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ITALIA: CALABRIA. LA SOCIETA’ SPARENTE .....

ROSARNO, DOPO REGGIO CALABRIA. Angela Napoli: «Un depistaggio dopo la bomba contro i pm». Un’intervista di Susanna Turco - a cura di Federico La Sala

ANGELA NAPOLI. Da cinque legislature, seduta in commissione Antimafia, fa la guerra alla ’ndrangheta e alla mafia in genere. Denunce e appelli che le hanno portato in dote due macchine di scorta che la seguono da sette anni.
lunedì 11 gennaio 2010 di Federico La Sala
A San Giovanni in Fiore catena umana per l’Abbazia e la Legalità
Per ordine di "Mammona" ("Deus caritas est") - e di Mammasantissima!!!
CALABRIA. LOCRI: IL SEGRETO DEL VATICANO E DI PULCINELLA. Ormai il trasferimento di mons. Bregantini e’ certo.
Scaricabile gratis "La società sparente", libro su De Magistris e l’oscura Catanzaro, la corruzione in Calabria, ’ndrangheta, politica e massoneria deviata.

Angela Napoli: «Un depistaggio dopo la bomba (...)

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> ROSARNO, DOPO REGGIO CALABRIA. ---- La ‘ndrangheta dopo quarantotto ore di guerriglia ha vinto la sua battaglia: la Piana è stata liberata dai "negri" in rivolta che Rosarno voleva cacciare (di Attilio Bolzoni).

lunedì 11 gennaio 2010


-  Gli inquirenti: le cosche schierate con la gente.
-  Tra i fermati il figlio di un boss

-  "La caccia al nero una vendetta dei clan"
-  "Volevano spostare l’attenzione"

-  La pista del collegamento con la bomba a Reggio

-  di Attilio Bolzoni (la Repubblica, 11.01.10)

ROSARNO - La caccia al nero che abbiamo raccontato dagli aranceti calabresi non l’ha scatenata la rabbia dei contadini e dei possidenti di Rosarno. È stata una "ritorsione organizzata": c’è forse la firma della ‘ndrangheta nei raid per le campagne e nelle ronde che hanno braccato gli africani. Una rappresaglia mafiosa per dimostrare chi comanda in quel territorio, per schierarsi al fianco degli abitanti infuriati, per terrorizzare gli immigrati. La ‘ndrangheta dopo quarantotto ore di guerriglia ha vinto la sua battaglia: la Piana è stata liberata dai "negri" in rivolta che Rosarno voleva cacciare.

Un investigatore riassume i fatti e delle scorribande ne indica la matrice: «I boss hanno cavalcato la protesta per far vedere che stanno con la gente e non contro la gente. La caccia all’uomo è stata una vendetta a freddo, calcolata».

Per chi non conosce a fondo la Calabria: la caccia al nero è andata in scena in una striscia della Piana dove cinque comuni, uno attaccato all’altro - Rosarno, San Ferdinando, Gioia Tauro, Taurianova, Rizziconi - negli ultimi due anni sono stati chiusi per "infiltrazioni mafiose". Lì, proprio in questo regno della ‘ndrangheta, c’è stato il regolamento di conti contro i neri che avevano osato ribellarsi.

Erano solo sospetti. Erano solo ipotesi d’indagine. Oggi però gli indizi sembrano più consistenti, le tracce lasciate prendono la forma delle impronte digitali della mafia calabrese. Le indagini puntano verso i boss di Rosarno e di Gioia Tauro. Il procuratore capo di Palmi Giuseppe Creazzo ha aperto un’inchiesta - ha già ascoltato alcuni testimoni - e aspetta le prime informative e i primi rapporti dalla polizia giudiziaria. Se la pista mafiosa sarà confermata, l’inchiesta passerà nei prossimi giorni alla procura distrettuale di Reggio Calabria.

Ma già ci sono i primi elementi che potrebbero portare a una regia dei clan. Il primo elemento intorno al quale s’indaga è il tipo di armi usate per ferire gli immigrati: fucili caricati a pallini. Un’arma che può fare molto male ma non uccidere, un’arma che è stata scelta "soltanto" per ferire. Tutti i neri ricoverati negli ospedali della Piana avevano addosso i segni di quei pallini: sempre lo stesso tipo di fucile leggero in una zona dove ogni settimana sequestrano quintali di armi pesanti.

Il secondo elemento è nella dinamica degli agguati: la facilità con la quale, una dopo l’altra le vittime - nascoste in casolari, in fuga per i campi - sono state individuate. «Questo presuppone una conoscenza e un controllo del territorio che solo gli uomini di mafia possono avere», spiegano ancora gli investigatori. Il terzo elemento è il più evidente di tutti: la presenza, sulle barricate e nei posti di blocco presidiati dagli abitanti di Rosarno, di molti personaggi legati alla ‘ndrangheta. Gente dei Bellocco e dei Pesce, le due cosche dominanti in paese. Fra gli arrestati della rivolta c’è anche Antonio Bellocco, il figlio di Michele, il capo della famiglia.

In Calabria non è la prima volta che la ‘ndrangheta appoggia proteste di strada, manifestazioni di popolo. È accaduto già una decina di anni fa quando un ragazzo - Giosé Carpenteri - è stato travolto e ucciso a Locri dall’auto blindata che faceva da scorta al sostituto procuratore della repubblica Nicola Gratteri. Gli abitanti di Locri occuparono la linea ferrata sullo Jonio, incendiarono cassonetti sulla statale 106, scesero in piazza a migliaia, formarono "comitati popolari cittadini" e riempirono i muri del loro paese di scritte contro "gli sbirri". Dopo alcuni mesi si scoprì che a fomentare la sommossa erano stati i Cordì, mafiosi di Locri.

Ma se la pista mafiosa è quella che sembra al momento una delle più attendibili per spiegare le spedizioni punitive fra le arance della Piana, resta ancora un mistero il movente della guerra fra bianchi e neri cominciata a Rosarno giovedì sera. Si rincorrono voci. Una - assolutamente priva di riscontri e ripetuta da più parti - collega gli avvenimenti di Rosarno con la bomba ritrovata alla procura generale di Reggio Calabria l’altra settimana. «Per spostare l’attenzione di stampa e tivù dai giudici e dalle loro indagini», dicono in molti. Voci confuse, incontrollate. Nessuno, qui in Calabria, ancora oggi sa dire perché la Piana è diventata per due giorni e due notti un campo di battaglia.


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