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A FREUD (1939), IN MEMORIA. IN UN’ITALIA IN PIENA CRISI OSSESSIVA ("DUE" PRESIDENTI DELLA REPUBBLICA GRIDANO "FORZA ITALIA" DAL 1994), E’ SPARITA LA PSICOANALISI. CHE GUAIO (Edoardo Sanguineti, Corsera 03.01.2010)!!!

PER GALIMBERTI, QUEL CHE RESTA DI FREUD E’ LA RASSEGNAZIONE: SAREMO SEMPRE NEVROTICI. L’apologia del presente continua - a cura di Federico La Sala

(...) cosa resta di Freud a settant’anni dalla sua morte? Rispondo: l’aver sottratto il disagio psichico alla semplice lettura biologica, l’averlo collocato sul piano culturale, l’aver intuito per effetto di questa collocazione che il disagio psichico si modifica di epoca in epoca (...)
domenica 3 gennaio 2010 di Federico La Sala
[...] dagli anni Settanta in poi, il disagio psichico ha cambiato radicalmente forma: non più il «conflitto nevrotico tra norma e trasgressione» con conseguente senso di colpa ma, in uno scenario sociale dove non c’è più norma perché tutto è possibile, la sofferenza origina da un «senso di insufficienza» per ciò che si potrebbe fare e non si è in grado di fare, o non si riesce a fare secondo le attese altrui, a partire dalle quali, ciascuno misura il valore di se stesso [...]
FREUD, KANT, (...)

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>QUEL CHE RESTA DI FREUD -- «Sigmund Freud nel suo tempo e nel nostro»: Elisabeth Roudinesco inverte la «leggenda» costruita da Ernest Jones.

domenica 15 novembre 2015

Freud, erede legittimo della propria epoca

Psicoanalisi. «Sigmund Fued nel suo tempo e nel nostro»: Elisabeth Roudinesco inverte la «leggenda» costruita da Ernest Jones

di Ivan Tassi (il manifesto - Alias, Domenica, 15.11.2015)

Un problema attende chiunque voglia tornare oggi a misurarsi con la vita di Sigmund Freud: nel corso dei decenni, una nutrita schiera di biografi non troppo scrupolosi si è ostinata a infrangere più volte il divieto con cui lo stesso Freud, prima di equiparare la pratica della biografia alla menzogna, si affrettò a negare al «pubblico» ogni «diritto» di parola sulla sua «persona». L’eccesso di commenti abusivi accumulati attorno alla carriera di Freud, per questi versi, avrebbe generato una moltiplicazione indebita e incontrollata di «fantasmi», che ci impedisce ormai di comprendere, come in un labirinto di specchi, «chi fosse veramente» il fondatore della psicoanalisi.

È su questi presupposti che Élisabeth Roudinesco apre l’ambiziosa biografia Sigmund Freud nel suo tempo e nel nostro (Einaudi, pp. XII-489, 34), per dedicarsi a un’operazione di ripulitura e di demistificazione. Non si tratta soltanto di denunciare le «strampalate dicerie» dei predecessori, basandosi in primo luogo sui materiali emersi dopo la recente apertura dei Sigmund Freud Archives di Washington. L’obiettivo principale, per Roudinesco, consiste nel rovesciare la «leggenda» di cui sarebbe responsabile, assieme a Freud, anche la Vita redatta fra il 1953 e il 1957 dal suo primo biografo autorizzato, Ernest Jones.

Al contrario di quanto voleva farci credere Jones, Freud non coinciderebbe affatto con un «eroe della scienza», capace di voltare le spalle alla sua formazione positivista per poi «inventarsi tutto», dall’alto di uno «splendido isolamento» che nulla deve alla sua epoca. È stata invece quella stessa epoca a «costruire» e in qualche modo a guidare i passi di Freud; e per accorgersene basta imboccare il sentiero non battuto da Jones, inserendo «l’opera di Freud e la sua persona» nella «lunga durata della storia».

Non si può dire che l’applicazione di questa metodologia - ereditata dagli storici della scuola francese delle Annales, e già sperimentata da Henry Ellenberger fin dal 1970 - ci consegni risultati imprevedibili. Mentre ci invita a ripercorrere la carriera di Freud come una «saga» d’assalto, proiettata ad assoggettare le sfere della politica, della filosofia e della religione, Roudinesco ci restituisce l’immagine di un «conquistatore» refrattario ad ammettere i propri debiti intellettuali verso alcuni «nemici-amici» (come Josef Breuer e Wilhelm Fliess) e verso un «ambiente» che in definitiva avrebbe alimentato le scoperte della psicoanalisi, spesso accogliendole con benevolenza.

Ogni tappa della «rivoluzione terapeutica» freudiana si potrebbe per l’appunto giustificare, secondo Roudinesco, attraverso il ricorso al contesto storico. E se il pensiero di Freud, in questa prospettiva, troverebbe la propria matrice non nel più vicino positivismo, bensì nello spirito dei «lumi oscuri», dello Sturm und Drang e del «Romanticismo nero», l’origine della psicoanalisi andrebbe rintracciata nell’attenzione sociale rivolta fin dalla seconda metà del XIX secolo alla questione delle «donne isteriche» o della «masturbazione infantile»: persino l’invenzione dell’Edipo sarebbe da ancorare a un «ritorno ai tragici greci» che alla fine dell’Ottocento risultava «all’ordine del giorno».

Dal momento che simili connessioni sembrano in parte dettate dal desiderio di sabotare l’emblema di un Freud eroicamente isolato, e di imbrigliarlo a tutti i costi fra le maglie del suo tempo, conviene forse seguire il percorso biografico lungo le direttrici trascurate da Jones.

Autorizzata dalla tradizione delle Annales, che per bocca di March Bloch si raccomandava di coinvolgere nell’indagine storica ogni dettaglio della «vita quotidiana», Élisabeth Roudinesco si impegna sotto questo aspetto ad allargare a dismisura il campo d’analisi. Da una parte, la sua esplorazione ci introduce in casa Freud, per sfatare i pettegolezzi sull’entourage familiare, o per passare in rassegna la mobilia, le suppellettili e addirittura gli animali domestici che fecero da contorno alle grandi scoperte.

Dall’altra, l’itinerario si impegna ad aprire continue digressioni sull’inedito destino dei discepoli della psicoanalisi, dei suoi dissidenti e soprattutto dei pazienti che si sedettero sul divano di Freud, per registrare «i suicidi, gli errori, i resoconti delle cure» che Jones, nel tentativo di mettere in ombra gli «anti-eroi» dell’epopea freudiana, aveva passato sotto silenzio.

È in questo modo che il tragitto della biografia sembra andare incontro più alla dispersione che alla demistificazione. Sottoposta alla lunga durata della storia, e invasa dalla costante irruzione di personaggi gregari, l’avventura freudiana rischia di sfaldarsi ad ogni pagina in un reticolato policentrico di connessioni meccaniche, punti di fuga e percorsi paralleli. Non solo. Se da un lato il proposito di offrirci una immagine «meno aggrovigliata» porta Roudinesco ad allestire una biografia dove Freud, per la prima volta, viene spogliato del suo protagonismo, dall’altro quella stessa immagine, volta a sostituire la «leggenda eroica» fabbricata da Jones, non arriva ad appianare né a gettare sotto una luce davvero nuova le contraddizioni di cui continua a nutrirsi la «saga» del fondatore della psicoanalisi.

Restano infatti da sciogliere, sotto questo versante, soprattutto alcuni nodi cruciali del cammino di Freud, come il suo rapporto ambiguo e tormentato con l’ideologia della classe borghese, oppure la radice positivistica della sua formazione, qui neutralizzata a vantaggio di una componente più «faustiana» e romantica.

Al termine della ricognizione, vengono allora in mente le parole di Freud, che nel 1885, subito dopo aver distrutto la sua corrispondenza e i suoi manoscritti privati, proclamava alla fidanzata: «Che i biografi si arrovellino pure, noi non renderemo facile la loro fatica. Lascia pure che ciascuno di loro pensi che la sua ‘Concezione dell’Evoluzione dell’Eroe’ è quella giusta: già adesso mi diverto al pensiero di come se ne andranno tutti fuori strada».


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