare i cristiani che volevano distruggere il ghetto e gli ebrei.
Chiediamo che gli storici arazzi settecenteschi, simbolo della triste sottomissione degli ebrei al potere della chiesa, non siano ostentati urbi et orbi come la falsa metafora dello storico rapporto di amicizia che lega i cristiani agli ebrei o della presunta inclusione di questi nella società del tempo. Considerazione ed amicizia non sono mai esistite, né tanto meno dialogo paritario e rispetto dei diritti umani. Il cristianesimo, prendendo le mosse dal Vangelo, infatti, non ha mai rispettato i diritti umani, i diritti dei popoli, i diritti degli ebrei, dei popoli indigeni, dei Roma, degli Africani, dei bambini, delle donne, degli omosessuali, il diritto alla diversità. il cristianesimo non ha sottoscritto la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo ed esprime da sempre oppressione, violenza e prevaricazione. Per questo noi consideriamo l’impegno della chiesa per l’evangelizzazione del mondo, essenziale non per la vita civile ma per la distruzione delle società, dei popoli e della diversità.
Chiediamo che, pubblicamente e in presenza della stampa, durante la visione dei preziosi addobbi, sia dettagliatamente descritta la condizione degli Ebrei romani all’epoca della manifattura degli arazzi e sia letto l’Editto sopra gli Ebrei qui riportato:
http://www.gherush92.com/documents/editto_sopra_gli_ebrei.htm
NO ALLA VISITA DEL PAPA IN SINAGOGA
NO AL CROCIFISSO IN SINAGOGA
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Camus, Pio XII e il linguaggio “chiaro”
di Franck Nouchi (Le Monde, 20 gennaio 2010 (traduzione: www.finesettimana.org)
Sono state alcune immagini intraviste nei telegiornali del fine settimana, appena il tempo di vedere papa Benedetto XVI varcare la soglia della sinagoga di Roma. Atmosfera in apparenza cordiale, niente lasciava trasparire il turbamento suscitato nella comunità ebraica italiana dall’annuncio della prossima beatificazione di Pio XII. Segno che questa visita rivestiva un carattere eccezionale, si notavano tra i presenti personalità come l’arcivescovo di Parigi - il cardinale André Vingt-Trois -, il patriarca di Gerusalemme, il grande rabbino di Haifa e Andrea Riccardi, presidente della comunità di Sant’Egidio.
Evocando l’atteggiamento del Vaticano durante la Shoah, il papa ha detto che la Sede apostolica aveva “condotto un’azione di aiuto, spesso sconosciuta e discreta”. Alla fine della cerimonia, dei discendenti di deportati hanno consegnato a Benedetto XVI una lettere firmata da diversi sopravvissuti: “A quell’epoca, noi siamo stati abbandonati da tutti. Che questo silenzio di tutti non sia un silenzio nel futuro.”
Per il momento, non potendo avere accesso agli archivi del Vaticano sul pontificato di Pio XII, dobbiamo accontentarci del lavoro degli storici e di qualche testimonianza.
In una lettera inviata a Le Monde, il grande rabbino di Strasburgo, René Gutman, ci invita a rileggere il testo di Albert Camus. In “L’incroyant et les chrétiens” (Actuelles, 1948), l’autore di Lo straniero scriveva: “Ho a lungo atteso in quegli anni spaventosi che una grande voce si levasse a Roma (...). Mi hanno spiegato dopo che la condanna era stata davvero emessa. Ma che era stata espressa nel linguaggio delle encicliche che non è affatto chiaro. La condanna era stata emessa, ma non era stata compresa! (...) Quello che il mondo si aspetta dai cristiani è che i cristiani parlino, a voce alta e chiara, e che esprimano la loro condanna in maniera tale che mai il dubbio, mai un solo dubbio, possa sorgere nel cuore dell’uomo più semplice.”
Quattro anni prima, in Combat (datato 29 dicembre 1944), Camus esprimeva già lo stesso sentimento: “Da anni aspettavamo che la più grande autorità spirituale di questo tempo si decidesse a condannare in termini chiari le imprese delle dittature. (...) Il nostro segreto desiderio era che ciò fosse detto nel momento stesso in cui il male trionfava e in cui le forze del bene erano imbavagliate. (...) Diciamolo chiaramente, avremmo voluto che il papa prendesse posizione, proprio in quegli anni vergognosi, e denunciasse quelle che bisognava denunciare.”
In fondo, è questa la grande lezione. Di fronte a degli avvenimenti gravi, dire i fatti, alto e forte, non foss’altro che per semplice spirito di solidarietà. Mai rifugiarsi nell’astruso. Sempre fare in modo di essere compresi da tutti. Un silenzio glaciale accompagnava tutti coloro che era portati via verso i campi di morte.
Indovina chi viene in sinagoga
di don Filippo Di Giacomo *
Per coloro ancora indotti a pensare che i discorsi scambiati in sinagoga fra cattolici ed ebrei non servano, proviamo a fare un esercizio di memoria. La foto di Pio XII è stata posta nella settima sala dello Yad Vashem di Gerusalemme, sul muro della vergogna, nel 2005, all’apertura del nuovo museo, da un gruppo di ebrei italiani. Negli stessi mesi, altri ebrei italiani pensavano a far piantare alberi nei giardini dello stesso memoriale, dedicati a sacerdoti stretti collaboratori di Pio XII.
Sempre nel 2005, al momento dell’elezione al soglio pontificio di Benedetto XVI, il direttore dell’Anti-Defamation League, Abe Foxman dichiarava: «da un punto di vista ebraico, il fatto che venga dall’Europa è importante perché porta con sé comprensione e memoria della dolorosa storia dell’Europa e dell’esperienza degli ebrei europei nel XX secolo». Alcuni funzionari del ministero degli Esteri qualche giorno dopo, il 25 aprile, con una grettezza tale da essere riconosciuta successivamente dallo stesso governo israeliano, ordivano una campagna di odio e di insulti contro Benedetto XVI. Pretesti immaginari, ma risultati egregi fornirono al ministero degli Esteri israeliano la possibilità di ritirarsi dalla commissione che stava trasformando in legge gli obblighi assunti nel 1993 da Israele al momento del reciproco riconoscimento con la Santa Sede.
Nel febbraio del 2009, la società indipendente di studi socio-politici Smith Institut, ha condotto in Israele una ricerca per valutare la percezione e l’opinione dei cittadini israeliani in merito al cattolicesimo. La ricerca ha dato risultati (pubblicati dal quotidiano Yediot Ahronot a fine febbraio) sorprendenti solo per i distratti ed è stata condotta tra le due querelles che hanno infiammato il mondo cattolico-ebraico agli inizi del 2009: una scaturita dalle affermazioni negazioniste del vescovo Williamson, l’altra dalle battute sacrileghe anticristiane di un comico ebreo sulla Tv commerciale Canale 2. I dati tengono conto di coloro che abitano Israele da laici e di quelli che invece vi risiedono come “osservanti”.
È una distinzione assai particolare che, fuori d’Israele, rischia di avere poco senso: se l’ortodossia è determinata dal grado di aderenza alle leggi e alle pratiche religiose ebraiche, solo il 20 per cento degli ebrei israeliani adempie a tutti i precetti religiosi, il 60 per cento adotta una combinazione di leggi secondo scelte personali e tradizioni etniche, ed il 20 per cento è essenzialmente non osservante. In Israele il 54% dei cittadini laici considera il cristianesimo vicino all’ebraismo e molto più amichevole dell’islam; la quasi totalità ritiene gli arabi israeliani di fede cristiana ottimi cittadini; il 91% non è disturbato dai simboli cristiani; l’80% non ha difficoltà a visitare le chiese cristiane; il 71% riconosce ai cristiani il diritto al proselitismo anche in Israele; il 68% vorrebbe che il cristianesimo fosse studiato nelle scuole (e il 52% estende tale desiderio anche ai Vangeli) e oltre il 50% sarebbe d’accordo con il finanziamento dello stato per le chiese cristiane così come avviene per le sinagoghe.
Come ci insegnano i nostri storici più avvertiti, è davanti al muro della morte di Auschwitz e negli abominevoli resti della catena industriale di camere a gas e crematori di Birkenau che è nata l’Unione Europea. In Israele, avamposto democratico, dopo 14 anni la discussione in merito alla parte applicativa dell’approdo israelo-vaticano sulla presenza e le attività delle comunità cattoliche residenti sul territorio dello Stato d’Israele è ancora aperta.
A ottobre, a Roma, quando si riunirà il Sinodo dei vescovi per il medio oriente si discuterà sul deficit di democrazia e libertà religiosa di cui, soprattutto i cristiani, soffrono nei Paesi del mediterraneo e della penisola arabica. Il 17 gennaio, nella sinagoga di Roma, quando Benedetto XVI spesso anche calorosamente applaudito - nel suo discorso di risposta - ha chiesto che in Terra Santa «tutti percorrano umilmente il cammino della giustizia e della compassione», le mani degli astanti sono rimaste ben ferme. Un silenzio che rivela anche nell’ebraismo italiano la forza di chi crede che i governi israeliani non vadano mai criticati. Dalla stessa società israeliana giungono invece le voci forti di chi sostiene strenuamente che la mancanza di chiarezza in materia di diritti fondamentali rallenterà all’infinito il cammino della pace.
Quando la foto di Pio XII sarà staccata dal muro della settima sala dello Yad Vashem, sapremo che la discussione - che gli israeliani stanno conducendo sempre “al rialzo” - sul primo abbozzo di un concordato mediorientale, non più legato “al favore del principe” ma basato su diritti riconosciuti e condivisi, sta per aprire una nuova, bella pagina di democrazia e di cittadinanza per tutti.
* l’Unità, 27 gennaio 2010
di Giancarlo Zizola (la Repubblica, 18 gennaio 2010)
Indietro non si torna. Parola di Papa. La dottrina del Concilio Vaticano II sugli Ebrei costituisce - ha detto in Sinagoga - un punto fermo irreversibile. Di più, ha impegnato la Chiesa cattolica in questo solco. Una chiamata in causa che ricade come una sconfessione sulle correnti ostinatamente antisemite del lefebvrismo ultracattolico, troppo frettolosamente perdonato. L’assicurazione filoconciliare di Benedetto XVI introduce una variante nella disputa sulla continuità del Vaticano II rispetto alla tradizione della Chiesa. Se c’è un punto del Concilio in cui la critica alla tradizione di molti secoli è indubitabile, questo è la dichiarazione "Nostra Aetate" sugli Ebrei e le altre religioni non cristiane.
L’impegno contratto dal Papa si traduce in un riconoscimento del valore permanente delle deliberazioni conciliari, tanto più ragguardevole in un’ora in cui vengono raggiunte da processi involutivi. Significa anche ammettere che la tradizione della Chiesa è fatta non solo di ripetizioni del passato, ma anche di ricerca di forme veritative più autentiche ed ampie di quelle precedenti. Questa Sinagoga bis del papato prova che il dialogo ebraico-cristiano si radica nella struttura istituzionale del mondo ebraico e della Chiesa romana. Certe diffidenze ebraiche sono motivate dalla storia, che mette in scena una continua alternanza fra persecuzione e meno larghi periodi di tolleranza. Ora il fatto che da Giovanni XXIII al Papa attuale siano già cinque i Papi favorevoli al dialogo con l’ebraismo, dovrebbe assicurare i timorosi che questa opzione non è congiunturale, ma si fonda sulla messa in valore di elementi fondamentali comuni anteriormente eclissati.
Certo, Ratzinger mostra di preferire il tavolo teologico a quello politico. Come fa leva nel suo magistero sulla formazione biblica e teologica di un cattolicesimo troppo a lungo distratto o illuso dalle massificazioni wojtyliane, così punta sulla rieducazione di ebrei e cattolici per migliorare una conoscenza reciproca, che sembra generalmente carente. E ha risolto positivamente - non c’era da dubitarne - la questione della salvezza promessa per sempre al Popolo dell’Alleanza. Ma se avesse scelto di lasciare in guardaroba le cautele diplomatiche e seguire Riccardo Pacifici sui carboni ardenti dei silenzi di Pio XII e della politica anti-israeliana dell’Iran, non gli sarebbe stato difficile ricordare che furono i persiani a liberare gli ebrei dall’esilio babilonese, a riportarli a Gerusalemme e ricostruire il Tempio.
Una visita "teologica" ha saputo paradossalmente individuare un progetto di collaborazione. I partner hanno preferito discutere delle cose da fare insieme piuttosto che misurarsi sulle rispettive visioni identitarie. Ciò che manca alle religioni monoteistiche non è generalmente la loro reciproca fraternità. Essa giace dentro ciascuna di esse, come il cuore che pulsa segretamente e fa vivere. Ciò che manca a questi mondi religiosi è l’audacia di farsi Arca di Alleanza fra loro perché il mondo viva e l’arca della pace appaia nel futuro del mondo.
Sia il Papa che il rabbino hanno squarciato il velo su questo futuro inedito: la persuasione comune è che la vera Terra Promessa è al di là delle terre già raggiunte, è la Terra che è stata promessa non ad una religione particolare ma all’Uomo come tale, perché - ha suggerito Di Segni - «l’Uomo è santo», non la terra. Una intuizione decisiva per laicizzare le derive teocratiche nazionalistiche e i fondamentalismi incombenti.
A sua volta il Papa ha chiesto di trasformare la fede comune nell’Unico Dio in atto critico dei nuovi dei e vitelli d’oro, - la razza, lo Stato - che mettono a repentaglio l’identità stessa dell’Uomo. Un invito familiare al linguaggio dell’Ebreo Errante, mai quieto nelle logiche e interessi costituiti, preoccupato di salvare la differenza dai processi di omologazione per non abbandonare la storia ai suoi despoti. Ha chiesto alleanza nell’impegno di tradurre la Torah in un impegno etico globale sulla dignità della vita, la famiglia, l’ecologia, la pace. Infine, il tempo delle religioni monoteistiche è il tempo dell’Uomo: non avrebbero significato, in un mondo secolarizzato, se fossero appena interessate ciascuna alla propria sopravvivenza e se si accanissero a lottare fra loro, immemori dello scopo comune. Il solo significato possibile che resta loro è di lavorare perché questa Terra sia salvaguardata e la promessa di Dio così adempiuta.
LA RISATA DI PIRANDELLO: PER LA CHIESA CATTOLICA, SAN GIUSEPPE E’ ANCORA UN "GOJ", UNO STRANIERO.
LA LEZIONE DI EDUARDO DE FILIPPO: "L’ORO DI NAPOLI" - UN CONSIGLIO TERAPEUTICO
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DIFETTI TRA EBREI E CRISTIANI
E’ necessario tenere in giusta considerazione i difetti fondamentali che riguardano ... Continua
REGOLE DI BUONA CONDOTTA PER IL PAPA
In occasione della prossima visita al Tempio Maggiore di Roma suggerisce al papa ... Continua
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CONVERTIRE GLI EBREI E’ UN DELITTO CONTRO L’UMANITA’
BEATIFICARE PIO XII E’ UN DELITTO CONTRO L’UMANITA’
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LA VERA STORIA DEL MO’ED DI PIOMBO
E’ offensivo e odioso che il papa imponga la sua visita alla sinagoga di Roma il 17 gennaio prossimo in occasione della celebrazione del Moed (Festa) di Piombo. Era il tempo in cui il suo predecessore Pio VI promulgava l’ Editto sopra gli Ebrei con il quale induriva ulteriormente le vessazioni e le angherie già in atto contro gli ebrei, proprio quando i cristiani assaltavano il ghetto in cui avevano già segregato gli ebrei da oltre duecento anni.
NO ALLA VISITA DEL PAPA IN SINAGOGA
NO AL CROCIFISSO IN SINAGOGA
Ghetto di Roma 1775-1798
LA VERA STORIA DEL MO’ED DI PIOMBO
SPERANZE DI EMANCIPAZIONE
Un vento gelido da un cielo di piombo, come solo nel mese di shevat può accadere, in questa città prigione, nel cuore del ghetto ... Continua
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LA VERA STORIA
DEL MO’ED DI PIOMBO
4° PARTE E FINE
E’ offensivo e odioso che il papa imponga la sua visita alla sinagoga di Roma il 17 gennaio prossimo in occasione della celebrazione del Moed (Festa) di Piombo. Era il tempo in cui il suo predecessore Pio VI promulgava l’ Editto sopra gli Ebrei con il quale induriva ulteriormente le vessazioni e le angherie già in atto contro gli ebrei e proprio quando i cristiani assaltavano il ghetto in cui avevano già segregato gli ebrei da oltre duecento anni.
NO ALLA VISITA DEL PAPA IN SINAGOGA
NO AL CROCIFISSO IN SINAGOGA
Ghetto di Roma 1775-1798
LA VERA STORIA DEL MO’ED DI PIOMBO
4° PARTE E FINE
L’ALBERO DELLA LIBERTA’ Le notizie che arrivano sono sempre più frenetiche e alimentano il nostro desiderio di libertà. Nel 1796 i francesi entrano in Italia, ... Continua
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ANNULLIAMO LA VISITA DEL PAPA IN SINAGOGA!
Annulliamo il dialogo interreligioso !
La prossima visita del papa in sinagoga è un insulto agli ebrei, ai rom, agli omosessuali, alle donne e a tutti coloro che sono stati massacrati nella shoah e nel corso dei secoli dal cristianesimo. La manomissione della memoria, l’elogio del silenzio e la minimizzazione del significato della shoah sono un’offesa e una violazione dei diritti umani di tutte le vittime.
Benedetto XVI ha progettato una vera campagna per l’appropriazione da parte del cristianesimo della memoria e della shoah e agisce scientemente e in tempo per prepararsi ad entrare, il prossimo mese, nella sinagoga di Roma da Papa Re e Papa trionfatore, osannato dai benpensanti e dagli opportunisti. Caposcuola di una nuova corrente conservatrice di negazionismo e revisionismo storico, il pontefice mira a ridurre la shoah ad un evento accidentale, che - per quanto grave - resti per sempre sganciato dal cristianesimo e, dunque, dall’antisemitismo storico e di sempre.
Il papa intende manipolare e trascinare chiunque in questa nuova linea di pensiero, perfino gli ebrei, così da schiacciarli e isolarli nella loro memoria.
Sabato 19 dicembre, quando tutto il mondo può ascoltare ma non gli ebrei, principali destinatari della notizia; a ridosso della celebrazione del Natale quando i cristiani sono distratti perché impegnati nella preparazione della festa; a meno di un mese dalla visita alla sinagoga di Roma quando inviti, preparativi e allestimenti sono oramai stabiliti; a poche ore dal furto della insegna di Auschwitz, che ha significato manomissione e violazione della memoria, ecco arrivare, come un fulmine a ciel sereno, le argomentazioni diffuse da Benedetto XVI all’atto della firma dello scandaloso decreto sulle virtù eroiche di Pio XII, il papa della shoah:
“Papa Pacelli ebbe a consolare sfollati e perseguitati, dovette asciugare lacrime di dolore e piangere le innumerevoli vittime della guerra”. Agì spesso in modo segreto e silenzioso proprio perché, alla luce delle concrete situazioni di quel complesso momento storico intuiva che solo in questo modo si poteva evitare il peggio e salvare il più gran numero possibile di ebrei”.
Una violenta provocazione congegnata a regola d’arte!
Non contento, con una manovra calcolata, di fronte alla attonita reazione ebraica, il 21 dicembre ha ricordato che “La visita a Yad Vashem (11 maggio 2009) ha significato un incontro sconvolgente con la crudeltà della colpa umana, con l’odio di un’ideologia accecata che, senza alcuna giustificazione, ha consegnato milioni di persone umane alla morte e che con ciò, in ultima analisi, ha voluto cacciare dal mondo anche Dio, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe e il Dio di Gesù Cristo”. Con una messa in scena degna del più stupefacente trasformismo, il cristianesimo con il suo “Dio di Gesù Cristo” - causa originaria e principale responsabile della shoah, apice di 20 secoli di persecuzione cristiana in Europa - diviene improvvisamente una vittima. E’ ancora il caso di ripetere che l’accecata ideologia che nel tempo ha provocato milioni di vittime innocenti è proprio il cristianesimo? E che non esiste antisemitismo che non affondi le sue radici nel cristianesimo?
Nello stesso discorso il pontefice auspica nella chiesa la creazione di un luogo dove atei e agnostici - anche se in mezzo ad oscurità di vario genere - possano pregare il Dio ignoto in modo da entrare in relazione con l’unico vero Dio cristiano. E così sottrae identità e memoria anche ad atei e agnostici, molti dei quali, eretici, infedeli, massoni e comunisti, persero la vita nelle persecuzioni dall’Inquisizione alla shoah.
Con il doppio gioco del perfetto trasformista, da una parte celebra il dialogo interreligioso, programma la visita alla sinagoga di Roma, si reca al museo della shoah di Gerusalemme, dall’altra reintroduce la preghiera "Oremus et pro Iudaeis" del venerdì santo, revoca la scomunica dell’antisemita Williamson, negazionista della shoah, dà il via libera al processo di beatificazione dell’odioso Pio XII. Nulla è lasciato al caso, anche la visita del 17 gennaio cade in un giorno che ricorda un’altra persecuzione cristiana degli ebrei del ghetto di Roma.
A proposito di papa Pacelli, il papato istituisce una Commissione di studio di rappresentanti del mondo ebraico e del Vaticano per approfondire il caso, ma poi decide, in modo unilaterale, dettando condizioni ed esiti: i documenti di archivio restano chiusi e le richieste degli Ebrei inascoltate. Evitando e rimuovendo le richieste della Commissione, con il decreto unilaterale firmato dallo stesso Ratzinger, oggi Pio XII è un eroe, un modello per le nuove generazioni, un “venerabile” pronto per la beatificazione.
Con un’operazione divide et impera semina zizzania fra gli stessi ebrei. Padre Peter Gumpel - il relatore della causa di beatificazione di Pio XII - ha dichiarato “Prima di tutto vorrei dire che non tutto il mondo giudaico è contro la beatificazione, ma solo una parte di esso. Penso ad esempio agli ebrei americani, che in maggioranza sono grati per quanto Pio XII si prodigò per salvare il maggior numero di vite umane.”
La realtà è che in America i sopravvissuti alla shoah e i loro discendenti hanno deciso di coalizzarsi e formare un gruppo di pressione su papa Benedetto XVI perché fermi il processo di beatificazione di Pio XII. Se diventasse santo sarebbe una tragedia per le relazioni ebraico-cristiane. La realtà è che Pio XII è uno dei principali responsabili della shoah. Solo con un’operazione mistificatoria è possibile celebrare le virtù eroiche di Pio XII. Il silenzio e il segreto sulla shoah non sono certo un atto di eroismo, ma significano omertà, complicità, connivenza.
Padrone e re dell’occidente cristiano, Pio XII fu un esempio per tutti coloro che chiusero gli occhi dinanzi alla deportazione di ebrei, rom, omosessuali, prigionieri politici e dissidenti. Sapeva degli stermini in atto, avrebbe potuto assumersi delle responsabilità, mobilitare cristiani per fermare il massacro, rischiare almeno la sua pelle, fosse stato un vero eroe. Ma forse era solo uno di quei cristiani miserabili e senza umanità, come ha scritto di lui Pasolini con mirabile sintesi:
“Lo sapevi, peccare non significa fare il male:
non fare il bene, questo significa peccare .
Quanto bene tu potevi fare! E non l’ hai fatto:
non c’è stato un peccatore più grande di te.”
Il decreto su Pio XII non è una questione interna alla chiesa, come vorrebbero farci credere. E’ come dire che il problema della pedofilia è un problema interno della chiesa che non riguarda i bambini aggrediti e profanati, che l’antisemitismo non riguarda gli ebrei, che l’accusa di deicidio non interessa le vittime di quella calunnia scellerata, o ancora, che i crimini dei carnefici non riguardano le vittime. E’ ovvio, poi, che se si fa parte di una commissione che deve giudicare i fatti e l’operato di Pio XII, la questione non è interna.
Perfino nella diplomazia ufficiale la formula “questione interna” è usata raramente, magari nell’imminenza di una visita di stato e se proprio non se ne può fare a meno.
Ma la visita del papa in sinagoga non è una visita di stato! Non doveva essere, piuttosto, il suggello della ripresa di quel dialogo religioso ebraico-cristiano, impossibile, da molti implorato senza benefici?
C’è da chiedersi perché insistere a partecipare a tavoli di studio e dialoghi con un partner così inaffidabile. Il dialogo interreligioso dà l’avvio alla beatificazione del papa della shoah, con l’umiliazione delle vittime e senza il supplemento di indagine storica, richiesta e concordata ma resa superflua dal nuovo decreto.
“Quando gli storici avranno modo di analizzare con serenità le carte che sono chiuse negli archivi, capiranno meglio la grandezza di questo Papa. La Santa Sede ha fatto tutto quello che poteva fare” con queste paternalistiche e arroganti parole del Cardinale Cottier, teologo della Casa Pontificia e collaboratore di Ratzinger, si intenderebbe chiudere per sempre la bocca agli ebrei e costringerli ad ingoiare l’amaro boccone.
Da più di mezzo secolo qualcuno parla del “presunto silenzio” di papa Pacelli, ma il silenzio è l’unica vera verità e il giudizio degli ebrei rimane negativo e inalterato: agli ebrei non servono archivi, né documenti, che, se rimangono segreti, evidentemente non esistono, a meno che non si voglia preparare un’ulteriore falsificazione.
L’unica verità incontestabile sono le vittime innocenti, gli uccisi solo perché erano quel che erano. Il loro assassinio reiterato resta l’unico inconfutabile giudizio sui loro carnefici che, seppure mascherati, non possono sfuggire alle proprie responsabilità.
Questa beatificazione non è una questione interna alla chiesa. Chi sostiene tale posizione non è un diplomatico né un ministro e, pertanto, dovrebbe valutare l’azione del papa per quello che è: un’ennesima tentativo dei cristiani di mettere alla prova le proprie vittime e gli ebrei, aggredirli,opprimerli, umiliarli fino all’assimilazione.
Pio XII compì delle azioni immorali e ciascuno ha diritto e dovere di esprimere la propria pubblica opinione, mentre considerare queste azioni come eroiche è una ripugnante apologia, è una colpa, è una violazione dei diritti umani degli ebrei e di tutte le vittime della shaoh.
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Ma così si riaprono antiche ferite
di Sergio Luzzatto (Il Sole 24 Ore, 22 dicembre 2009)
La contemporaneità delle due notizie è da ritenersi casuale, ma colpisce ugualmente. In Polonia, alcuni criminali rubano da Auschwitz la scritta-simbolo della Soluzione finale, «Arbeit macht frei». In Vaticano, Papa Ratzinger firma il decreto che avvia Pio XII sulla strada della beatificazione. Un increscioso affronto simbolico alla memoria della Shoah coincide con un clamoroso riconoscimento canonico delle "virtù eroiche" di chi era pontefice durante lo sterminio degli ebrei
Nei giorni scorsi, le due notizie hanno provocato reazioni differenti. Il furto compiuto in Polonia ha suscitato l’unanime riprovazione dell’opinione pubblica internazionale, che ha tirato un grande sospiro di sollievo quando si è saputo che l’insegna era stata ritrovata. Il decreto firmato in Vaticano ha invece diviso. Da una parte gli apologeti di Pio XII, fieri che Ratzinger abbia rotto gli indugi e fiduciosi di vedere Pacelli elevato presto agli altari. Dall’altra parte i critici di Pio XII, inquieti che la decisione vaticana offenda le comunità ebraiche e penalizzi il dialogo interreligioso. In realtà, la doppia notizia di questi giorni andrebbe sottratta sia al tempo troppo rapido delle news, sia al riflesso quasi pavloviano delle contrapposte appartenenze. Andrebbe consegnata a un’analisi più distesa, a una riflessione più storica. Si scoprirebbe forse, a quel punto, che non tutto il male viene per nuocere.
Lo sciagurato furto di Auschwitz ha offerto una testimonianza straordinaria di come la Polonia stia cambiando. Nelle quarantotto ore intercorse fra il trafugamento dell’insegna e il suo ritrovamento, il paese natale di papa Wojtyla - amico vero degli ebrei - è stato colpito da un trauma collettivo. Di là dalla mobilitazione poliziesca per identificare e arrestare i responsabili del furto (a quanto sembra, non immediatamente legati a circoli neonazisti), la Polonia si è dimostrata compatta nel vivere l’episodio criminale come un terribile memento dei suoi trascorsi di nazione antisemita
Pochi anni fa, la pubblicazione di un libro di storia che sottolineava il volenteroso contributo dei polacchi alla Soluzione finale del problema ebraico (Jan T. Gross, I carnefici della porta accanto, Mondadori 2002) aveva suscitato reazioni piccate e scomposte nella Polonia dei fratelli Kaczynski e di Radio Maryia. Oggi, l’antisemitismo che tuttora alligna in alcuni settori della società polacca ha dovuto inchinarsi alle passioni e alle ragioni di una nazione altrimenti matura e civile. Quanto alla prospettiva di un’elevazione agli altari di Papa Pacelli, non c’è dubbio che si tratti di una faccenda carica d’implicazioni gravi. Lo attestano i segnali di protesta che si vanno levando - oltreché dalle comunità ebraiche - dagli ambienti cattolici più impegnati sul fronte dell’ecumenismo. La decisione di Joseph Ratzinger minaccia di riaprire ferite che ci si poteva augurare rimarginate per sempre grazie all’impegno di Karol Wojtyla.
Eppure, anche nel caso del decreto vaticano su Pio XII non tutto il male viene per nuocere. Perché qualunque cosa la Chiesa cattolica voglia decidere riguardo alla beatificazione di un papa, la collettività intera ha ancora bisogno di studiare, di ragionare, di sapere intorno alla questione del rapporto fra carnefici, vittime e spettatori della Shoah.
La storia guadagna poco da un approccio di tipo giudiziario, da una dialettica secca colpevole/innocente. E tanto meno guadagna la storia della Shoah, che tra il bianco e il nero conobbe infinite gradazioni di grigio. Pio XII non va trasformato nell’unico responsabile di quella che fu l’indifferenza diplomatica - o, peggio, il calcolo politico -anche delle maggiori potenze impegnate nella guerra contro il nazismo. Dal 1941 al ’45, il silenzio di Churchill e di Roosevelt (per tacere di Stalin) fu altrettanto assordante del silenzio di Papa Pacelli
Ciò detto, il Vaticano potrebbe ben guardare alla vicenda di cattolici i quali, durante la Soluzione finale, mostrarono di possedere "virtù eroiche" assai più sviluppate che quelle di Pio XII. Uno per tutti: Jan Karski, eccezionale figura di messaggero della Resistenza polacca presso i governi alleati. In un giorno d’agosto del 1942, questo giovane uomo vide lo spettacolo inenarrabile del ghetto di Varsavia, e da allora ebbe una sola idea fissa: far sapere al mondo che gli ebrei venivano sterminati. Le torture dei nazisti non lo fermarono. Fra il ’43 e i1 ’44 Karski fu a Londra, fu a Washington, bussò a tutte le porte di tutti i potenti della coalizione antihitleriana. Non fu creduto, ma non smise di battersi per salvare - se non la vita degli ebrei - almeno la coscienza del mondo. Lui sì che andrebbe fatto santo, santo subito. Sergio Luzzatto insegna storia moderna all’Università degli studi di Torino
Il papa dei troppi silenzi
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 22 dicembre 2009)
Santo no. Anche se appare un leader importante della Chiesa del Novecento. Pio XII, che papa Ratzinger sta portando sugli altari, resta una figura controversa. Difficile presentarlo come simbolo e modello da seguire. È bastato che Benedetto XVI firmasse il decreto sulle “virtù eroiche” di Eugenio Pacelli (ultimo passo, oltre al riconoscimento di un miracolo, prima della beatificazione ufficiale) perché esplodesse nuovamente la crisi fra Ratzinger e il mondo ebraico. Il Papa dovrebbe recarsi in visita alla Sinagoga il 17 gennaio, ma ora tutto è in forse. Già l’anno scorso, proprio a causa dell’esaltazione di Pio XII fatta da Ratzinger, l’assemblea rabbinica italiana aveva cancellato la tradizionale giornata d’incontro cattolico-ebraica.
Faticosamente si era riallacciato il dialogo e adesso arriva la nuova gelata. Dietro le quinte sono in corso negoziati molto tesi perché il Vaticano garantisca che la beatificazione di Pacelli non abbia luogo almeno nel 2010 assieme a quella di Karol Wojtyla.
Continua a pesare su Pio XII l’atteggiamento di diplomatica prudenza di fronte all’Olocausto, quel “silenzio” che gli fu rimproverato dal drammaturgo Rolf Hochhuth nell’opera teatrale “Il Vicario”, che nel 1963 si conquistò risonanza mondiale. Ancora oggi i maggiori rappresentanti dell’ebraismo gli rimproverano di non avere detto una parola quando i nazisti rastrellarono a Roma, quasi sotto le finestre del Palazzo apostolico, e oltre mille ebrei che vennero deportati ad Auschwitz il 16 ottobre 1943.
Negli ultimi vent’anni l’immagine di papa Pacelli è rimasta schiacciata sulle vicende della Shoah, paradossalmente dopo che nell’immediato dopoguerra esponenti ebraici di primo piano come il premier israeliano Golda Meir lo avevano elogiato come difensore delle vittime dell’Olocausto. In effetti immaginare Pio XII tollerante verso il nazismo o peggio suo complice - secondo la tesi adombrata nel titolo del libro “Hitler’s Pope - Il Papa di Hitler” dello scrittore britannico John Cornwell - è una falsità. Pacelli aveva orrore di Hitler e dell’ideologia neopagana e razzista del nazismo. Negli archivi sono state trovate anche tracce di un suo cauto, ma convinto appoggio ai tentativi di circoli dell’establishment tedesco di eliminare il Führer. Né si può dimenticare l’impulso da lui dato a istituzioni e conventi cattolici per salvare in ogni modo un numero grandissimo di ebrei.
E tuttavia, nella stagione cruciale del duello mortale ingaggiato tra il nazifascismo e lo schieramento antifascista, divenuto poi in guerra il fronte degli alleati, Eugenio Pacelli è rimasto vittima di una concezione tutta politica e diplomatica della sua missione. Era preoccupato di salvaguardare per la Santa Sede una posizione al di sopra delle parti nel conflitto mondiale, preoccupato di garantire i diritti della Chiesa cattolica tedesca attraverso il Concordato offertogli da Hitler, preoccupato di mantenere per la Germania una funzione di baluardo nei confronti del bolscevismo, convinto di scegliere il male minore non chiamando per nome la bestiale persecuzione degli ebrei nell’intento di salvarli dietro le quinte.
Così Pio XII non ha saputo essere all’altezza del momento storico. Quanto più negli ultimi cinquant’anni è cresciuta la consapevolezza internazionale del carattere radicalmente disumano della Shoah tanto più appare chiaro che Pio XII ha mancato nel ruolo profetico che dovrebbe svolgere un “vicario di Cristo”. Ci sono tappe precise che testimoniano dei fallimenti di papa Pacelli, non riscattati dalla sincerità delle sue intime angosce. Come segretario di Stato vaticano Pacelli preme nel 1933 sul partito cattolico tedesco Zentrum affinché voti i pieni poteri a Hitler, prologo della dittatura organica. A Pacelli interessava ottenere il concordato con il Terzo Reich. Eppure i cattolici del Zentrum e i socialdemocratici avevano voti abbastanza per impedire l’approvazione della legge, ma Pacelli, diffidente della democrazia e avverso ai socialdemocratici, volle altrimenti. Subito dopo la conferenza episcopale tedesca fu costretta ad abrogare i suoi precedenti pronunciamenti antinazisti. E quando si verificò il gigantesco pogrom antiebraico della Notte dei Cristalli, la Chiesa stette in silenzio.
Appena eletto pontefice Pacelli mise nel cassetto il progetto di un’enciclica contro l’antisemitismo, progettata dal suo predecessore Pio XI. Non condannò decisamente la violazione della neutralità di Belgio e Olanda da parte delle truppe tedesche. Suscitò amarezza nei cattolici polacchi, che non si sentirono abbastanza difesi. Non denunciò apertamente lo sterminio degli ebrei, pur mandando messaggi chiari di simpatia e solidarietà al popolo ebraico usando un linguaggio allusivo. È in questo quadro che si situa il tragico silenzio sul rastrellamento dei 1021 ebrei romani nel 1943. Silenzio osservato, nella sua ottica, per aiutare le vittime.
Papa Wojtyla, nel suo viaggio in Germania nel 1996, elogiò i vescovi olandesi che avevano protestato pubblicamente contro le persecuzioni antisemite. La reazione nazista fu spietata, ma la citazione di Giovanni Paolo II rivelò eloquentemente che il pontefice polacco riteneva che dinanzi all’“Anticristo” non bisognasse fermarsi a fare di conto tra profitti e perdite.
Pio XII stesso sapeva che il suo silenzio sarebbe stato giudicato. Lo documenta l’interessante biografia di Andrea Tornielli (Mondadori). Tormentato, ne parlò già nell’ottobre del 1941 con l’allora nunzio Angelo Roncalli, futuro Giovanni XXIII. E appelli a levare profeticamente la sua voce gli vennero da personalità cattoliche francesi come Mounier e Mauriac, da Edith Stein, dal gesuita tedesco Friedrich Muckermann che già negli anni ‘30 si chiedeva perché la Chiesa si fermasse alla “tattica” e non denunciasse il nazismo con la stessa forza con cui combatteva il bolscevismo.
E così i silenzi di Pacelli hanno finito per oscurare anche il suo ruolo rilevante all’interno della Chiesa dopo la guerra. A studiarlo attentamente, il suo pontificato mostra importanti aperture nell’incoraggiare gli studi di esegesi biblica. È lui a dare un primo placet alle teorie evoluzioniste di Darwin come “ipotesi” accettabili. È lui ad autorizzare nei paesi del nord le messe nelle lingue nazionali. Lui a occuparsi per primo della regolamentazione delle nascite attraverso l’osservanza dei periodi fecondi e infecondi della donna. Lui, persino, a progettare un Concilio che mai si terrà. Poi c’è il capitolo della politica italiana, ma questa - come direbbe Kipling - è un’altra storia.
intervista a Daniele Menozzi a cura di Luca Kocci (il manifesto, 22 dicembre 2009)
Tre giorni dopo il riconoscimento delle "virtù eroiche" di papa Pio XII, preambolo alla beatificazione, da parte di papa Ratzinger, il mondo ebraico manifesta a gran voce la sua contrarietà alla santificazione di un pontefice da più parti accusato di aver taciuto di fronte alla tragedia della Shoah. Anche se ieri Benedetto XVI, nel discorso alla Curia romana, ha detto che l’Olocausto «ha cacciato dal mondo anche Dio», non si placano le polemiche. «La beatificazione di Pio XII è inopportuna e prematura, sino a quando i suoi archivi del periodo 1939-1945 resteranno chiusi e non si saranno chiarite le sue azioni, o inazioni, sulla persecuzione di milioni di ebrei durante l’Olocausto», dichiara Ronald Lauder, presidente del World Jewish Congress. E gli ebrei italiani, il presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane Renzo Gattegna e il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, che il prossimo 17 gennaio accoglierà papa Ratzinger in visita alla sinagoga della capitale, pur non volendo «interferire su decisioni interne della Chiesa», ribadiscono che se la decisione vaticana significasse «un giudizio definitivo e unilaterale sull’operato storico di Pio XII, la nostra valutazione rimane critica».
«La ricerca storica ha dimostrato che Pio XII è intervenuto solo a livello diplomatico, facendo presente al governo di Hitler che la Santa Sede non condivideva le persecuzioni contro gli ebrei», spiega Daniele Menozzi, docente di Storia contemporanea alla Scuola normale superiore di Pisa ed esperto del papato novecentesco. «Ma papa Pacelli - prosegue - non ha mai assunto una posizione pubblica di condanna durante la guerra. E questo è dimostrato anche dal fatto che nel magistero pontificio del periodo bellico la parola ebrei non viene mai usata. Pio XII la pronuncerà solo molti anni dopo, a guerra finita, per dire che non si poteva fare nulla di più di quello che è stato fatto, in una sorta di autoassoluzione».
Alcuni storici vicini alla Santa Sede sostengono che il silenzio di Pio XII fosse tattico, per consentire alla Chiesa di poter aiutare gli ebrei in segreto, per esempio nascondendoli nei conventi. Cosa ne pensa?
Istituzioni ecclesiastiche e singoli cattolici hanno sicuramente offerto una via di scampo a molti ebrei, ma il punto non è questo. La ricerca non può assumere le categorie con cui gli attori giustificano i loro comportamenti, perché il giudizio storico può tenere conto delle intenzioni ma deve basarsi sui fatti e sui risultati. E i risultati sono che i silenzi di Pio XII non hanno evitato lo sterminio degli ebrei, anzi hanno fatto parte del contesto in cui esso si è verificato. Aggiungo tuttavia che constatare il silenzio di Pacelli sulla Shoah non vuol dire che non ne fosse intimamente inorridito, né che non la condannasse e nemmeno che non cercasse di limitarne, tramite la via politico-diplomatica, le spaventose conseguenze. Significa solo che non prese pubblica posizione su di essa.
Insieme a Pio XII, papa Ratzinger ha riconosciuto anche le "virtù eroiche" di Giovanni Paolo II, dicendo che "i santi non sono rappresentanti del passato ma costituiscono presente e futuro della nostra società". Esiste una sorta di "politica" vaticana delle canonizzazioni?
Per secoli la Chiesa di Roma non ha santificato dei papi. Poi, a partire dalla seconda metà del ’900, proprio con Pio XII, si è iniziato a canonizzare pontefici, soprattutto quelli del XX secolo, avviando una prassi, interrotta solo da Giovanni XXIII e Paolo VI, per cui i papi vengono fatti santi. C’è una spiegazione: un papato che si sente in difficoltà in una società contemporanea che sfugge al suo controllo tende a rafforzarsi santificando se stesso.
La decisione di affiancare Pio XII e papa Wojtyla è casuale?
Non credo. Mi sembra che si voglia ripetere quanto venne fatto da Giovanni Paolo II nel 2000 beatificando Pio IX, ovvero un papa molto controverso, insieme con Giovanni XXIII, un papa al contrario molto popolare. E anche oggi si mettono insieme il discusso Pio XII con il popolarissimo Wojtyla. Ma le difficoltà mi sembrano maggiori perché il rapporto di Pacelli con il mondo ebraico è una ferita ancora aperta.
Ebrei tedeschi in rivolta
"Il Papa riscrive la Storia"
Tensione anche a Roma, a rischio la visita in sinagoga
di Andrea Tarquini e Orazio La Rocca (la Repubblica, 23.12.2009)
Clima di tensione crescente tra le comunità ebraiche europee e la Santa Sede dopo la decisione di papa Benedetto XVI di accelerare la beatificazione di Pio XII. Il Consiglio centrale degli ebrei di Germania ha criticato il Papa tedesco, definendola «assolutamente prematura» e parlando di «tentativo della Chiesa cattolica di scrivere in un altro modo la Storia». E stasera alle 20,30 si terrà a Roma, sotto la presidenza di Riccardo Pacifici, un tesissimo consiglio della comunità romana per analizzare il "caso Pacelli" alla luce della dichiarazione del Pontefice sull’eroicità delle virtù sancita da papa Ratzinger per Pio XII stesso.
A Roma e nella comunità ebraica italiana l’attesa è grande e anche la preoccupazione è palpabile: il timore è che i delusi dalla decisione di Benedetto XVI possano prendere il sopravvento, e la preventivata visita del pontefice in Sinagoga, il 17 gennaio prossimo, possa essere messa in discussione. Ci si attende dal Vaticano «almeno un gesto o una iniziativa» con cui si spieghi che gli aspetti storici del pontificato di Pio XII saranno definitivamente chiariti, specialmente per quanto riguarda i presunti silenzi sull’Olocausto. «Nessuna interferenza sulla beatificazione, ma anche niente coperture sulle ombre storiche di quel pontificato», ammoniscono i vertici degli ebrei romani. A Bologna sempre oggi si riunirà un gruppo di rabbini convocati dal presidente dell’Assemblea dei rabbini italiani, Giuseppe Laras, che fu il primo a parlare di seri pericoli per la visita del papa in Sinagoga in caso di mancata chiarezza sul caso Pacelli. Di fronte al Tempio Maggiore del Ghetto sono anche apparse scritte sui muri di protesta per le scelte di Benedetto XVI.
In questo clima cresce il malcontento della comunità ebraica tedesca, quella che proprio nella patria dell’attuale papa sta vivendo un rifiorire di presenza nella società e nella cultura. «Sono triste e pieno di collera, è assolutamente prematuro intraprendere un simile passo», ha detto, citato da Der Spiegel, il segretario generale Stephan Kramer. E ha aggiunto, nella sua dura dichiarazione rilanciata con forza da tutti i media tedeschi: «È un chiaro rovesciamento dei fatti storici del periodo nazista». Secondo Kramer la Chiesa cattolica «cerca di riscrivere la Storia». E si dichiara indignato del fatto che il Papa «non permetta lo svolgimento di alcuna seria discussione scientifica» sul caso.
Molti esponenti delle comunità ebraiche accusano Pio XII di aver saputo e taciuto sulla Shoah, e non basta loro la reazione vaticana secondo cui Papa Pacelli avrebbe cercato di aiutare gli ebrei in silenzio. La rivolta degli ebrei tedeschi è particolarmente imbarazzante per la Santa Sede: la comunità ebraica a Berlino ha ottimi rapporti con l’establishment della Cancelliera cristiano--conservatrice Angela Merkel, la leader europea più decisa nel ricordare sempre gli orrori del passato.
la Repubblica, 23.12.2009
Gli archivi britannici confermano i silenzi di Pio XII sulla Shoah
L’ambasciatore inglese in Vaticano: "Non me ne parlò mai"
Il principale timore di Pacelli era la mancanza di viveri in caso di ritirata dei tedeschi
di Filippo Ceccarelli
«Oggi il Papa mi ha ricevuto in udienza per un’ora - telegrafa l’ambasciatore inglesi due giorni dopo la retata degli ebrei romani -. Sembrava in buone condizioni e di buon umore, il suo atteggiamento era sereno in rapporto all’attuale situazione, ma pienamente cosciente dei futuri pericoli...».
Di solito le cancellerie non s’interrogano sulla futura santità dei loro interlocutori, tantomeno in guerra. Ma i documenti della diplomazia, per quanto anch’essi di scarso valore nella ricostruzione postuma delle eroiche virtù, hanno comunque un loro valore perché aiutano, nella loro indispensabile parzialità, a far capire come i possibili santi reagiscono in certi momenti.
Con tale premessa si dà conto, in modo più esteso di quanto lo si sia fatto finora, di un documento fra i tanti recuperati da Mario J. Cereghino negli archivi del Foreign Office di Kew Gardens e oggi consultabili presso l’Archivio Casarrubea di Partinico (www.casarrubea.wordpress.com). Si tratta della nota "segreta" che il 2 novembre del 1943 il ministro degli Esteri del Regno Unito Anthony Eden spedisce al visconte di Halifax, ambasciatore di Sua Maestà a Washington, e che contiene il resoconto di un incontro che l’ambasciatore britannico presso la Santa Sede, Sir D’Arcy Osborne, ha avuto con Pio XII il 18 ottobre, cioè proprio mentre alla stazione Tiburtina i militari tedeschi stavano imbarcando e sigillando in un treno diretto ad Auschwitz oltre mille ebrei romani: 1007 stabilisce Kappler, 1015 secondo la Comunità ebraica - la differenza sembra la facciano, disperatamente, i neonati.
Papa Pacelli, diplomatico sottile, esordisce «enfatizzando» la situazione alimentare. Roma è già alla fame, le scorte di cibo sono sufficienti «fino a quando i tedeschi saranno qui». Ma poi? Si capisce che il Pontefice dà per scontato un ritiro abbastanza imminente. In questo senso «spera» che gli alleati siano in condizione di provvedere ai beni di prima necessità. Al che Osborne traccheggia, non s’impegna. Pio XII insiste, richiama la possibilità di disordini, cerca garanzie sul «minimo indispensabile», quindi esprime la sua preoccupazione sull’«interludio» tra la ritirata dei tedeschi e l’arrivo degli alleati.
Nel corso della guerra, ora con gli uni, ora con gli altri, il Papa sta giocando da tempo una partita sul filo del rasoio, di alta acrobazia diplomatica, che assomiglia a un doppio gioco su due tavoli e prevede sottintesi, riserve, dissimulazioni, pure da modularsi a seconda degli interlocutori. L’impressione è che Osborne non sia dei più fidati.
Di nuovo «in modo enfatico», annota l’ambasciatore, il Papa «afferma che non abbandonerà mai Roma per proteggere la sua incolumità, a meno di non esserne rimosso con la forza». Quindi aggiunge «di non avere elementi per lamentarsi del generale von Stahel e della polizia tedesca, che finora «hanno rispettato la neutralità» della Santa Sede. E qui viene naturale di pensare che forse la questione non era questa, o soltanto questa.
In realtà Pio XII sa della deportazione, ancora freschissima. Si sa che ha cercato di scongiurarla smuovendo prelati tedeschi e sollecitando nazisti tiepidi o opportunisti. Comunque ha già aperto le porte di chiese e conventi; il mese prima ha "prestato" dell’oro per allontanare le rappresaglie (15 chili dei 50 richiesti alla comunità ebraica provengono dal Vaticano). Se non suonasse irrispettoso per un Papa, Pacelli sta cercando, anche lui alla disperata, di salvarsi l’anima. Di norma, in questi casi, il potere mette in atto il dispositivo dello scambio e imbocca la logica del male minore.
Forse ha ottenuto la certezza che a Roma, sotto la sua finestra, non ci saranno altre deportazioni di massa. Ma Osborne non è in condizione di rispettarne la pena. Anzi, sembra irritato, va giù duro: la formula «Roma città aperta» è «una farsa», dice. L’Urbe «è alla mercé dei tedeschi» che la affamano, arrestano gli ufficiali, i giovani, i carabinieri e - attenzione qui - «applicano metodi spietati nella persecuzione degli ebrei».
È l’unico, significativo accenno. Il resto riguarda ciò che all’inizio stava più a cuore al Papa, che Roma non diventi «un campo di battaglia». Per Osborne la faccenda è militare, non può garantire nulla. Tocca semmai al Pontefice salvaguardare i suoi diritti dai tedeschi. Pio XII replica «che in tal senso e fino a questo momento i tedeschi si sono sempre comportati correttamente». Ma anche l’ambasciatore insiste, con un approccio che suona diretto nella sua pur involuta formulazione: «A mio parere molta gente ritiene che egli (il Papa) sottostimi la sua autorità morale e il rispetto riluttante di cui egli è fatto oggetto da parte dei nazisti», tanto più considerato che buona parte della popolazione germanica è cattolica. Insomma, esca allo scoperto, dica qualcosa, condanni i nazisti. «L’ho esortato a tenerlo bene in mente nel caso emergesse una situazione in cui in futuro fosse necessario applicare una linea forte». Così si conclude l’incontro.
Alle 20 di quel 18 ottobre il treno degli ebrei romani è a Firenze; il 19 si ferma a Padova per prestare assistenza ai prigionieri di ogni età che sono ammucchiati lì dentro da 28 ore; ad Auschwitz arriva la notte del 22, e poco dopo entra nel lager. Se la santità ha un significato, dentro quei vagoni e poi nel campo ce n’era moltissima.
"Pio XII, a rischio la visita del Papa in Sinagoga"
di Orazio La Rocca (la Repubblica, 21 dicembre 2009)
Nubi sulla visita di Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma in programma per il 17 gennaio prossimo. L’accelerazione al processo di beatificazione di Pio XII impressa da Ratzinger potrebbe mettere a rischio l’atteso incontro tra il Papa e la comunità ebraica romana, dove nessuno si aspettava che - praticamente alla vigilia della visita - Benedetto XVI avrebbe dichiarato venerabile papa Pacelli proclamandone l’eroicità delle virtù insieme a Wojtyla. Un papa, quest’ultimo, tanto amato dagli ebrei di tutto il mondo, a partire dagli italiani, che però non hanno gradito - confessano delusi alla comunità ebraica romana - vederlo «affiancato» nel processo di beatificazione ad una figura come Pio XII su cui non pochi ebrei ancora nutrono dubbi circa i suoi presunti «silenzi» sulla Shoah.
«Mi auguro di no, ma non mi meraviglierei se dopo quanto è stato deciso su Pacelli la visita potesse saltare», commenta preoccupato il rabbino Giuseppe Laras, presidente dell’Assemblea rabbinica italiana. «A questo punto - aggiunge il rabbino - tutto può succedere. Non capisco perché il Papa abbia preso una decisione tanto intempestiva, pur rispettando l’autonomia della Chiesa in materia di beatificazioni». Su Pio XII, però, il giudizio storico - avverte Laras - «non è ancora chiaro, per cui sarebbe stato meglio rinviare ogni cosa alla apertura degli archivi del suo pontificato. Comprensibile, quindi, la delusione della comunità ebraica, dove il clima in vista del 17 gennaio non è dei migliori». Il sindaco di Roma Gianni Alemanno, invece, non ha dubbi e dice sicuro che «la visita del Papa alla Sinagoga sarà una grande occasione per chiarire ogni malinteso, per cui è importantissimo farla».
In realtà, col passare delle ore tra gli ebrei romani l’indignazione cresce. E proprio per scongiurare «evoluzioni traumatiche», da sabato tra il Vaticano ed i vertici della Comunità ebraica capitolina ci sono stati una serie di incontri ai massimi livelli «per cercare di trovare una soluzione dignitosa per entrambe le parti», si apprende in Sinagoga, dove comunque hanno apprezzato quanto precisato ieri, sul quotidiano cattolico Avvenire, dal vescovo Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le cause dei Santi, secondo il quale «l’annuncio fatto dal Papa non significa che i processi di beatificazione di Giovanni Paolo II e di Pio XII procederanno in parallelo. Si è trattato di una felice coincidenza, ma ogni causa seguirà il suo corso». «È un buon segnale, che speriamo possa contribuire a far calare le tensioni», si augurano in Sinagoga.
Ma dal quotidiano Avvenire, ieri, è arrivato un altro segnale di natura storica dalla popolare rubrica "Rosso Malpelo" firmata dal teologo Gianni Gennari che ha riportato alla luce una preghiera fatta da Pio XII nell’ottobre del 1939, pochi mesi dopo l’elezione papale. Nel testo - diffuso in 35 milioni di copie in tutte le chiese italiane - Pacelli invitò i cattolici a pregare contro i comunisti dell’Urss e i nazisti della Germania. «Preghiamo - vi si legge tra l’altro - per quelle nazioni dove l’ateismo e il neopaganesimo hanno fatto maggiori stragi. Tutti sappiamo chi sono queste nazioni: sono quelle dove l’ateismo è vergognosamente eretto a bandiera e quelle dove, disconosciuti i valori spirituali e morali, si considera nell’uomo solo la parte bestiale, subordinando alla razza e al sangue anche gli eterni principii regolatori della vita. È il vero trionfo di Barabba!». Dopo quella preghiera, «nel 1942 Pacelli autorizzò i vescovi olandesi a scrivere una lettera contro il nazismo, ma - ricorda Gennari - la ritorsione fu tremenda. Furono deportati nei campi di concentramento migliaia di ebrei olandesi, tra cui anche Edith Stein. E il Papa ne fu scosso e turbato». Iniziative, notano alla comunità ebraica romana, che sembrano fatte, però, non tanto in difesa degli ebrei, quanto per salvare la Chiesa dal paganesimo nazista: ecco perché è importante la verifica storica degli archivi del pontificato pacelliano.
Papa/ Wojtyla preso beato, ma su Pio XII è già polemica con ebrei
Rabbino Rosen: Decisione poco sensibile. 17 gennaio in sinagoga
Roma, 19 dic. (Apcom) - Non sarà santo subito, ma certo presto beato, Giovanni Paolo II. Lo ha deciso oggi il suo successore Benedetto XVI, che ha firmato il decreto sulle ’eroiche virtù’ di Papa Wojtyla, aprendo la strada ad una beatificazione che potrebbe essere celebrata già nel prossimo ottobre, con milioni di pellegrini a Roma. A sorpresa, poi, Ratzinger ha dato il via anche ad un’altra beatificazione che sembrava al palo, quella di Pio XII, pontefice a cavallo della seconda guerra mondiale, criticato dagli ebrei per non avere fatto abbastanza per fermare la shoah.
E da Israele già arrivano le critiche di una figura di peso del dialogo ebraico-cattolico. "La decisione non mostra grande sensibilità nei confronti delle preoccupazioni della comunità ebraica", afferma il rabbino David Rosen. Per la cerimonia di Wojtyla, regnante dal 1978 al 2005, c’è chi non esclude la primavera, ma sembra più probabile che il Papa polacco ascenda agli onori degli altari in autunno. La data più adatta sarebbe il 16 ottobre 2010 (o il giorno dopo, domenica), in occasione dell’anniversario della sua elezione al soglio pontificio (16 ottobre 1978).
Certo, non tutti, anche nella Curia romana, hanno condiviso la decisione di Ratzinger di derogare alla norma che chiede di attendere cinque anni dalla morte prima di avviare un processo. Non certo per poca stima nei confronti di una personalità di grande statura religiosa e storica, quanto per l’esigenza di rispettare scrupolosamente le procedure e le garanzie previste da sempre dal Magistero.
"Il Papa è un battezzato come tutti gli altri. Dunque la procedura di beatificazione dovrebbe essere la stessa prevista per tutti i battezzati", ha detto ad esempio il cardinale Godfried Danneels, primate uscente del Belgio, alla rivista ’Trenta giorni’. Ma, ormai, per il via libera definitivo manca solo l’identificazione di un miracolo. Le controversie relative alla politica della Santa Sede in quegli anni di Guerra fredda - ad esempio i non chiarissimi rapporti con il sindacato polacco di Solidarnosc - sono state lasciate alle spalle. La congregazione per la Causa dei santi ha deciso di tenere quei dossier fuori dalla documentazione relativa al processo di beatificazione. Già è stato individuata una suora francese che sarebbe guarita dal morbo di Parkinson grazie all’intercessione di Wojtyla. Tutto potrebbe svolgersi in poco tempo: l’analisi dei medici, prima, poi dei teologi e dei cardinali della congregazione per la Causa dei santi, infine la firma del Papa. Più complessa la vicenda di Papa Pacelli. Non solo perché è meno evidente, a quanto si apprende, individuare un miracolo da attribuirgli. Pontefice durante la seconda guerra mondiale, Pio XII è, inoltre, contestato da buona parte del mondo ebraico, che lo accusa di non aver aver fatto abbastanza contro la shoah. La Santa Sede ha più volte replicato che i "silenzi" di Pacelli non esclusero un’ampia attività di rifugio dato da monasteri e conventi cattolici agli ebrei in fuga. Le cause di beatificazione, sottolineano poi in Vaticano, sono materie interne alla Chiesa cattolica. Ma per il mondo ebraico non basta. Nei mesi scorsi, da Roma a Gerusalemme, sui giornali o negli incontri diplomatici, in occasione del viaggio papale in Israele o per simposi storiografici, la polemica tra mondo ebraico e Chiesa cattolica non si è mai interrotta, quando sottotraccia, quando scoppiando in superficie. Il rabbino Riccardo Di Segni, che il prossimo 17 gennaio accoglierà Benedetto XVI in visita alla sinagoga maggiore di Roma, ha avuto a sottolineare, nei mesi scorsi, che "dopo il rastrellamento degli ebrei al ghetto di Roma il treno dei deportati è stato fermo alla stazione Tiburtina senza che Pio XII intervenisse per non farlo partire verso i lager". Critiche riprese oggi a conclusione dello shabat, la giornata di sacra inattività per gli ebrei. La decisione di Ratzinger "non mostra grande sensibilità nei confronti delle preoccupazioni della comunità ebraica", ha detto il rabbino Rosen, consulente per il dialogo interreligioso del Gran rabbinato di Israele, che, interpellato per un commento, ha aggiunto: "Sono sorpreso che una simile decisione sia stata presa a sole tre settimane dalla programmata visita del Papa alla sinagoga di Roma". Per Rosen, interlocutore del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e direttore internazionale per gli affari interreligiosi dell’American Jewish Committee (Ajc), "a causa dell’enorme complessità delle emozioni e della memoria soggettiva, questa materia deve essere trattata con grandissima sensibilità e con un grado di distanza storica che richiede un lasso di tempo più lungo".
Insieme a Wojtyla e Pacelli, Benedetto XVI ha deciso di far avanzare anche le cause di beatificazione (o di canonizzazione) di altri diciannove ’candidati alla santità’. Tra di essi, diventerà beato padre il sacerdote polacco Jerzy Popieluszko, rapito, torturato e ucciso dai funzionari del regime comunista polacco nel 1984. Di lui, punto di riferimento tanto per il sindacato Solidarnosc quanto per lo stesso Giovanni Paolo II, Benedetto XVI ha riconosciuto il "martirio" avvenuto "in odio alla fede". Con le firme odierne, è divenuta poi ’venerabile’ Mary Ward, suora britannica, fondatrice di una congregazione di suore soprannominate le "gesuitesse", Enrica Alfieri, ribattezzata "mamma di San Vittore" per il suo impegno con i carcerati. Sarà beata Chiara Badano, focolarina morta solo nel 1990 all’età di 18 anni.
Papa/ Rabbino Rosen: Su Pio XII decisione insensibile con ebrei
"Sorpreso che avvenga a 3 settimane da visita a sinagoga Roma"
Roma, 19 dic. (Apcom) - La decisione del Papa di firmare il decreto delle ’eroiche virtù’ di Pio XII "non mostra grande sensibilità nei confronti delle preoccupazioni della comunità ebraica", secondo il rabbino David Rosen, consulente per il dialogo interreligioso del Gran rabbinato di Israele, che aggiunge: "Sono sorpreso che una simile decisione sia stata presa a sole tre settimane dalla programmata visita del Papa alla sinagoga di Roma". "Spero - afferma Rosen interpellato telefonicamente da ’Apcom’ per un commento a conclusione dello ’shabat’ - che la decisione odierna non significhi che in Vaticano è in corso un’accelerazione su Pio XII. Spero che la posizione di Benedetto XVI sia che egli non poteva astenersi dal confermare le virtù religiose di Pio XII, ma che non vengano compiuti altri passi sulla strada della beatificazione prima che sia possibile compiere un’analisi storica obiettiva di quel frangente storico. Il che significa anche rendere accessibili agli studiosi gli archivi segreti".
Il rabbino Rosen, interlocutore del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e direttore internazionale per gli affari interreligiosi dell’American Jewish Committee (Ajc), spiega che "i giudizi storici vanno formulati con umiltà. Quelli di Pio XII sono tempi storici nei quali nessuno era completamente santo, escluso chi morì martire per la giustizia. Dico solo - prosegue Rosen - che, a causa dell’enorme complessità delle emozioni e della memoria soggettiva, questa materia deve essere trattata con grandissima sensibilità e con un grado di distanza storica che richiede un lasso di tempo più lungo". "Certo - puntualizza il rabbino - la decisione di chi debba diventare santo o beato non è affare della comunità ebraica. Ma se la Chiesa cattolica dice, come dice, di voler avere rapporti rispettosi nei confronti del mondo ebraico, allora è opportuno che essa prenda in considerazione le nostre sensibilità prima di fare dei passi in questa materia".
INTERVISTA
Per il presidente emerito delle Comunità ebraiche Pacelli resta figura controversa
Sulle sue posizioni sull’Olocausto tocca agli storici diradare i dubbi
Tullia Zevi: "Era meglio il silenzio
fino all’apertura di tutti gli archivi"
di ORAZIO LA ROCCA *
ROMA - "Di fronte ad una figura complessa come Pio XII sarebbe meglio osservare un doveroso silenzio, in attesa di saperne di più e con più mirata certezza quando saranno completamente aperti gli archivi del suo tormentato pontificato. Ma non credo che la decisione assunta da Benedetto XVI su papa Pacelli possa compromettere i rapporti tra ebrei e cristiani, e, tantomeno, mettere in pericolo la visita che papa Ratzinger farà alla Sinagoga di Roma il 17 gennaio prossimo".
Cerca di gettare acqua sul fuoco delle polemiche, la professoressa Tullia Zevi, presidente emerito dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, la prima donna ad essere stata eletta alla più alta carica ebraica del nostro Paese. "Prima di fare commenti è bene meditare a lungo, ma è altrettanto opportuno - avverte - non avere mai paura di sollevare tutti i veli che finora hanno coperto la storia di Pio XII e di esprimere, alla fine, giudizi obiettivi e pacati".
Signora Tullia Zevi, perché Pio XII, a 51 anni dalla morte, suscita ancora tanta diffidenza in una parte del mondo ebraico?
"Non c’è dubbio che, stando a quanto è stato scritto e a tutto quello che è stato tramandato nei libri di storia e anche oralmente, papa Pacelli è un personaggio complesso e controverso, soprattutto per tutto quanto c’è stato tra lui e il regime fascista nell’ambito del quale guidò la Chiesa cattolica come sommo pontefice. Cinquantuno anni dalla morte possono essere tanti, ma anche pochi proprio in relazione agli anni apocalittici del suo pontificato".
Eppure, papa Ratzinger non sembra avere dubbi...
"Non sta a me e, tantomeno, a tutto il mondo ebraico sindacare sulle decisioni di un Papa. In questo caso, però, forse è bene non avere fretta. Per un giudizio complessivo su Pio XII manca ancora tutta la parte relativa alla documentazione del suo pontificato che dovrà essere messa a disposizione degli studiosi. Aspettiamo di leggere quelle carte, non è da escludere che potrebbero emergere nuovi aspetti e far evidenziare altri episodi inediti che potrebbero portare altra luce e diradare le nubi che ancora gravano su Pacelli. Perché non farlo?".
Ma qual è l’aspetto più controverso di Pacelli? I suoi presunti "silenzi" sull’Olocausto? I suoi rapporti con i fascisti?...
"Sono gli storici che devono rispondere a questi quesiti e diradare, sulla base di documentazioni attendibili, i dubbi che ancora circondano Pio XII. È, comunque, un fatto storicamente provato che tante sue scelte furono dettate dalla sulla apocalittica paura verso il comunismo, senza tener conto che, anche in quegli anni, non c’era solo il comunismo sovietico, ma tante altre forze progressiste, socialiste e socialdemocratiche. Non va comunque sottovalutato il fatto che avere a che fare con regimi fascisti e nazisti non era cosa semplice ed indolore".
Si aspettava da Ratzinger una accelerazione tanto inaspettata sulla beatificazione di Pio XII?
"Ripeto, non giudico le scelte dei pontefici. Storicamente, quasi mai un Papa ha criticato o contraddetto un suo predecessore. Pio XII va comunque studiato a fondo, va capito, sviscerato, perché non va mai dimenticato che è stato un pontefice che è vissuto in tempi drammatici e difficili".
Teme che ora i rapporti tra Comunità ebraica e Vaticano torneranno ad essere critici? Il 17 gennaio prossimo Benedetto XVI visiterà la Sinagoga di Roma.
"Non credo che ci saranno conseguenze sui rapporti tra cristiani ed ebrei. Ormai non si torna indietro, il dialogo andrà sempre avanti, anche di fronte ad incomprensioni momentanee e persino a critiche reciproche, come può legittimamente succedere con Pio XII. Indietro però non si torna. Per fortuna".
* la Repubblica, 20 dicembre 2009
Gherush92
Committee for Human Rights
SPAZIO AL DISSENSO DEMOCRATICO
DURANTE LA VISITA
DEL PAPA IN SINAGOGA
Il via alla beatificazione di Papa Pacelli rappresenta il caso più grave e doloroso di antisemitismo e nel rapporto tra ebrei e cristiani dopo la shoah. La pretestuosa e assurda separazione tra giudizio storico e giudizio religioso su Pio XII, contenuta nell’ultimo comunicato del portavoce del Vaticano padre Lombardi, non calma lo sgomento, anzi lo accresce.
Separare il giudizio storico dal giudizio religioso significa confermare che santità cristiana, perfezione evangelica ed eventuali comportamenti delinquenziali possono coesistere, come è successo per numerosi santi cristiani. Fra i tanti citiamo tre esempi illustri, tutt’ora venerati: San Bellarmino che mandò al rogo Giordano Bruno, eretici ed ebrei, San Crisostomo che scrisse otto omelie contro i Giudei e Pio IX che richiuse le porte del ghetto di Roma.
Nonostante l’aspra polemica in corso a livello mondiale, il Consiglio della Comunità Ebraica di Roma in poche ore decide di accontentarsi della dichiarazione di Lombardi, di confermare la prossima visita del papa nella sinagoga di Roma e di rimandare la valutazione sul silenzio di Pio XII al giudizio degli storici.
"Il Consiglio della Comunità Ebraica di Roma, allargato alle istituzioni ebraiche italiane, ai rabbini e ai sopravvissuti ai campi di sterminio, ribadisce l’importanza del dialogo interreligioso di cui la prossima visita di Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma e’ una tappa fondamentale. Questo evento, che gli ebrei vedono con grandi attese, non deve pero’ essere inteso come un avallo sul contenzioso storico che riguarda la scelta di silenzio di Pio XII. Si attende che la verita’ possa emergere attraverso la ricerca e la valutazione degli storici su tutti i documenti dell’epoca”.
Il Consiglio, avvalendosi del potere mediatico che gli viene accordato dalla stampa, si aggiudica il diritto di prendere una decisione per tutti, favorevoli e contrari, dopo avere consultato, a suo dire, alcuni presunti “saggi”. Non ci sembra che il Consiglio sia competente su una questione di tale rilievo e non avrebbe dovuto agire autonomamente su un tema tanto delicato, o almeno avrebbe dovuto evidenziare che esiste anche un dissenso su questo problema.
I fatti e gli eventi di Pio XII, il papa della shoah, sono tutti tristemente noti. Non esistono storici o accademici che possono dare risposta, non esiste un consiglio che possa pronunciarsi, non esistono esperti, archivi o documenti. Gli unici specialisti competenti sono le vittime e il giudizio rimane agli ebrei, nessuno escluso, insieme ai rom, agli omosessuali, alle donne e ai dissidenti che morirono o persero i loro familiari nei campi. Il giudizio rimane ai sopravvissuti, ai discendenti dello sterminio, ai milioni di morti. Teniamo presente le parole di Piero Terracina, sopravvissuto ai campi di sterminio:
“Del silenzio della Chiesa e in particolare di Pio XII ne abbiamo sempre parlato. Di una cosa resto convinto: che se quel 16 ottobre del ’43, quando avvenne la razzia degli ebrei romani dal Ghetto, quando per due giorni restarono chiusi nel Collegio militare di via della Lungara, a 300 metri dal Vaticano, il Papa fosse uscito, avesse fatto un cenno, un gesto... . Se solo avesse aperto le braccia, ... gli ebrei romani non sarebbero stati deportati. Anzi, silenzio più totale. Eppure Himmler ha atteso due giorni prima di partire, si dice che aspettasse le reazioni del Vaticano”.
L’espressione del dissenso resta così relegata alla fatica e al dolore dei singoli la cui voce non possiede i mezzi e la forza per essere ascoltata. E’ sconcertante ma sembra confermato che il 17 gennaio la sinagoga di Roma resterà aperta solo a pochi invitati “scelti” per accogliere Benedetto XVI e che questo evento significherà un’ulteriore tappa verso la beatificazione di Pio XII. Alcuni ebrei, delegando il giudizio ad alcuni storici, magari compiacenti, accettano di fatto, a nome di tutti, il processo di beatificazione e il giudizio definitivo che ne deriva.
Non è vero che la beatificazione di Pio XII è solo affare interno della chiesa. Dietro questa banale affermazione si nasconde una posizione cinica e qualunquista. La testimonianza della memoria storica è un dovere e non può essere limitata o confinata in ristretti ambiti, né mortificata da faccende mondane. Noi non vogliamo la beatificazione di Pio XII.
Chiediamo ampio e duraturo dibattito pubblico che coinvolga l’ebraismo mondiale e le voci di tutte le vittime e che sia concesso il giusto spazio per la protesta democratica durante la visita del papa.
NO ALLA VISITA DEL PAPA IN SINAGOGA
NO AL CROCIFISSO IN SINAGOGA
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Committee for Human Rights
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PROVE DI DIALOGO
Ratzinger in sinagoga tra le polemiche
Oggi la visita del Pontefice a Roma dopo il gelo con la comunità ebraica *
CITTÀ DEL VATICANO Un omaggio ai «fratelli maggiori», sulla scia di papa Wojtyla, per rilanciare il dialogo tra cattolici ed ebrei. Da lui fortemente voluta, la visita che oggi pomeriggio Benedetto XVI renderà alla Sinagoga e alla Comunità ebraica di Roma ha proprio il senso di un gesto visibile, concreto per rinsaldare l’amicizia e lasciarsi alle spalle le incomprensioni che negli ultimi tempi hanno rischiato di minare i rapporti tra le due fedi.
L’evento, già giudicato «storico», avviene tra l’altro nell’annuale giornata specialmente dedicata al dialogo tra cattolici ed ebrei. Il Tempio Maggiore romano, dove a fare gli onori di casa ci sarà il rabbino capo Riccardo Di Segni, è la terza sinagoga ad essere visitata, dopo l’elezione al pontificato, da Benedetto XVI, che era già stato in quelle di Colonia (agosto 2005) e di Park East a New York (aprile 2008). La visita avviene inoltre a 24 anni dal memorabile ingresso di Giovanni Paolo II nella Sinagoga romana, il 13 aprile del 1986: ad accoglierlo fu l’allora rabbino capo, Elio Toaff, con il quale papa Wojtyla strinse nell’arco del pontificato una solida amicizia. Fu allora che il pontefice polacco disse agli ebrei: «Siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori».
Un analogo richiamo alle radici comuni delle due religioni sarà fatto oggi anche da Benedetto XVI, proprio nell’ottica di rafforzare quella fratellanza speciale troppo spesso messa in ombra da polemiche e incomprensioni. Non mancherà, nelle parole del papa, un’esplicita sottolineatura della validità della Nostra Aetate, la dichiarazione conciliare che ha ridefinito, e rinnovato in modo irreversibile dopo gli odi del passato e le accuse di «deicidio», i rapporti tra Chiesa cattolica e fede ebraica. Significativo, da parte del pontefice tedesco, sarà anche l’omaggio alla lapide che ricorda la tragica deportazione del Ghetto di Roma del 16 ottobre 1943, quando 1.021 ebrei romani furono mandati dai nazisti verso i campi di sterminio, da dove solo 17 tornarono vivi. La volontà è quella di fare piazza pulita di ogni «malinteso», a partire dalle polemiche sulla preghiera per la conversione degli ebrei contenuta nella messa in latino del Venerdì Santo, fino alle accese dispute sulla revoca della scomunica ai lefebvriani, compreso il vescovo antisemita e negazionista Richard Williamson, e sull’impulso dato da Ratzinger alla beatificazione di Pio XII, sempre al centro degli strali da parte ebraica per i suoi asseriti silenzi sulla Shoah. Tanto che anche la visita di Ratzinger alla Sinagoga accende ancora qualche mal di pancia all’interno del mondo ebraico.
«Questa visita del Papa è un segno visibile per superare i malintesi», ha detto ieri alla Radio Vaticana padre Norbert Hofmann, segretario della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo. Con questo appuntamento, la Chiesa cattolica «esprime la sua volontà: continuare con slancio, con la volontà di mettere in primo piano le questioni importanti per il dialogo con gli ebrei». E in questo specifico campo, secondo il direttore dell’Osservatore Romano, lo storico Giovanni Maria Vian, proprio Joseph Ratzinger rappresenta un figura-chiave. «Pochi sono i cattolici del Novecento - ha scritto - che hanno fatto tanto quanto Joseph Ratzinger, come teologo, come vescovo, come responsabile dell’organismo custode della dottrina cattolica e ora come Papa, per avvicinare ebrei e cristiani».
* La Stampa, 17/1/2010 (8:10)
Le parole di Wojtyla contro le persecuzioni e il sogno di Toaff
di Luigi Accattoli (Corriere della Sera, 17 gennaio 2010)
C’era chi piangeva tra gli ebrei quando Wojtyla entrò nella sinagoga e a noi giornalisti maschi avevano dato la kippah da mettere in testa: sono le immagini più vive che conservo. Wojtyla e Toaff si abbracciarono due volte. Il papa chiamò «fratelli» quattro volte gli ebrei, che gli batterono le mani nove volte. La parola più importante di Giovanni Paolo fu quella con cui deplorò le «persecuzioni» che gli ebrei ebbero a subire nella storia da parte dei Papi.
Anche l’evento del 13 aprile di 24 anni fa cadde di domenica pomeriggio, come quello di oggi. Con me nella sinagoga c’era Elèmire Zolla, che era affascinato dal copricapo del rabbino e mi faceva domande alle quali non sapevo rispondere: «Incredibile, è più solenne del Papa!» Il suo pezzo per il Corriere della Sera avrebbe avuto un incipit folgorante, a ricordo di quando l’apostolo Pietro parlò per la prima volta in Roma, per l’appunto in una sinagoga e da lì «ebbe inizio il nostro ciclo storico».
Il Papa recitò il salmo 133 e il rabbino il salmo 124. «Com’è bello e com’è dolce / che i fratelli vivano insieme» disse Wojtyla. «Chiedete pace per Gerusalemme, / vivano sicuri quelli che ti amano» rispose Toaff. Non era solo la prima volta che un Papa entrava in una sinagoga, ma era anche la prima preghiera pubblica di un Papa con un ebreo. A sorpresa Giovanni Paolo chiamò «fratelli» gli ebrei, anzi: «fratelli maggiori». «Cari amici e fratelli ebrei e cristiani» disse iniziando il discorso. Poi ricordò l’apertura ai «fratelli ebrei» di Giovanni XXIII. Insistendo sul legame tra ebraismo e cristianesimo esclamò: «Siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori». Infine invitò ebrei e cristiani di Roma a una convivenza «animata da amore fraterno».
Il massimo degli applausi l’ebbe quando deplorò le persecuzioni: «Ancora una volta, per mezzo mio, la Chiesa deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli ebrei in ogni tempo da chiunque. Ripeto: da chiunque». Non nominò i Papi che furono responsabili di maltrattamenti degli ebrei, ma quella ripetizione delle parole «da chiunque» stava appunto a chiarire che il riferimento era anche a loro. Poco prima, del resto, aveva parlato il presidente della Comunità ebraica di Roma Giacomo Saban ricordando i Papi che facevano bruciare i libri ebraici e Paolo IV che istituì il ghetto nel 1555, riducendo gli ebrei «a miseria economica e culturale, privandoli di alcuni dei più fondamentali diritti».
Dopo che il Papa se ne era andato, rientrando nella sinagoga Toaff si incontrò con don Vincenzo Paglia, oggi vescovo di Terni e allora parroco di Santa Maria in Trastevere: «Non sembra un sogno?» gli chiese. «E’ un sogno dal quale non mi voglio svegliare», gli rispose don Paglia.
Shoah, Pacifici: silenzio di Pio XII duole ancora
Di Segni: "Il silenzio dell’uomo non sfugge al giudizio di Dio"*
ROMA - Papa Benedetto XVI e’ arrivato, poco prima delle 16:30, al Ghetto di Roma dove, da Largo XVI Ottobre, si e’ diretto a piedi verso la Sinagoga. All’arrivo e’ stato accolto dal presidente della Comunita’ ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, e dal presidente delle Comunita’ ebraiche italiane, Renzo Gattegna.
Nel suo discorso di saluto, Pacifici ha fatto riferimento alla polemica sul processo di beatificazione di Pio XII: ’Il silenzio di Pio XII di fronte alla Shoah duole ancora come un atto mancato’. ’Forse non avrebbe fermato i treni della morte -ha detto Pacifici- ma avrebbe trasmesso, un segnale, una parola di estremo conforto, di solidarieta’ umana, per quei nostri fratelli trasportati verso i camini di Auschwitz’.
E’ la terza visita di Ratzinger ad una Sinagoga, dopo Colonia (agosto 2005) e New York (aprile 2008). La visita avviene a 24 anni dal memorabile ingresso di Giovanni Paolo II nella Sinagoga romana che, il 13 aprile del 1986, fu il primo pontefice romano ad entrare in un tempio ebraico dopo San Pietro.
Benedetto XVI, prima di entrare in Sinagoga, ha sostato davanti alla lapide che ricorda la tragica deportazione del Ghetto di Roma del 16 ottobre 1943, dove ha deposto una corona di fiori, e ha stretto le mani ai sopravvissuti dell’attentato del 9 ottobre 1982 in cui morirono 37 persone tra cui un bimbo di 2 anni.
PACIFICI: SILENZIO PIO XII DUOLE, UN ATTO MANCATO "Il silenzio di Pio XII di fronte alla Shoah, duole ancora come un atto mancato. Forse non avrebbe fermato i treni della morte, ma avrebbe trasmesso, un segnale, una parola di estremo conforto, di solidarietà umana, per quei nostri fratelli trasportati verso i camini di Auschwitz". E’ uno dei passaggi del discorso in sinagoga di Riccardo Pacifici davanti a papa Benedetto XVI. "In attesa di un giudizio condiviso, auspichiamo - ha detto ancora -, con il massimo rispetto, che gli storici abbiano accesso agli archivi del Vaticano che riguardano quel periodo e tutte le vicende successive al crollo della Germania nazista".
DI SEGNI AL PAPA, SILENZIO UOMO NON SFUGGE GIUDIZIO DIO "Il silenzio di Dio o la nostra incapacità di sentire la Sua voce davanti ai mali del mondo, sono un mistero imperscrutabile. Ma il silenzio dell’uomo è su un piano diverso, ci interroga, ci sfida e non sfugge al giudizio". Così il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, nel suo intervento nella sinagoga di Roma al cospetto di papa Benedetto XVI, con un riferimento che appare rivolto a Pio XII.
IL PAPA: LA S. SEDE AGI’ CON DISCREZIONE Papa Benedetto XVI ha ricordato la deportazione degli ebrei di Roma e "l’orrendo strazio" con cui vennero uccisi ad Auschwitz. In quell’occasione - ha detto il pontefice - "la Sede Apostolica svolse un’azione di soccorso, spesso nascosta e discreta".
PAPA: PIAGA DELL’ANTISEMITISMO SIA SANATA PER SEMPRE Possano le piaghe dell’antisemitismo e dell’antigiudaismo "essere sanate per sempre": è l’auspicio fatto da papa Ratzinger nel discorso alla Sinagoga di Roma. Benedetto XVI ha ricordato come la Chiesa non abbia mancato di deplorare le "mancanze dei suoi figli e sue figlie, chiedendo perdono per tutto ciò che ha potuto favorire in qualche modo le piaghe dell’antisemitismo e dell’antigiudaismo".
Il "dramma singolare e sconvolgente della Shoah" rappresenta "il vertice di un cammino di odio che nasce quando l’uomo dimentica il suo Creatore e mette se stesso al centro dell’universo". Lo ha affermato Benedetto XVI nel suo discorso pronunciato nella Sinagoga di Roma.
DI SEGNI, VISITA HA RASSERENATO CLIMA - Il risultato della visita del Papa in sinagoga è, secondo il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, "decisamente positivo, ma dovremo rifletterci ancora". "Penso che il Papa, nel suo intervento - ha commentato durante una conferenza stampa svoltasi subito dopo - abbia detto cose molto importanti e contribuito a rasserenare l’atmosfera".