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PER HAITI, MOBILITAZIONE MONDIALE. Appello Usa: "Fondamentale il coordinamento internazionale, attenzione a evitare ingorghi".

SOS SOS HAITI: UN’APOCALISSE. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha promesso aiuti immediati per salvare le vite dei sopravvissuti: "Il mondo si mobiliti".

Carel Pedre (...) "Sto girando nelle strade della capitale - ha raccontato quindici ore dopo il sisma - I cadaveri sono ancora lì per terra. Le autorità non hanno diramato nessun annuncio. Né io ho visto agenti o militari impegnati nei soccorsi. Qui c’è la distruzione totale, ora mi sposterò in periferia, voglio vedere come stanno le cose lì".
martedì 19 gennaio 2010 di Federico La Sala
[...] "Subito dopo il terremoto onde gigantesche si sono abbattute su spiagge e strade: il mare si portava via i morti tra le macerie", ha raccontato Cristina Iampieri, un avvocato italiano che lavora all’Onu nella capitale haitiana. Uno dei tanti brasiliani presenti nel paese (il paese di Lula guida la missione di pace Onu), l’antropologo Omar Thomaz, ha descritto scene orribili: "per le strade della città corrono persone bruciate, seminude: alcuni cantano, sentiamo dei canti religiosi (...)

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> SOS SOS HAITI: UN’APOCALISSE. --- Parla il poeta Métellus: «La catastrofe è un’altra schiavitù. E abbiamo bisogno di nuova liberazione, fatta da popoli amici» (di Daniele Zappalà - Intervista)..

sabato 16 gennaio 2010

INTERVISTA.

«La catastrofe è un’altra schiavitù. E abbiamo bisogno di nuova liberazione, fatta da popoli amici». Parla il poeta Métellus

Haiti: il dolore che chiede riscatto

«Il mio Paese era già molto malfermo, sul piano della democrazia, del diritto al cibo, della condizione dei bimbi... In questi casi, si pensa che almeno la natura risparmi la gente E invece no. Per questo occorre dal mondo uno sforzo in più per aiutarci»

DA PARIGI DANIELE ZAPPALÀ (Avvenire, 16.01.2010)

« Haiti non è soltanto in ginocchio. Siamo tutti come stesi a ter­ra accanto alle vittime». Il poeta e drammaturgo haitiano Jean Métel­lus risiede in Francia, dove trovò ri­paro dalle convulsioni politiche della terra natia. Ma è a questa che ha dedicato negli anni i suoi poemi più noti, tradotti anche in Italia e per i quali ha ottenuto riconosci­menti prestigiosi come il Gran Pre­mio Senghor. In queste ore, con un comitato di sostegno organizzato assieme ad altre personalità della diaspora haitiana, lo scrittore set­tantenne resta in prima linea a fa­vore dei sinistrati.

Come ha appreso?

«Alla televisione. Ed è bastato già questo a suggerirmi tutta la gra­vità, dato che nessuno ha potuto scrivermi via internet o chiamar­mi. Provo un’immensa tristezza, u­na tristezza incommensurabile.
-  Non mi attendevo che Haiti potes­se essere colpita proprio adesso. Il Paese era già estremamente mal­fermo, da quasi tutti i punti di vi­sta. Sul piano della democrazia, della vita quotidiana, del diritto al cibo, della condizione dei bambi­ni. In questi casi, si pensa che al­meno la natura possa risparmiare la gente. E invece no. La natura è cieca, colpisce dove vuole».

Che messaggio lancia all’Italia e alla comunità internazionale?

«Vorrei che la comunità interna­zionale comprendesse il dolore che colpisce 10 milioni di haitiani.
-  Perché - contando la diaspora - siamo in 10 milioni a soffrire nel corpo. Occorre dare sollievo a que­sta pena senza fondo e pensare presto alla ricostruzione del Paese. Una ricostruzione nella durata. Per il mondo, è il momento di mostra­re la sua solidarietà».

Haiti e il resto del mondo. Una sto­ria e tanti contraccolpi...

«In passato, la comunità interna­zionale si è manifestata ogni volta che Haiti ha avuto una nuova rica­duta. Ma questa volta è diverso. Il mondo deve rendersi conto che il dolore che ci ha colpito è di un al­tro ordine rispetto a ciò che abbia­mo conosciuto in passato. Occorre uno sforzo più grande di quanto si sia mai fatto prima».

Haiti ha saputo dare molto al mondo e alla cultura...

«È proprio così. Gli haitiani sono rimasti sempre culturalmente a­perti. Amo ricordare, ad esempio, quanto Haiti ha fatto fin dalle sue origini per la lingua francese. Fu Toussaint Louverture [principale artefice dell’Indipendenza haitia­na, ndr] a introdurre l’uso del francese, scegliendo questa lingua per scrivere la Costituzione. An­che nel mondo francofono, pochi sanno che la prima Costituzione al mondo di una nazione nera è stata scritta in francese. Anche la proclamazione dell’Indipendenza fu scritta in francese. E fu anche grazie al voto di Haiti alla Società delle nazioni che il francese rima­se una lingua pienamente inter­nazionale ».

L’Indipendenza di Haiti ha ormai due secoli. La catastrofe equivale adesso a una sorta di nuova schia­vitù?

«Sì, perché abbiamo bisogno oggi di una nuova liberazione, di una li­berazione che giungerà solo grazie a tutte le nazioni amiche. Si tratta di una liberazione simbolica e tec­nologica, certo, ma non per questo meno necessaria».

Lei giunse in Europa all’epoca del dittatore François Duvalier. Che legame ha mantenuto con Haiti?

«Ho sempre cercato di non dimen­ticare i tanti drammi successivi che hanno colpito il Paese. L’ho fatto attraverso i miei testi, non solo poetici. Ma col mio lavoro di scrit­tura ho anche cercato di magnifi­care Haiti, dato che questi drammi non hanno mai oscurato del tutto l’identità nazionale».

Un suo saggio parla di Haiti come «nazione patetica»...

«Sono stati gli uomini, con tutte le loro bassezze, a renderla patetica. Spesso, gli uomini giunti dall’este­ro. Mi riferisco all’Indipendenza che non venne riconosciuta da Na­poleone, al debito che il Paese do­vette contrarre per guadagnare il riconoscimento internazionale, a tutti i misfatti che le grandi poten­ze hanno ordito per reclamare in­dennità senza fondamento».

È stata anche la natura a rendere questo Paese estremamente invi­tante...

«È vero, è un Paese magnifico, ma la natura ci ha appena strappato u­na parte d’anima. La gente, in que­ste ore, invoca il cielo. Gli haitiani sono un popolo molto religioso. Ma per tanti, ciò che è accaduto non può essere compreso».

In mezzo alle macerie, si può già pensare a un riscatto?

«È la prima parola che dovremo in­seguire. Ci vuole un sussulto. Già storicamente, Haiti ha rappresen­tato molto per i popoli alla ricerca di un riscatto. Anche se questo passato glorioso è stato spesso di­sprezzato, soprattutto dalle grandi potenze. Quella di Haiti è una sto­ria che resta in gran parte da sco­prire e che ancor oggi molti si rifiu­tano di comprendere. Ma a tanti giovani, adesso, questa storia ser­virà per il riscatto».

I suoi poemi accompagnano at­tualmente una mostra fotografica alle porte di Parigi dedicata alla gente di Jacmel, la sua cittadina natia sulla costa meridionale, an­ch’essa duramente provata in queste ore. Il senso della mostra, adesso, cambia?

«È una mostra che parla del dram­ma di Haiti. Il suo senso non cam­bia, ma è stato accentuato a dismi­sura. Chi ha visitato la mostra in queste ultime ore ha persino cre­duto talora a un omaggio posterio­re alla tragedia«.

In questi casi, la poesia serve an­cora a qualcosa?

«Continuo a pensare che la poesia può aiutare persino dopo una ca­tastrofe simile. Pure la poesia può aiutare i giovani a trovare l’energia per rialzare la testa».

Rientrerà?

«Non appena possibile».


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