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EVANGELO E COSTITUZIONE. PER L’ITALIA E PER LA CHIESA: L’AMORE NON E’ LO ZIMBELLO DEL TEMPO ...

STATO E CHIESA: A MILANO LA RESISTENZA DELLO SPIRITO AMBROSIANO ("CHARITAS"), A ROMA LA RESTAURAZIONE DELLA TEOLOGIA-POLITICA DI "MAMMONA" ("CARITAS"). Una ’cecità’ inaudita e una crisi epocale. Note e appunti per i posteri - di Federico La Sala

AL GOVERNO DELLA CHIESA UN PAPA CHE PREDICA CHE GESU’ E’ IL FIGLIO DEL DIO "MAMMONA" ("Deus caritas est", 2006) E AL GOVERNO DELL’ **ITALIA** UN PRESIDENTE DEL CONSIGLIO (camuffato da "Presidente della Repubblica") CHE CANTA "Forza Italia" (1994-2009).
domenica 27 dicembre 2009 di Federico La Sala
Introduzione
A Pianeta Terra. "Pietà per il mondo, venga il nuovo sapere" (Michel Serres: Distacco, 1986)
ITALIA 2008: GIORNO DELLA MEMORIA (LEGGE 211, 20 LUGLIO 2000). LAGER DI WIETZENDORF, 1944.
Basilica di S. Ambrogio, Natale 2000: il Presepio degli Internati Militari Italiani. In memoria di Enzo Paci e a onore del Cardinale Martini.
B PER L’ITALIA. DANTE ALIGHIERI A LUCIA, A BEATRICE, A MARIA - LA PIENA DI GRAZIA ("KE-CHARITO-MENE") ....
SOCCORRETE L’ITALIA: AL GOVERNO DELLA CHIESA UN (...)

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> STATO E CHIESA: A MILANO LA RESISTENZA DELLO SPIRITO AMBROSIANO ---- Monsignor Barbareschi il ribelle per amore (di Marco Garzonio)

mercoledì 7 dicembre 2011

Monsignor Barbareschi il ribelle per amore

di Marco Garzonio (Corriere della Sera/Milano, 7 dicembre 2011)

Oggi, quando il sindaco Pisapia consegnerà la medaglia d’oro del Comune a monsignor Giovanni Barbareschi, in un attimo Milano stabilirà un ponte ideale lungo quasi settant’anni. Sì, perché il servizio di don Barbareschi alla città ebbe inizio il 10 agosto 1944. Aveva 22 anni e Schuster lo inviò in piazzale Loreto a far opera di pietà tra i quindici partigiani fucilati dai nazifascisti. In nome del cardinale benedì le vittime, ricompose i corpi ammucchiati, cercò nelle tasche i messaggi da recapitare a famiglie e compagni. Fu ordinato sacerdote tre giorni dopo e all’indomani della celebrazione della prima messa, a Ferragosto, era rinchiuso a San Vittore.

La motivazione del riconoscimento dice ora dei duemila partigiani ed ebrei salvati da don Barbareschi. I numeri contano, ma sono solo la parte più evidente di un’azione e di un pensiero che han consentito a Milano di non lasciarsi travolgere dalla crudeltà della guerra e di trovare la via del riscatto, della speranza, della Liberazione.

Già perché quel giovane prete poté far ciò che fece in quanto aveva compiuto una scelta: essere «ribelle per amore». Questo era il motto suo e degli altri 174 sacerdoti ambrosiani attivi nella Resistenza. Wojtyla ebbe a dire, ricordando «Il Ribelle», la rivista clandestina di cui don Barbareschi fu redattore (oggi è l’unico superstite): «Resistettero non per opporre violenza a violenza, odio contro odio, ma per affermare un diritto e una libertà per sé e per gli altri, anche per i figli di chi allora era oppressore. Per questo furono martiri ed eroi».

Grazie alla forza di tale amore per l’uomo e per i valori che esso comunque reca in sé, dopo il 25 aprile don Giovanni sottrasse fascisti e tedeschi a rappresaglie e vendette. Nel corpo e nell’anima portava i segni dei 72 giorni a San Vittore e poi della prigionia nel campo di Fossoli (da cui era riuscito a fuggire mentre i nazisti stavano per trasferirlo in un lager), dei rischi, delle fatiche, dei lutti. Ma non c’era tempo per recriminazioni: bisognava guardare avanti, pensare e lavorare per la ricostruzione morale, prima che materiale, di Milano e dell’Italia. La riconciliazione è nell’animo, non nelle rivisitazioni storiche.

Quasi subito mise lo spirito con cui l’esperienza lo aveva forgiato nell’educazione dei giovani, come un fratello maggiore, che accompagna e aiuta a trovare dentro di sé il senso della vita: affetti, lavoro, impegno civile. Ha formato generazioni intere don Giovanni. Si dedicò agli scout, poi ai liceali, al Manzoni, e agli universitari nella Fuci. Intanto si spese in alcune occasioni che han contribuito a creare la Milano odierna. Collaborò alla Missione di Milano con cui Montini rivoluzionò l’approccio della Chiesa ambrosiana alla modernità (un passaggio cui s’è rifatto il cardinale Scola nel suo ingresso in diocesi). Vennero riabilitati uomini scomodi e sgraditi al Sant’Uffizio (così don Barbareschi riprese il sodalizio con Turoldo l’amico, poeta e protagonista della Resistenza e della Corsia dei Servi). E assistette in ospedale nell’ultimo mese di vita don Gnocchi, testimone del suo lascito morale: il prete che era partito volontario per l’avventura della Russia con i ragazzi del Gonzaga, al ritorno aveva trasformato delusione e rabbia per l’inganno del fascismo dedicandosi al recupero delle piccole vittime della guerra, i «mutilatini». Diede avvio alla grande opera che ora porta il suo nome, Fondazione don Carlo Gnocchi, centro d’eccellenza che da Milano s’è irradiato in 30 località del Paese, luogo della riabilitazione fisica e psichica, metafora di rinascita del corpo e dell’anima.

Martini comprese lo spirito del resistente per amore, e nel realizzare la famosa «Cattedra dei non credenti» volle al suo fianco don Barbareschi. Questi fu il braccio destro del cardinale per anni nel far dialogare intellettuali, scrittori, scienziati, artisti, uomini di governo affinché ciascuno si ponesse in ascolto delle ragioni dell’altro e cercasse un fine superiore, oltre le appartenenze.

Alla città venne allora offerto un esempio di convivenza, accoglienza, lavoro gomito a gomito in vista del bene comune. Fu una pedagogia collettiva dopo gli Anni di piombo e la Milano da bere, perché la città potesse crescere, dare il meglio di sé, mettere a frutto il capitale di ideali, tradizioni, operosità, che la sua gente reca inciso nell’intimo grazie ad Ambrogio. In nome del patrono domani il sindaco consegnerà la medaglia d’oro a monsignor Barbareschi (90 anni tra due mesi), con memoria gratacerto per quel che lui è stato e ha fatto, ma anche come pegno di fiduciosa, condivisa attesa per ciò che la città tutta può essere quando ascolta sé stessa, si ritrova, si riconcilia col suo cuore fattivo, generoso, solidale: antico e sempre nuovo. Incalzata magari da crisi epocali, anticipo e sprone di virtù quotidiane (si spera!).


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