Skype e Twitter per ore sono stati gli unici canali che hanno permesso al mondo
di conoscere il dramma della popolazione. Crollati tre dei quattro ospedali di Port-au-Prince
Apocalisse Haiti: "Oltre centomila morti"
Sulla Rete il racconto dei sopravvissuti
Una testimone: "Subito dopo il terremoto onde gigantesche su spiagge e strade: il mare si portava via i morti tra le macerie"
di GIOVANNI GAGLIARDI *
Port-au-Prince - "Molti edifici sono scomparsi. Si sentono dalle macerie le grida di aiuto di chi è rimasto sotto e i parenti sono impazienti. Si disperano. Mancano le luci per illuminare la scena e continuare a scavare di notte. Non possiamo che attendere la mattina, ma questa notte è veramente nera per tutti noi". Nelle parole di Fiammetta Cappellini, operatrice umanitaria italiana ad Haiti, c’è tutto il dramma della popolazione colpita dal gravissimo sisma di ieri. La donna che lavora per l’Avsi (Associazione volontari per il servizio internazionale), ong aderente alla Compagnie delle opere, racconta via chat, utilizzando Skype (il software che permette di telefonare e mandare messaggi via internet), gli attimi e le ore dopo le scosse disastrose che hanno spazzato via buona parte della capitale Port-au-Prince. E Skype insieme a Twitter sono gli unici due canali che, attraverso il web, continuano ad unire l’isola caraibica con il resto del mondo. Permettendo di raccontare una apocalisse che ha di fatto inghiottito la città, dove vivono 2,3 milioni di abitanti, 4 milioni con i sobborghi. Un disastro che, secondo il premier Jean-Max Bellerive, potrebbe essere costata la vita a centomila persone.
Il primo allarme. Sul sito di microblogging subito dopo le 16.50 (ora locale), il consueto cinguettio da Haiti è diventato un grido di orrore. "Oh merda! Un fortissimo terremoto proprio adesso ad Haiti", scrive Fredodupoux, che torna poi a twittare qualche minuto dopo: "Questa merda sta ancora tremando, i telefoni non funzionano piu!". "C’è stato un terremoto, l’ho appena sentito qui a Port au Prince", twitta, profetico, Troy Livesay, "I muri stanno crollando, stiamo tutti bene, pregate per quelli negli slum...".
Il terremoto è iniziato alle 22.53 ora italiana (le 16.53 ad Haiti) ed è stato seguito da decine di scosse di assestamento che secondo i geologi potrebbero protrarsi per giorni. L’epicentro è stato localizzato a una ventina di chilometri da Port-au-Prince, sulla terraferma dell’isola e a una profondità di appena 10 chilometri.
SOS SOS. E il cinguettio di Twitter diventa racconto: "Nelle strade si dice che l’hotel Montana è crollato", riporta Fredodupoux, "ci sono scosse di assestamento ogni dieci minuti...l’aeroporto è chiuso e la torre di controllo è stata danneggiata"; ricerca di parenti e conoscenti: "Johanna e Kate sono salvi", scrive Missionhaiti, Abbiamo ricevuto adesso un messaggio da Johanna in cui lei dice che stanno tutti bene ma sono saltati i collegamenti telefonici e internet"; invocazione: "Abbiamo bisogno di aiuto. Ci sono migliaia di morti. SOS SOS...".
Pochissimi i contatti telefonici. "Subito dopo il terremoto onde gigantesche si sono abbattute su spiagge e strade: il mare si portava via i morti tra le macerie", ha raccontato Cristina Iampieri, un avvocato italiano che lavora all’Onu nella capitale haitiana. Uno dei tanti brasiliani presenti nel paese (il paese di Lula guida la missione di pace Onu), l’antropologo Omar Thomaz, ha descritto scene orribili: "per le strade della città corrono persone bruciate, seminude: alcuni cantano, sentiamo dei canti religiosi provenire dalla strada". "La gente si è riversata subito nelle strade dove si poteva avanzare solo a piedi e non in auto", ha riferito Michael Bazile. "La gente urlava e piangeva. Ho visto molte persone in ginocchio a pregare per le vittime".
Il bilancio. Il presidente haitiano Renè Preval, in un’intervista al Miami Herald, dice di aver visto i corpi senza vita e sentito le grida della gente intrappolata sotto le macerie, anche quelle della sede del parlamento nazionale. "Il Parlamento è crollato. Ci sono molte scuole con molte persone morte sotto le macerie. E’ una catastrofe".
Edifici crollati. Fra gli edifici crollati, c’è il commissariato di Delmas 33, con annessa prigione e centro di detenzione di minori, un edificio di tre piani che ora non esiste più. Distrutti anche il palazzo presidenziale, il quartier generale dell’Onu, l’ambasciata di Francia, il ministero degli Interni e della Sanità, l’ufficio imposte e la cattedrale. Sotto le macerie dell’arcivescovado è stato ritrovato il corpo di Monsignor Serge Miot, arcivescovo di Port-au-Prince.
E poi ancora, tra gli edifici crollati, gli hotel Montana, Christopher e Karibè. Il Carribean market (supermercato) e l’edificio Mediacom. Tre dei quattro ospedali di Port-au-Prince sono crollati e l’unico ancora attivo non accetta più feriti perché è ormai al collasso per l’altissimo numero di persone ricoverato.
I racconti. "Il panorama - racconta ancora Fiammetta Cappellini via Skype - è devastante. Danni ingenti si registrano ovunque. I morti non possono che contarsi a migliaia. Per le strade vagano persone in preda a crisi di panico e di isteria, feriti in cerca di aiuto. Gli ospedali sono difficilmente raggiungibili, le strade della capitale impraticabili". Continuano ad essere interrotti i collegamenti, manca la corrente, "tutto si è spento, i generatori sono merce rara".
"Ciò che abbiamo visto col collega Jean Philippe nell’attraversare la città è spaventoso - racconta l’operatrice umanitaria - Non so davvero da che parte potremo ricominciare, ma lo faremo. E’ terribile. Penso ai quattro bambini che abbiamo soccorso oggi pomeriggio, quattro fratellini che si sono trovati sotto una casa distrutta senza i genitori non ancora rientrati dal lavoro. Uno di loro aveva gravissime ferite alla testa e piangeva disperato. La sorellina piangeva chiedendo: ’come fa la mamma a ritrovarci che la casa non c’è più?’".
Carel Pedre, noto conduttore radiotelevisivo haitiano è stato il primo a raccontare la tragedia ai media internazionali, prima con Twitter, poi con la propria voce, infine direttamente in video con una web-cam. "Ero a Port-au-Prince, quando ho sentito la scossa stavo guidando la mia auto. All’inizio pensavo che mi avessero investito", ha detto poco dopo il sisma."Abitazioni distrutte, un ferito ogni due passi. Posso dire di aver visto almeno 500 feriti".
"Sto girando nelle strade della capitale - ha raccontato quindici ore dopo il sisma - I cadaveri sono ancora lì per terra. Le autorità non hanno diramato nessun annuncio. Né io ho visto agenti o militari impegnati nei soccorsi. Qui c’è la distruzione totale, ora mi sposterò in periferia, voglio vedere come stanno le cose lì".
Internet ha permesso ad altri giornalisti di pubblicare scarne informazioni man mano che i collegamenti internazionali riprendevano a funzionare. "In migliaia abbiamo dormito all’aperto stanotte. Dormito? Si fa per dire. Con la luce del giorno abbiamo scoperto una distruzione indescrivibile", si legge in uno dei primi comunicati della stampa haitiana dopo il disastro, pubblicato sul sito Haitipressnetwork. "Le vittime sono numerose. I cadaveri sono ammonticchiati sull’asfalto. La cattedrale di Port-au-Prince, il palazzo presidenziale, gli uffici pubblici sono rasi al suolo. Sono state distrutte anche molte scuole, e centinaia di studenti e docenti sono intrappolati sotto le macerie. La città è morta".
© la Repubblica, 13 gennaio 2010
L’Italia invierà un milione di euro e una missione per un contributo sul posto Dieci milioni di dollari dall’Onu e altrettanti dal Brasile. Dal Canada un aereo e due elicotteri
Aiuti, dalla Ue i primi 3 milioni di euro
Obama: "Pieno sostegno alle vittime"
Appello Usa: "Fondamentale il coordinamento internazionale, attenzione a evitare ingorghi" *
ROMA - Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha promesso aiuti immediati e coordinati per salvare le vite dei sopravvissuti al devastante terremoto che ha colpito ieri sera Haiti. In una conferenza tenuta alla Casa Bianca, Obama ha assicurato che le prime squadre di soccorso americano arriveranno ad Haiti "entro poche ore", e che gli Stati Uniti hanno mobilizzato tutte le possibili "risorse civili e militari" per dare il massimo aiuto alle vittime del terremoto. Tutti i Paesi si sono mobilitati, compresa l’Italia: il governo ha garantito finora una squadra di soccorso e un milione di euro, ma altri aiuti stanno arrivando anche da enti pubblici e privati. I vescovi italiani hanno stanziato due milioni di euro. Si è attivata subito anche la rete delle Ong; molti i contributi delle Regioni e degli altri enti locali.
COME INVIARE IL VOSTRO CONTRIBUTO
Tuttavia, perché gli aiuti siano veramente efficaci occorre un attento coordinamento. Lo sottolineano i responsabili del Pentagono, del Dipartimento di Stato e dell’Agenzia nazionale di aiuti (UsAid), che negli Stati Uniti coordinano l’invio a Port-au-Prince delle diverse squadre di soccorso. "Non dimentichiamoci che a Port-au-Prince è operativa una sola pista d’atterraggio, e che la torre di controllo dell’aeroporto ha subito danni e può lavorare solo parzialmente", ha sottolineato il generale Douglas Fraser, comandante del SouthCom americano, in una conferenza congiunta con il Dipartimento di Stato e UsAid.
"L’intervento che si riuscirà a portare nelle prossime 72 ore è fondamentale per salvare vite umane - ha sottolineato Douglas - e affinchè sia efficace è fondamentale un coordinamento a livello internazionale".
Molti aiuti arriveranno anche dall’Europa: l’Unione europea ha stanziato nel pomeriggio infatti i primi tre milioni di aiuti umanitari d’emergenza all’isola di Haiti. La decisione, hanno riferito i portavoce della commissione Ue, è stato il risultato di una riunione di emergenza convocata questa mattina dall’Alto rappresentante europeo per la politica estera e di sicurezza, Katherine Ashton, insieme ai commissari europei interessati dalla crisi. La Spagna, che detiene la presidenza di turno dell’Ue, si occuperà del coordinamento degli aiuti europei.
Intanto però molti Paesi europei hanno già precisato l’ammontare della cifra che intendono stanziare a titolo personale a sostegno di Haiti, a cominciare dall’Italia che ha annunciato la donazione di un milione di euro e una missione italiana che partirà a breve. Cinquecentomila euro saranno devoluti al Programma Alimentare Mondiale per andare incontro ai bisogni alimentari d’urgenza delle popolazioni colpite, ed altri 500.000 euro saranno concessi nel quadro del programma d’emergenza che la Federazione Internazionale delle Croci Rosse e delle Mezze Lune Rosse sta predisponendo per l’assistenza sanitaria. Un contributo verrà anche dalla popolazione dell’Aquila: "Nessuno come noi aquilani può capire quello che la gente di Haiti sta passando", ha detto il sindaco Massimo Cialente. I vescovi italiani hanno destinato ai terremotati due milioni di euro.
Moltissimi enti pubblici e privati hanno aperto delle sottoscrizioni per raccogliere i contributi dei privati. Le Regioni si stanno mobilitando per conto proprio, al di là dell’azione del governo. Un team di chirurgia di urgenza dell’azienda ospedaliera di Pisa partirà questa sera per Haiti, la Lombardia ha allertato la Protezione Civile regionale. La rete delle Ong si è attivata immediatamento, disponendo la raccolta di aiuti in danaro, viveri, medicine, e l’invio di squadre di soccorso.
La Spagna ha deciso lo stanziamento di tre milioni di euro di aiuti immediati ad Haiti e l’invio di tre aerei con 150 tonnellate di materiale di emergenza umanitario. La Germania invierà 1,5 milioni di euro, cifra che potrebbe aumentare nei prossimi giorni. Molti anche i contributi garantiti dai Paesi americani: il Brasile ha annunciato la donazione di 10 milioni di dollari e 14 tonnellate di alimenti. Il Canada ha già inviato un aereo e due elicotteri ad Haiti con i primi soccorsi di emergenza.
E il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha annunciato un primo stanziamento di 10 milioni di dollari da parte del Centro d’emergenze del Palazzo di Vetro.
* la Repubblica, 13 gennaio 2010
Sulla storia di Haiti, nel sito, si cfr.:
Terremoto di magnitudo 7.2 a Haiti, almeno 724 i morti
Continua a peggiorare il bilancio delle vittime
di Redazione ANSA *
ROMA. Continua a peggiorare il bilancio delle vittime in seguito al terremoto ad Haiti. La protezione civile ora riferisce di 724 morti.
Il bilancio provvisorio del terremoto di magnitudo 7.2 che ha colpito ieri Haiti è stato aggiornato a 724 morti e oltre 2.800 feriti registrati, secondo i servizi di protezione civile del Paese. Nel conto delle vittime "500 nel sud, 100 a Grand’Anse, 122 a Nippes e 2 nel nord-ovest", si legge in un comunicato.
Sul posto si ha notizia di moltissime case crollate, anche chiese e altri edifici storici. Ma secondo l’Usgs, l’istituto geosismico statunitense, la situazione è da "allerta rossa" e potrebbe comportare la morte di migliaia di persone.
Le squadre di soccorso sono al lavoro nella speranza di trovare dei sopravvissuti ad Haiti. Molti edifici sono crollati intrappolando centianaia di persone. I residenti si sono mobilitati per aiutare nei soccorsi. "I primi interventi, effettuati da soccorritori professionisti ma anche dalla popolazione, hanno permesso di estrarre molte persone dalle macerie", hanno sottolineato i servizi di protezione civile.
Il Centro nazionale degli uragani (Nhc) di Miami ha avvertito che la tempesta tropicale Grace, con un movimento erratico e di difficile previsione, ha raggiunto oggi le Isole Leeward e sta avanzando verso Puerto Rico, la Repubblica dominicana e Haiti. Fra stasera e domani, aggiunge il bollettino del Nhc, "potrebbe toccare prima le province orientali della Repubblica dominicana, e poi quelle occidentali della stessa Repubblica e alcune di Haiti" colpite ieri da un violento terremoto di magnitudo 7,2. Il fenomeno, si dice infine, sarà accompagnato da "forti venti e piogge battenti che potrebbero causare straripamento di fiumi e inondazioni".
Dopo il drammatico sisma che ieri ha colpito il Paese, "Caritas Haiti ha già mobilitato le proprie squadre raggiungendo le aree maggiormente interessate dal sisma". Lo rende noto Caritas Internationalis. "L’intera rete di Caritas Haiti, specialmente il team di emergenza, sta partecipando alle operazioni di coordinamento e di aiuto nei tre dipartimenti colpiti", informa padre Jean-Hervé François, direttore di Caritas Haiti. Molte anche le chiese danneggiate dal sisma. A Les Cayes, la residenza del cardinale Chibly Langlois, vescovo della diocesi e presidente della Conferenza episcopale di Haiti, è stata danneggiata e il porporato è rimasto ferito. Un sacerdote che alloggiava nel vescovado è rimasto ucciso sotto le macerie. "Raggiungere le zone colpite è difficile - continua padre Hervé - L’area di Martissant, che è un accesso obbligatorio per raggiungere il sud del Paese è chiuso per motivi di sicurezza". I bisogni della popolazione sono tanti. "Vi è assoluta necessità di cibo, acqua, tende, kit igienici e di primo soccorso", aggiunge padre François. "Assistiamo con compassione e tristezza all’ennesimo disastro naturale che colpisce l’impoverita nazione di Haiti, dopo il tragico terremoto di 11 anni fa e i numerosi cicloni e sismi che da allora si sono succeduti", afferma Aloysius John, segretario generale di Caritas Internationalis. La confederazione ha immediatamente attivato una campagna di raccolta fondi a sostegno dell’opera di Caritas Haiti. "Oggi, una manifestazione di solidarietà globale è più che mai necessaria per portare il sostegno necessario alle vittime di questa crisi", aggiunge John sottolineando come Caritas si trovi a dover rispondere a questa nuova emergenza in un contesto fortemente influenzato dal Covid-19.
L’ultimo dato fornito dal governo, porta il bilancio terribilmente vicino a quello della terribile ondata che sconvolse l’Asia il 26 dicembre 2004
Haiti, le vittime sono 212mila
Tragedia paragonabile allo tsunami *
PORT-AU-PRINCE (HAITI) - Una tragedia paragonabile e forse peggiore di quella dello tsunami asiatico del 26 dicembre 2004 che colpì un’area molto più vasta facendo oltre 230mila vittime. I morti del terremoto di Haiti, secondo i dati forniti dal governo di Port-au-Prince, hanno raggiunto quota 212.000 su una popolazione totale del Paese inferiore ai 9 milione di abitanti e un territorio di 27 mila chilometri quadrati di poco superiore alla Lombardia. Una concentrazione di tragedia, paura e orrore difficilmente riscontrabile nella storia dell’umanità.
La cifra crudele si inserisce in una situazione ancora molto difficile con i soccorsi che hanno a lungo stentato a raggiungere livelli di efficacia accettabili e la ricostruzione che si anuncia lunga e difficilissima. Ieri ne ha parlato a New York il presidente della Camera Gianfranco Fini durante l’incontro con il segretario generale dell’Onu, Ban-ki-Moon. E Fini è sembrato voler sottolineare una certa distanza dalle critiche del responsabile della Protezione Civilie italiana, Guido Bertolaso che, durante la sua visita a Port-au-Prince aveva sottolineato alcune carenze degli aiuti: "Ho espresso - ha detto Fini - vivo apprezzamento per l’azione di coordinamento degli aiuti e degli sforzi della comunità internazionale per rendere quanto più rapida possibile la ricostruzione. Il segretario era perfettamente a conoscenza delle azioni e decisioni italiane in proposito". Senza la presenza e l’intervento delle Nazioni unite, ha aggiunto Fini, questa "tragedia globale ed epocale", avrebbe toccato "livelli di autentico allarme e autentica emergenza".
Cade un elicottero. Un elicottero impegnato nelle operazioni umanitarie ad Haiti è precipitato nella parte ovest della Repubblica Dominicana. Nell’incidente sono morti il pilota e il co-pilota, la cui nazionalità non è stata resa nota dalle autorità. L’elicottero si è schiantato al suolo nella provincia di Dajabon e rientrava da una missione nella capitale.
* la Repubblica, 05 febbraio 2010
Haiti: dieci americani fermati per traffico illegale di bambini
Dieci persone accusate di voler ’rubare’ bambini
NEW YORK - Dieci cittadini americani che fanno parte di una organizzazione cristiana dell’Idaho sono stati fermati dalle autorità di Haiti al confine con la Repubblica Dominicana e quindi incarcerati a Port-au-Prince perché sorpresi su un autobus a bordo del quale viaggiavano 33 bambini di una età compresa tra i due mesi e i 14 anni. Il sospetto, che si trattasse di ’ladri di bambini’. In serata, l’ambasciata americana ha precisato all’agenzia France Presse che gli americani sono stati fermati per "violazione delle leggi haitiane sull’immigrazione". Secondo alcuni media americani tra cui la Cnn che cita fonti vicine alla polizia di Haiti, vi sarebbero "ragionevoli sospetti" che si tratti di un esempio di traffico di bambini legato ad adozioni illegali negli Stati Uniti.
Una delle donne arrestate, originaria dell’Idaho e leader del gruppo umanitario New Life Children’s Refuge, ha però negato recisamente le accuse. "Siamo venuti ad Haiti per aiutare coloro che non hanno altra fonte di assistenza", spiega Laura Silsby, aggiungendo: "Siamo fiduciosi che la verità verrà stabilita". Gli americani parlano di equivoco e sostengono che le accuse di "furto" dei bambini siano infondate in quanto i bambini erano privi di passaporto (perché un cittadino haitiano lasci il Paese è necessaria un’autorizzazione del governo). La loro intenzione era trasportare i bambini nella Repubblica Dominicana per essere assistiti, dopo la distruzione dell’orfanotrofio che li ospitava. Il ministro haitiano della Cultura, Marie Laurence Jocelyn Lassegue, ha raccontato che al confine con la Repubblica Dominicana "la polizia ha visto un autobus a bordo del quale viaggiavano molto bambini senza documenti. Per questo è stato deciso di portare l’autobus a Port-au-Prince".
Dal canto suo l’Unicef lancia un grido diallarme. "Dobbiamo fare in fretta, non c’é tempo. Bisogna proteggere i bambini di Haiti dagli sciacalli, dai nuovi mercanti di schiavi che si sono messi in caccia subito dopo il terremoto", spiega Vincenzo Spadafora, presidente di Unicef Italia, nel numero di Gente in edicola domani. Sul caso interviene anche Valerio Neri di Save The Children Italia: "La notizia preoccupa perché prova che in questo momento sia persone in buona fede sia in malafede, che lo fanno per trafficare sulla disperazione e sulla povertà, possono rubare bambini per portarli in altre nazioni con fini diversi".
* Ansa, 31 gennaio 2010, 20:03
Haiti: La guerra ambientale c’è già
di Pino Cabras
Megachip *
Pian piano, dopo il sisma di Haiti, alla periferia del sistema dell’informazione si comincia a parlare di terremoti causati dall’uomo, ormai ritenuto capace di progettare nuovi ordigni da dottor Stranamore. Come vedremo, la tecnologia c’è già.
I terremoti però accadono da sempre, e senza aiuti tecnologici. La stessa Haiti nella sua storia è stata colpita dalle scosse molte volte, e violentemente, anche in epoche in cui non esistevano nemmeno gli aerei.
Non furono certo armi a onde longitudinali (qualsiasi cosa questa parola significhi) a causare lo tsunami che nel 1908 distrusse Messina e Reggio Calabria. Gli esempi sarebbero infiniti, possiamo risparmiarci un ripasso alla storia dei terremoti.
Dobbiamo chiederci, allora, perché qualcuno non voglia più vedere la mano di un Dio Creatore nella tragedia di Port-au-Price, bensì la crudele volontà di un creatore umano.
Ha cominciato una tv venezuelana, ritenuta vicina al presidente Hugo Chávez, a ipotizzare - citando fonti riservate russe - che il terremoto haitiano sia stato causato da un’arma segreta statunitense. In un gioco mediatico di specchi, la televisione russa di lingua inglese Russia Today ha citato il servizio del canale di Caracas. Si sono aggiunti altri specchi, specie nel web, con titoli che addirittura attribuivano a Chávez frasi virgolettate in realtà mai pronunciate.
Va notato come la congettura si diffonda - al di là del credito che le viene dato - nei luoghi in cui si contrasta l’oligarchia mediatica anglosassone e la sua narrazione dei fatti. È proprio di questi giorni l’accesa polemica fra Pechino e Washington su Google e sull’intervento dei governi nel web. La divaricazione sul “soft power”, il potere soffice dei media, è destinata ad accrescersi. Sempre più difficile sarà il proporsi di una sola narrazione, come oggi, che descrive il proprio ruolo nel mondo come il più buono, importante, morale, come il solo punto di vista, il pensiero senza alternative, il vettore unico della cronaca e della storia. Si affacciano altre letture, altre visioni, da subito. Anche nel caso di Haiti.
E anche quando le visioni alternative non vanno verso la causa del terremoto, giudicano comunque le immediate conseguenze. Il ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov, ammonisce: «Parto dal presupposto che nessuno abuserà della situazione creatasi adesso per raggiungere qualche altro obiettivo che non sia la prestazione di aiuto al popolo haitiano». Tanta felpatezza da consumato diplomatico riflette preoccupazioni molto più allarmate. Basta osservare come vanno i soccorsi, oggi in mano USA, per capire che la priorità non è l’intervento umanitario.
I 15mila militari statunitensi sono la presenza più vistosa, ma non certo la più efficace, sul piano della protezione civile. Risulta sproporzionato proprio il peso della componente militare. Non sono agenzie civili a prendersi carico delle operazioni, ma lo US Southern Command (SOUTHCOM), il comando combattente per il Centro e il Sud America, alle dipendenze del Pentagono.
Il capo della protezione civile italiana, Guido Bertolaso, ha considerato del tutto inadeguata la gestione attuale del soccorso, condizionata dalle «troppe stellette». Abbiamo visto che vari cargo delle ONG internazionali carichi di medicinali non hanno potuto atterrare. Abbiamo visto arrivare forze speciali, armate fino ai denti, dotate di elicotteri e mezzi blindati, mentre i carichi di derrate, acqua e medicinali erano dirottati sulla vicina Santo Domingo. I pochi aerei civili ammessi all’atterraggio se ne stanno sulle piste, e poco o nulla del loro bendidio esce da lì. Tanta presenza militare non pare giustificarsi nemmeno con le necessità di preservare l’ordine pubblico, visto che i saccheggi continuano, un po’ come avvenne a New Orleans nel 2005 dopo l’uragano Katrina. Il governo locale è di fatto esautorato.
A un passo da Cuba e dal Venezuela, gli USA controllano militarmente una nazione invasa, posta in una posizione geopolitica rilevantissima. Il fatto si presenta anche in questi nudi termini. Lavrov e Chávez lo notano più di altri, dalle loro posizioni.
Con le nostre cognizioni abituali, questo fatto può essere letto in modo semplice: gli USA hanno colto un’occasione storica. Nel momento in cui gli Stati Uniti avevano già avviato un Roll Back, cioè un’offensiva politica, militare e diplomatica volta a fermare l’espansione di governi indipendenti se non ostili nel continente americano, una “Reconquista” di un po’ di casematte imperiali, il sisma haitiano è una palla da cogliere al balzo. Non occorrerebbe premeditazione, basterebbe applicare pragmaticamente una nuova dottrina geopolitica, usando la struttura più pronta, quella militare. Ecco, i sospetti - in questo quadro di schermaglie - sono sorti nel momento in cui si è scoperto che questa struttura militare era fin troppo pronta.
Un giorno prima del terremoto il SOUTHCOM conduceva un’esercitazione militare «basata su uno scenario che implicava la fornitura di soccorsi ad Haiti in conseguenza di un uragano». Lo rivela su un sito governativo Jean Dimay, funzionaria della DISA, un’agenzia high tech di coordinamento per il combattimento, un’emanazione del Pentagono. Ed ecco che un disastro ad Haiti poi avviene davvero, così che il SOUTHCOM «ha deciso di passare al reale» (go live), tanto da poter «intervenire ad Haiti velocemente, perché i sistemi erano già caricati sui pallets a Miami in vista dell’esercitazione che è stata cancellata».
Nessuna congettura potrebbe avere basi dimostrabili. Si può solo registrare l’ennesimo caso di un’esercitazione sulla quale va a ricalcarsi un evento reale, che riproduce in notevole misura il quadro che giustifica il coinvolgimento di importanti apparati. È successo massicciamente l’11 settembre 2001 negli USA. È successo con esattezza pedissequa il 7 luglio 2005 a Londra. Magari stavolta a Port-au-Prince era una coincidenza.
È però inevitabile che i grandi fatti militari, e il caso di Haiti lo è subito diventato, siano degli “osservati speciali”. Viviamo nell’epoca inaugurata da Hiroshima: si è accresciuta l’incidenza della scienza, che ha dotato le potenze militari di mezzi votati alle volontà di dominio più sfrenate, non importa quale vocazione democratica o pacifica dichiarino i leader politici.
Il generale Fabio Mini, ex Capo di Stato Maggiore della NATO in Sud Europa, autore di un saggio che racconta accuratamente scenari estremamente inquietanti (Owning The Weather: la guerra ambientale globale è già cominciata), durante un’intervista di qualche anno fa si dichiarò pessimista sul fatto che i possessori di tecnologie in grado di provocare terremoti si fossero astenuti dall’usarle.
E, cosa più importante, il generale Mini dava per assodata l’esistenza di tecnologie in grado di provocare gravi calamità ambientali, sismiche, climatiche.
La guerra ambientale, per Mini, si definisce come «l’intenzionale modificazione di un sistema ecologico naturale (come il clima, i fenomeni meteorologici, gli equilibri dell’atmosfera, della ionosfera, della magnetosfera le piattaforme tettoniche eccetera), allo scopo di causare distruzioni fisiche, economiche, psico-sociali nei riguardi di un determinato obiettivo geofisico o una particolare popolazione».
La guerra ambientale va di pari passo con la guerra psicologica e dell’informazione «che comprendono il cosiddetto denial: la negazione delle informazioni, dei servizi, delle conoscenze, degli accessi alle tecnologie e agli strumenti di difesa e salvaguardia. In materia di negazione la guerra ambientale può esprimere potenzialità enormi ed arrivare al cinismo disumano anche se condotta in forma latente e passiva».
L’Onu nel 1977 approvò una convenzione contro le modifiche ambientali, ma la ricerca e l’applicazione della guerra ambientale, ricorda Mini, è di fatto passata alla clandestinità. Tutto è diventato opaco, o peggio: metodicamente avvolto nella menzogna, al punto che tutte le dietrologie sul modo di condurre la guerra attuale diventano l’unico metodo di indagine plausibile per aggirare le bugie. Fa impressione leggere nelle pagine di questo generale che «qualsiasi teoria del complotto prima o poi si rivela fondata», o leggere che una parte delle migliaia di bombe atomiche esplose dai tempi di Hiroshima non erano sperimentazioni di guerra nucleare bensì altrettante messe a punto della «guerra sismica».
Le ipotesi sul terremoto intenzionale, nel caso di Haiti, restano solo speculazioni. Però, a sentirle formulare, fanno lo stesso sorgere questioni importantissime sulla natura della guerra attuale e le sue spaventose potenzialità, 65 anni dopo la prima bomba atomica.
La soglia superata a Hiroshima è la prima di una serie di soglie già oltrepassate. Ciascuno di voi lettori fortunatamente non ha sperimentato su di se una bomba atomica, ma sa che esiste. Ciascuno di voi non ha similmente sperimentato un terremoto artificiale, ma deve sapere che esiste. Nessuno di noi attualmente ha i mezzi per distinguere su questo argomento il falso dal vero. Ognuno può però iniziare a considerare necessario saperne di più, perché le guerre da molti decenni non si dichiarano, ma si combattono con mezzi sempre più sofisticati, dalla terra delle faglie all’aria dei media.
* link: http://www.megachipdue.info/component/content/article/42-in-evidenza/2363-la-guerra-ambientale-ce-gia.html
Haiti, Clinton ironizza su Bertolaso
"Le sue critiche? Polemiche da bar" *
Il segretario di Stato Hillary Clinton ironizza sulle accuse fatte dal sottosegretario alla Protezione Civile, Guido Bertolaso, sulla gestione statunitense degli aiuti in Italia. "Mi sembrano quelle polemiche che si fanno il lunedì dopo le partite di football" ha dichiarato il capo della diplomazia Usa. La Clinton che ha ricevuto al Dipartimento di Stato Franco Frattini (che aveva intanto già preso le distanze dalle dichiarazioni di Bertolaso) è tornata a ringraziare "il grande aiuto e la collaborazione che l’Italia sta dando a Haiti".
Gli Usa «comandano». Ed è scontro con l’Onu
Parigi critica l’America: si tratta di sostenere non di invadere il Paese». Dopo i primi soccorsi, scatta la fase due: cibo e medicine ai superstiti
DA NEW YORK ELENA MOLINARI (Avvenire, 19.01.2010)
I soccorsi ad Haiti passano alla fase due. Dopo la corsa contro il tempo per trovare i feriti intrappolati nelle macerie, ora la sfida è far arrivare un flusso costante di aiuti ai sopravvissuti. A causa di problemi logistici, infatti, a quasi una settimana dal terremoto, acqua, cibo e medicinali stanno appena cominciando ad arrivare nelle mani di una folla sempre più disperata. Gli Stati Uniti hanno assunto un ruolo dominante anche nella distribuzione degli aiuti, come avevano già fatto con il coordinamento dei soccorsi e della sicurezza. Mentre i convogli di cibo inviati dal Programma alimentare mondiale (Pam) dell’Onu sono stati consegnati finora senza scadenze o destinazioni precise, gli americani hanno annunciato ieri che distribuiranno con regolarità acqua, cibo e medicine a partire da questa mattina in 14 punti della capitale.
Anche per evitare il sovrapporsi di iniziative, il Canada ospiterà lunedì una riunione dei ministri degli Esteri dei Paesi donatori sugli aiuti a Haiti. Gli Usa continuano intanto a gestire l’aeroporto di Port-au-Prince e mantengono l’obiettivo di portare a 10mila il numero dei soldati dislocati sul territorio colpito dal sisma. Ieri sono arrivati 2.200 marines, una decina di elicotteri, ruspe e attrezzature mediche. Il mandato è proteggere la massiccia operazione umanitaria dai saccheggi.
Un dominio Usa che non smette di creare proteste, tanto che ieri il segretario generale delle Nazioni Unite si è visto costretto a precisare che l’Onu è il vero «leader nel coordinamento» degli aiuti internazionali. Ban Ki-moon ha detto anche di aver chiesto al Consiglio di sicurezza di aggiungere 1.500 poliziotti e 2.000 militari alla missione di peacekeeping dell’Onu, che si aggira sui 9.000 uomini, ipotizzando un mandato di sei mesi. Intanto il presidente haitiano Renè Preval, dopo aver incontrato l’ex presidente americano Bill Clinton (arrivato con la figlia Chelsea), inviato speciale delle Nazioni Unite a Haiti, ha spiegato che le truppe Usa si limitano ad «aiutare» i caschi blu dell’Onu a mantenere l’ordine tra le strade di Haiti. «La sicurezza sarà garantita da uomini dell’Onu e non da soldati americani - ha aggiunto poi un portavoce dell’ambasciata Usa -. Nessuno ha intenzione di invadere questo Paese».
Chiarimenti obbligati dopo che il segretario di Stato francese alla Cooperazione, Alain Joyandet, aveva chiesto all’Onu di esplicitare il ruolo degli Stati Uniti ad Haiti. «Si tratta di aiutare Haiti, non di occupare Haiti», aveva dichiarato, usando parole simili a quelle del presidente venezuelano e antiamericano dichiarato Hugo Chavez. Intanto arrivava anche la protesta di Medici senza Frontiere, scontenta della gestione dell’aeroporto. Il colonnello Usa Buck Elton, che ha il comando dello scalo, ha spiegato che l’aeroporto è congestionato, nonostante sia riuscito a portare a 100 il numero dei voli giornalieri, contro i 30 prima del terremoto.
Le difficoltà organizzative e di coordinamento con la comunità internazionale hanno messo in evidenza la sfida che gli Stati Uniti hanno di fronte ad Haiti: quella di mantenere l’impegno nel Paese a lungo termine e di trovare un modo nuovo di operare che non replichi gli errori del passato che hanno segnato anche recenti calamità naturali. Il New York Times ieri ricordava infatti l’alternato dominio politico o disinteresse degli Stati Uniti con il Paese caraibico.
Duri giudizi del capo della Protezione civile in missione sull’isola: "Nessuno si prende il cerino in mano"
"Occorre un vertice internazionale, a livello Onu, per stabilire come gestire queste emergenze nel mondo"
Bertolaso da Haiti critica i soccorsi degli Usa
"Confondono intervento militare con emergenza"
"Si dà un po’ da mangiare, bere e il problema per loro è risolto, ma si devono porre le basi per la vita futura"
"Il governo locale non sa nulla di quello che accade c’è netta la sensazione che siano stati emarginati" *
ROMA - Bertolaso all’attacco. Il capo della Protezione civile in missione ad Haiti, lancia dure critiche nei confronti della macchina degli aiuti. E non risparmia nemmeno gli Usa: "Aiuti encomiabili, ma manca una capacità anche di coordinamento e di leadership". Secondo Bertolaso occorre creare una agenzia internazionale per le emergenze.
"La mia proposta è quella che si faccia un vertice internazionale, a livello dell’Onu, per stabilire come gestire questo tipo di emergenze nel mondo". L’idea è stata lanciata dal capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, nel corso del programma "In mezz’ora" su Raitre, in diretta da Haiti. Rispondendo alle domande di Lucia Annunziata, Bertolaso ha spiegato: "Oggi si prende atto di un fallimento del sistema". La giornalista ha chiesto a Bertolaso se potrebbe esser lui la persona delegata a gestire situazioni di questo tipo: "Non se ne parla neppure - ha risposto Bertolaso - io sono una persona controcorrente, alle Nazioni Unite vanno bene quelle conformiste. L’importante però è che venga scelta una persona e che gli venga dato un ruolo operativo".
La situazione nell’isola va comunque risolta rapidamente. "C’è una popolazione dignitosa, paziente, che ne ha viste tante e riesce a sopportare. Ma è necessario fare", ha sottolineato Bertolaso. Bisogna allestire tendopoli, risolvere la crisi alimentare quella della sanità, altrimenti gli haitiani "potrebbero arrabbiarsi", ha avvertito. "Il problema di fondo è che nessuno si prende il cerino in mano".
"Ci sono enormi organizzazioni coinvolte e moltissimo da fare, ma la situazione è patetica, e tutto si sarebbe potuto gestire molto meglio". Così ha detto il capo della protezione civile, guido bertolaso, nel corso di una intervista durante la trasmissione "in mezz’ora" su raitre. Rispondendo alle domande di lucia annunziata ha spiegato: "il mondo poteva dare prova di poter gestire al meglio una situazione come questa, ma finora non ha funzionato".
"Si assiste a una fiera della vanità - ha detto ancora il capo della Protezione civile - si viene qua con l’ansia di far bella figura davanti alle telecamere, si sventolano le bandiere, ma non c’è uno che dice lavorate e poi andate davanti alle telecamere e prendete la medaglietta". Quando Bertolaso, insieme con l’ambasciatore italiano, è andato dal presidente di Haiti, "è stato sorpreso, loro non sanno nulla di quello che accade, e insomma c’è netta la sensazione che siano stati emarginati".
La macchina americana dei soccorsi per Haiti è "encomiabile", ma non dà i risultati attesi perché ci sono "troppe stellette, gli americani tendono a confondere l’intervento militare con quello di emergenza", ha spiegato Bertolaso. "Sono aiuti encomiabili, uno sforzo impressionante che però non porta a quei risultati che invece si sarebbe potuto avere se ci fosse stata una voglia, una capacità anche di coordinamento e di leadership. Gli americani non possono che avere la leadership di questa emergenza, ma hanno bisogno di un ’Obama dell’emergenza’, che evidentemente non sono riusciti a trovare".
Anche "Clinton che scarica le cassette della frutta" non è servito. "Sarebbe stata la svolta se lui avesse gestito l’emergenza in prima persona, invece se n’è andato". Secondo Bertolaso, "Le navi ospedale, le portaerei, non hanno rapporti stretti con il territorio, con le organizzazioni umanitarie che sono presenti sul posto. Ognuno fa la sua parte, ma in modo svincolato". Ma le critiche agli Usa non finiscono qui: "Con l’uragano che ha colpito New Orleans non mi pare di ricordare che la gestione dell’emergenza è stata esemplare". La "tecnica d’intervento" ad Haiti applicata dagli Usa, secondo Bertolaso, è quella già usata in passato a Goma, Ruanda e Cambogia. "Si viene qui, si dà un po’ da mangiare, bere e il problema per loro è risolto, ma è una contraddizione se non si pongono le basi per la vita futura".
* la Repubblica, 24 gennaio 2010
La macchina degli aiuti Usa gira a vuoto. Al mercato nero spuntano Coca-Cola e altre cibarie
"Non possiamo distribuire a caso. Dobbiamo assicurare una giusta divisione"
Soccorsi fermi all’aeroporto
Port-au-Prince muore di sete
dal nostro inviato ANGELO AQUARO *
PORT-AU-PRINCE - Il sergente Paul D. Jones è stato catapultato dal suo battaglione della Us Army in Florida sotto il cielo di Haiti mercoledì scorso, e ieri ha "festeggiato" cinque giorni senza mettere il naso fuori dall’aeroporto Toussaint di Port-au-Prince. Barack Obama ha celebrato il suo anniversario alla Casa Bianca esibendosi nel primo messaggio via Twitter e siccome è un presidente politicamente corretto, in questi giorni di dolore ha scelto come destinatario la Croce Rossa. Ma lo sforzo quasi bellico dell’America (10mila uomini promessi, un terzo dei rinforzi destinati all’Afghanistan) non si vede per le strade di quest’isola in cui più di una persona su tre - dice proprio la Croce Rossa - è stata colpita e in cui l’Onu vorrebbe aumentare i suoi 10.000 volontari. E mentre il sergente Jones fa la guardia al barile, al mercato nero spuntano Coca-Cola e altri cibi che qualche manina deve avere trafugato dagli aiuti stoccati all’aeroporto. Così si spengono le speranze di Haiti che muore di fame e di sete.
L’aeroporto della città devastata è più trafficato di un Grand Hotel. Sabato è arrivato il segretario di Stato Hillary Clinton. Domenica il segretario dell’Onu Ban Ki-Moon. Ieri l’inviato speciale delle Nazioni Unite, ancora un Clinton, il grande Bill, che dell’isola è un amico dai tempi in cui salvò la democrazia e il prete-presidente, Aristide, dal solito golpe caraibico, prima che finisse anche lui in una storia di corruzione. "Sarei sorpreso, e non potrei tollerarlo, se entro 48 ore non saremo stati capaci di dare da mangiare e acqua potabile a questa gente", dice Clinton, che qui è notissimo anche per una canzone del salsero Ritchie, "Bill" appunto, che invece di Aristide parla però di Monica Lewinski. "La gente di qui è stata davvero eroica", dice l’ex presidente, che viene portato all’Ospedale Generale fino a ieri con i cadaveri in mostra nel cortile. Poi l’incontro con il presidente René Preval, che vive praticamente all’aeroporto da quando il Palais Nacional è stato aperto dalla scossa come un uovo.
"Sono tre giorni che non riesco a partire perché bloccano tutto", dice una giovane haitiana che dopo la casa dei suoi genitori quaggiù non può permettersi di perdere il lavoro che l’aspetta negli States. Gli americani - che controllano l’aeroporto per la rabbia di brasiliani e francesi ("Non è una missione umanitaria?") - sostengono che il 40 per cento dei voli sono militari e il 60 già civili. Con 600 voli in cinque giorni hanno trasportato e accumulato sulla pista una striscia di più di tre chilometri di viveri. Ma il guaio è che i viveri sembrano siano rimasti lì. Il sergente Jones ti dice serenamente che gli ordini dei superiori sono quelli di aspettare: "Non possiamo distribuire a caso: bisogna assicurare una giusta divisione".
Traduzione? Il segreto che tutti sanno è che gli Stati Uniti non si fidano degli haitiani e Bill Clinton, oltre a muoversi per l’Onu, qui è in missione anche per conto di Obama: vuole assicurazioni per gli States. "Basta con questi ladri, America", urla Jean Doussou, mostrando il suo visa, il permesso di soggiorno. "Vivo a New York dove ho studiato Educazione Alimentare, una materia che qui salverebbe migliaia di vite. Il presidente Obama è la speranza di tutti noi: ma come fa a capire che non può continuare ad aiutare questo governo?"Doussou indica i ruderi di Rue Saint Gerard: "Questa è colpa loro, le case si sciolgono come burro perché il materiale fa schifo. L’America ricordi: qui piange anche i suoi morti. Nessun assegno in bianco: prenda in mano il comando. Occupazione o no qui conta solo che qualcuno si occupi finalmente di noi".
© la Repubblica, 19 gennaio 2010
Haiti, cresce la tensione: è emergenza sciacalli
La polizia spara su saccheggiatori, un morto *
PORT-AU-PRINCE - Mentre prosegue la disperata ricerca di sopravvissuti, ad Haiti è ormai emergenza sciacalli, con veri e propri linciaggi in strada. Un giornalista della Reuters ha aver visto un uomo dato alle fiamme da cittadini inferociti che lo avevano sorpreso a rubare e altri due uomini con ferite di arma da fuoco alla testa e le mani legate dietro la schiena.
La polizia ha sparato contro alcuni saccheggiatori in un mercato di Port-au-Prince, uccidendone almeno uno. Alcuni giovani stavano cercando di portar via tutto quanto riuscivano a recuperare tra le rovine del mercato Hyppolite, quando sono arrivati alcuni poliziotti armati con fucili d’assalto. Questi ultimi hanno aperto il fuoco e uno dei saccheggiatori, un uomo di circa trent’anni, è stato colpito alla testa ed è crollato al suolo.
Secondo il racconto del fotografo, un altro ragazzo gli si è avvicinato e, prima di fuggire, si è impossessato del suo zaino. I poliziotti hanno continuato a sparare, altri sono arrivati in rinforzo. Si sono sentiti colpi d’arma da fuoco fino a quando tutti i saccheggiatori sono spariti dall’area del mercato.
RIENTRATI 13 ITALIANI A CIAMPINO - Intanto sono rientrati in Italia da Haiti i primi connazionali sopravvissuti al forte sisma che ha devastato l’isola. E’ atterrato a Ciampino intorno a mezzogiorno il Falcon dell’Aeronautica militare con 13 italiani rimpatriati. Si tratta di quattro nuclei familiari, tre bambini e il gatto di uno dei bimbi. Sull’aereo hanno viaggiato anche una donna incinta e un anziano di 87 anni. Ad attenderli sulla pista dell’aeroporto i familiari e il sindaco di Roma, Gianni Alemanno.
RICERCA DEI SOPRAVVISSUTI, SMS DALLE MACERIE - Si scava a Port-au-Prince, ed in altre città di Haiti devastate dal terremoto: decine di dispersi sono riusciti a segnalare la propria presenza sotto i palazzi sbriciolati dal sisma, spesso con un sms, dando nuovo vigore alle operazioni di soccorso. tre persone sono state estratte vive dalle macerie del Caribbean Market: una bambina ed un uomo haitiani ed una donna americana. E’ lo stesso supermercato dove è stato localizzato un disperso italiano. Un membro danese della forza di pace Onu ad Haiti è stato estratto vivo ed è in buone condizioni di salute. "Lo abbiamo tiratofuori senza un graffio", ha detto un altro responsabile della Minustah. Una squadra di soccorritori giunti da Israele è riuscita a salvare un uomo di 58 anni. E’ stata salvata anche Nadine Cardoso, una delle proprietarie dell’Hotel Montana. Era disidratata ma senza ferite. Ha detto di aver sentito delle voci tra le macerie dell’albergo. Si scava ancora quindi. Sale a 70 il numero delle persone estratte vive.
In prima linea anche i chirurghi di Medici senza frontiere che stanno eseguendo soprattutto interventi cesarei e amputazioni. Il personale medico sul posto afferma di non avere mai visto un numero così elevato di ferite gravi, fa sapere l’organizzazione.
MENO DI 10 ITALIANI MANCANO ALL’APPELLO - Sono meno di dieci gli italiani che,al momento, mancano all’appello ad Haiti. Lo si apprende da fonti della Farnesina. Si tratta di persone che, finora, non si e’ riusciti a contattare o individuare, direttamente o indirettamente. In questo conteggio non sarebbero quindi compresi i due funzionari dell’Onu e il connazionale indicato sotto le macerie del supermarket.
FRATTINI, ITALIA PRONTA A CANCELLARE IL DEBITO - "Diamo la nostra disponibilità da ora a cancellare il debito che Haiti ha verso l’Italia, sono 40 milioni di euro". Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri Franco Frattini appena atterrato a Roma di ritorno dalla sua missione in Africa. "E’ un primo modo per aiutare l’inizio della ricostruzione", ha detto il ministro.
OMS, TRA 40.000 E 50.000 LE VITTIME DEL SISMA - Nel sisma che ha devastato Haiti sono morte tra le 40.000 e le 50.000 persone, secondo quanto stimato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), cifre citate in una nota dell’Onu diffusa oggi. L’Oms, insieme con l’organizzazione panamericana della sanità (Paho) "stimano che il numero dei morti è compreso tra i 40.000 e i 50.000", spiega il documento su Haiti stilato dall’ufficio di coordinamento per gli Affari Umanitari dell’Onu. Cifre che confermano così l’ultimo bilancio fornito dalle autorità haitiane che segnala 50.000 morti, 250.000 feriti, 2,5 milioni di persone rimaste senzatetto e fino a 25.000 cadaveri radunati.
ATTESA LA VISITA DI BILL CLINTON - Bill Clinton, inviato speciale dell’Onu per Haiti, si incontrerà domani nell’isola col presidente René Preval per parlare degli aiuti d’emergenza. L’ex-presidente giungerà ad Haiti con un aereo carico di viveri, acqua, medicine, batterie solari, radio portatili, generatori di corrente. L’ex-presidente ha inoltre accettato, insieme a George W. Bush, di guidare un comitato per raccogliere fondi per Haiti.
USA INVIA 12.500 MILITARI, OBAMA MOBILITA I RISERVISTI - Gli Stati Uniti potranno contare domani sulla presenza di 12.500 militari nell’area colpita dal terremoto ad Haiti, ha fatto sapere oggi il Pentagono. Ai circa cinquemila già presenti si aggiungeranno altri 7.500 soldati a bordo di una flotta di navi anfibie attesa per domani al largo di Haiti (compresa la nave da sbarco Bataan con oltre 2.200 marine) o trasportati con gli aerei della 82/ma Divisione Aviotrasportata. Il presidente degli Stati Uniti ha mobilitato alcuni reparti di riservisti per le necessità relative ai soccorsi.
BAN, PIU’ GRAVE CRISI UMANITARIA IN DECENNI - "Quella di Haiti è la più grave crisi umanitaria nell’arco di decenni", ha detto il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon. Il segretario generale ha indicato tre priorità: salvare più persone possibile, fare giungere d’urgenza gli aiuti umanitari, coordinare le iniziative internazionali di aiuto.
* ANSA, 17 gennaio 2010, 23:16
Catastrofe non solo naturale
di BARBARA SPINELLI (La Stampa, 17/1/2010)
Le immagini di Haiti devastata non dicono per intero il disastro, come quasi sempre accade nelle grandi calamità naturali. Dicono il punto terminale di una storia lunga, accorciandola e sforbiciandola d’imperio.
Ritraggono la tragedia ignorando le tragedie già avvenute: tremando, la terra le inuma ancor più profondamente. Raffigurano in modi sconnessi lo sguardo di un bambino salvato, struggente di bellezza, e il fulgore tremendo dei machete impugnati da superstiti a caccia di cibi, acqua, medicine. Orrore, bellezza, empatia, discordia: sono frammenti caotici di un tutto inafferrabile. Sono istantanee, e ogni istantanea è la punta di iceberg che restano inesplorati. Vediamo solo questa punta, commossi da eventi estremi. Facendo uno sforzo sentiamo l’odore di morte, descritto dai reporter. La base dell’iceberg, quel che viene prima del sisma, s’inabissa sotto le macerie con i morti. È il terribile destino di parole come umanità, soccorsi umanitari, guerre umanitarie: parole cui si ricorre in simili emergenze e che cancellano la storia, eclissano le responsabilità dei grandi e dei piccoli, dei singoli e delle autorità pubbliche. Parole che narrano una catastrofe solo naturale, non anche umana e politica. Per questo è così prezioso il giornalismo scritto. La televisione mostra solo un pezzetto di realtà, più o meno bene (i telegiornali italiani meno bene della Bbc).
Twitter cattura l’urlo di Munch. Solo lo scritto ha la respirazione lenta della storia. Solo lui può dire quel che era prima del punto terminale, e come possa succedere che l’acme sia questo e non un altro, se possibile meno esiziale.
Le fotografie delle catastrofi sono sempre in qualche modo taroccate. Ci viene «rifilata» una realtà, contorta magari inconsciamente. Privilegiando un riquadro e trascurandone altri falsifichiamo l’immagine, come ben spiegato in un blog attento alle manipolazioni visive (G.O.D., Ghostwritersondemand): ci lamentiamo dei trucchi, «ma siamo noi i grandi rifilatori». Noi che aggiustiamo le foto dei cataclismi, i reportage, trasformando individui e popoli in nuda umanità indistinta alle prese con la natura e sconnessa dalla pòlis. Foto e telecamere mostrano la mano che soccorre, non quella che ha distrutto e aumentato la vulnerabilità d’un Paese. Denunciano la natura matrigna della natura, non della politica; l’eclisse di Dio, non dell’uomo imputabile. Basta leggere su La Stampa i due articoli scritti da Lucia Annunziata, il 14 e 16 gennaio, per scoprire dietro l’Ultimo istante e l’Ultimo uomo una miserabile storia fabbricata dai politici.
Qualcosa in realtà l’intuiamo, osservando i filmati trasmessi dai Caraibi. Sembra di vedere il bastimento di schiavi neri in fuga dall’Africa, che dopo essersi ammutinati sequestrano nel racconto di Melville il comandante Benito Cereno e si autogovernano con crudeli leggi del taglione: la nave si chiama San Dominick, ai nostri tempi Haiti. E proprio a Haiti Melville pensava: il primo luogo dove gli schiavi neri si liberarono negli Anni 90 del Settecento, inneggiando sotto la guida del leggendario Toussaint L’Ouverture alla rivoluzione francese. Pensava alla grandezza delle rivoluzioni e alle rovine che provocano quando perpetuano il tumulto e non si danno leggi stabili. Haiti somiglia a quella nave, divenuta isola.
Anche a Port-au-Prince, come nel naviglio San Dominick, regna l’anomia che secerne despoti. Chi guarda il dramma nei Caraibi non vede autorità locali, che tengano ordine. Non vede poliziotti né ministri haitiani, ma solo potentati e organizzazioni esterni. L’assenza di immagini parla più di quelle esibite, anche qui.
La storia occultata sotto la punta dell’iceberg eccola: è un inarrestabile sanguinario regolamento di conti fra cleptocrazie e fra mafie che oggi usano l’isola per i traffici di droga. È fatta di un’emancipazione gloriosamente iniziata e mai finita, perché sempre ha preferito le dittature generate dall’anarchia rivoluzionaria alle istituzioni che durano. I geologi dicono che identici terremoti, in Paesi ben amministrati, non seminano morte sì vasta. Lo sostiene la sismologa Kate Hutton: vent’anni fa, un terremoto di eguale forza colpì il Sud di San Francisco. Fece 63 morti, non 100-200.000 come a Haiti.
La mano dello Stato non si vede a Port-au-Prince perché non c’era neanche prima, se mai c’è stata. È il motivo per cui sono nate baraccopoli così cadenti e indifese a Port-au-Prince, scrive la scrittrice Amy Wilentz: se i morti son tanti è perché l’agricoltura, degradata, ha spinto migliaia di contadini a inurbarsi negli slum di quella che veniva chiamata Perla delle Antille. I terremotati abruzzesi lo sanno, pur non avendo subito un sisma analogo. Se le case non fossero state costruite con la sabbia, se lo Stato avesse contrastato le speculazioni mafiose, il sisma sarebbe stato diverso: cataclismi dello stesso tipo in Giappone non fanno morti.
Anche dietro la mano internazionale che corre in aiuto, anche dietro quella di Obama, c’è una lunga storia di peccati di omissione e di inani interventismi. Scrive il quotidiano Independent che occorre una «politica globale delle catastrofi». Ma anche questi appelli sono foto che ci rifiliamo a vicenda. Il disfarsi di Haiti rivela ed esige di più: rivela che aiuti umanitari e allo sviluppo vanno ripensati, perché fallimentari, e organizzati prima dei cataclismi. Fallimentari furono in primis gli interventi stabilizzatori americani, specialmente di Clinton. Washington tutto ha fatto, impossessandosi nella sostanza dell’isola, tranne rafforzare il suo Stato, le sue infrastrutture: ha installato dittatori, poi li ha cacciati, poi re-insediati (è il caso del sacerdote-presidente Aristide, negli Anni 90) senza mai scommettere sulle capacità locali di rendere l’isola meno vulnerabile ai ricorrenti sismi e uragani (con case meno cadenti, quartieri meno malavitosi, politiche del territorio più affidabili). Da un secolo, Washington «manda alternativamente nell’isola marines e spedizioni di aiuti umanitari - senza mai salvarla. (....) Haiti è un neo purulento sul volto di due delle più luminose pagine di storia del nostro mondo: la rivoluzione francese e quella americana» (Lucia Annunziata, La Stampa 14-1-10).
Lo strazio umanitario ha questo di peculiare: cancella ogni errore, di governi locali o di potenze esterne o di mafie. Mette in scena un male interamente naturale, che fa tabula rasa della storia. Non a caso lo chiamano Apocalisse: parola da evitare, perché nell’Apocalisse non c’è più modo di correggersi. O gli danno il nome di male assoluto, estirpandolo dalla catena storica delle causalità e fantasticando globali empatie umane che oltrepassano la politica. Il racconto di Kleist sul terremoto del Cile racconta il naufragare di leggi e responsabilità. Quando l’uomo è solo di fronte alla natura non resta che il fato, e «tremendo appare l’Essere che regna sopra le nubi»: «Pareva che tutti gli animi fossero riconciliati, dopo che v’era rintronato il colpo spaventoso. Nella memoria non sapevano risalire più in là di esso».
Impietoso, Kleist racconta come la memoria si vendichi, nel mondo non immaginario ma reale. Basta un attimo e la riconciliazione si spezza, proprio come a Haiti: nel mondo reale ci sono i tumulti, i machete, le guerre per il cibo, l’assenza di polizia locale e di Stato.
L’umanitario fa parte della modernità rivoluzionaria come la fotografia e la Tv. Il suo sguardo si fissa sull’ultimo attimo: «Nella memoria non risale più in là». Urge invece risalire, far politica ricordando: anche su scala mondiale. Dice Kafka che bisogna «inoltrarsi nel buio con la scrittura, come se il buio fosse un tunnel». L’immagine fotografica livella ogni cosa, del tutto ignara che ogni buio è un tunnel, anche quando a prima vista pare piatto.
INTERVISTA.
«La catastrofe è un’altra schiavitù. E abbiamo bisogno di nuova liberazione, fatta da popoli amici». Parla il poeta Métellus
Haiti: il dolore che chiede riscatto
«Il mio Paese era già molto malfermo, sul piano della democrazia, del diritto al cibo, della condizione dei bimbi... In questi casi, si pensa che almeno la natura risparmi la gente E invece no. Per questo occorre dal mondo uno sforzo in più per aiutarci»
DA PARIGI DANIELE ZAPPALÀ (Avvenire, 16.01.2010)
« Haiti non è soltanto in ginocchio. Siamo tutti come stesi a terra accanto alle vittime». Il poeta e drammaturgo haitiano Jean Métellus risiede in Francia, dove trovò riparo dalle convulsioni politiche della terra natia. Ma è a questa che ha dedicato negli anni i suoi poemi più noti, tradotti anche in Italia e per i quali ha ottenuto riconoscimenti prestigiosi come il Gran Premio Senghor. In queste ore, con un comitato di sostegno organizzato assieme ad altre personalità della diaspora haitiana, lo scrittore settantenne resta in prima linea a favore dei sinistrati.
Come ha appreso?
«Alla televisione. Ed è bastato già questo a suggerirmi tutta la gravità, dato che nessuno ha potuto scrivermi via internet o chiamarmi. Provo un’immensa tristezza, una tristezza incommensurabile.
Non mi attendevo che Haiti potesse essere colpita proprio adesso. Il Paese era già estremamente malfermo, da quasi tutti i punti di vista. Sul piano della democrazia, della vita quotidiana, del diritto al cibo, della condizione dei bambini. In questi casi, si pensa che almeno la natura possa risparmiare la gente. E invece no. La natura è cieca, colpisce dove vuole».
Che messaggio lancia all’Italia e alla comunità internazionale?
«Vorrei che la comunità internazionale comprendesse il dolore che colpisce 10 milioni di haitiani.
Perché - contando la diaspora - siamo in 10 milioni a soffrire nel corpo. Occorre dare sollievo a questa pena senza fondo e pensare presto alla ricostruzione del Paese. Una ricostruzione nella durata. Per il mondo, è il momento di mostrare la sua solidarietà».
Haiti e il resto del mondo. Una storia e tanti contraccolpi...
«In passato, la comunità internazionale si è manifestata ogni volta che Haiti ha avuto una nuova ricaduta. Ma questa volta è diverso. Il mondo deve rendersi conto che il dolore che ci ha colpito è di un altro ordine rispetto a ciò che abbiamo conosciuto in passato. Occorre uno sforzo più grande di quanto si sia mai fatto prima».
Haiti ha saputo dare molto al mondo e alla cultura...
«È proprio così. Gli haitiani sono rimasti sempre culturalmente aperti. Amo ricordare, ad esempio, quanto Haiti ha fatto fin dalle sue origini per la lingua francese. Fu Toussaint Louverture [principale artefice dell’Indipendenza haitiana, ndr] a introdurre l’uso del francese, scegliendo questa lingua per scrivere la Costituzione. Anche nel mondo francofono, pochi sanno che la prima Costituzione al mondo di una nazione nera è stata scritta in francese. Anche la proclamazione dell’Indipendenza fu scritta in francese. E fu anche grazie al voto di Haiti alla Società delle nazioni che il francese rimase una lingua pienamente internazionale ».
L’Indipendenza di Haiti ha ormai due secoli. La catastrofe equivale adesso a una sorta di nuova schiavitù?
«Sì, perché abbiamo bisogno oggi di una nuova liberazione, di una liberazione che giungerà solo grazie a tutte le nazioni amiche. Si tratta di una liberazione simbolica e tecnologica, certo, ma non per questo meno necessaria».
Lei giunse in Europa all’epoca del dittatore François Duvalier. Che legame ha mantenuto con Haiti?
«Ho sempre cercato di non dimenticare i tanti drammi successivi che hanno colpito il Paese. L’ho fatto attraverso i miei testi, non solo poetici. Ma col mio lavoro di scrittura ho anche cercato di magnificare Haiti, dato che questi drammi non hanno mai oscurato del tutto l’identità nazionale».
Un suo saggio parla di Haiti come «nazione patetica»...
«Sono stati gli uomini, con tutte le loro bassezze, a renderla patetica. Spesso, gli uomini giunti dall’estero. Mi riferisco all’Indipendenza che non venne riconosciuta da Napoleone, al debito che il Paese dovette contrarre per guadagnare il riconoscimento internazionale, a tutti i misfatti che le grandi potenze hanno ordito per reclamare indennità senza fondamento».
È stata anche la natura a rendere questo Paese estremamente invitante...
«È vero, è un Paese magnifico, ma la natura ci ha appena strappato una parte d’anima. La gente, in queste ore, invoca il cielo. Gli haitiani sono un popolo molto religioso. Ma per tanti, ciò che è accaduto non può essere compreso».
In mezzo alle macerie, si può già pensare a un riscatto?
«È la prima parola che dovremo inseguire. Ci vuole un sussulto. Già storicamente, Haiti ha rappresentato molto per i popoli alla ricerca di un riscatto. Anche se questo passato glorioso è stato spesso disprezzato, soprattutto dalle grandi potenze. Quella di Haiti è una storia che resta in gran parte da scoprire e che ancor oggi molti si rifiutano di comprendere. Ma a tanti giovani, adesso, questa storia servirà per il riscatto».
I suoi poemi accompagnano attualmente una mostra fotografica alle porte di Parigi dedicata alla gente di Jacmel, la sua cittadina natia sulla costa meridionale, anch’essa duramente provata in queste ore. Il senso della mostra, adesso, cambia?
«È una mostra che parla del dramma di Haiti. Il suo senso non cambia, ma è stato accentuato a dismisura. Chi ha visitato la mostra in queste ultime ore ha persino creduto talora a un omaggio posteriore alla tragedia«.
In questi casi, la poesia serve ancora a qualcosa?
«Continuo a pensare che la poesia può aiutare persino dopo una catastrofe simile. Pure la poesia può aiutare i giovani a trovare l’energia per rialzare la testa».
Rientrerà?
«Non appena possibile».
Se l’inferno non fa notizia
di Moni Ovadia *
Le proporzioni apocalittiche dell’immane tragedia che ha percosso senza pietà l’isola di Haiti e la sua gente lasciano senza fiato, sgomenti. Una rabbia impotente ci assale di fronte alla terribile ingiustizia di una natura che colpisce con il vertice della sua brutalità l’indifesa sofferenza dei più poveri, dei vinti. Dalle nostre fibre più intime sorge una ribellione all’idea che qualcuno possa avere la tentazione di appellarsi alle ineffabili ragioni del trascendente.
Un terremoto di tale intensità probabilmente travolgerebbe anche le precauzioni antisimiche del più ricco dei Paesi, ma per i poveri che consumano la vita nella tragedia di un esistenza senza dignità e giustizia, la violenza della terra che si scuote come un bufalo impazzito è una violenza doppia perché illumina spietatamente anche la brutalità degli uomini di un potere che impone ai propri simili disperazione, povertà e soggezione. La tragedia provocata dalla natura indifferente alle sofferenze umane provoca un’immediata reazione di solidarietà per le vittime, una solidarietà immediata diffusa, sollecita anche nei più distratti una vocazione ad essere pietosi e generosi. L’identificazione con chi soffre è ineludibile, perché se è vero che la natura matrigna predilige gli ultimi, sa colpire anche i primi, non conosce i privilegi di classe.
Ciò che è frustrante davanti a tanto dolore è che non ci sia la stessa identificazione con l’orrore della morte per fame e per sete di milioni di bimbi che si ripete con puntualità inesorabile ogni anno, forse perché quella tragedia non è provocata dal cinismo della natura ma dalla ferocia di uomini che adorano il dio privilegio i quali riescono sempre a farsi assolvere grazie alla patologia percettiva della massa grigia: pietà davanti alla “spettacolarità” del terremoto, indifferenza per lo stillicidio dello sterminio provocato dai potenti.
* l’Unità, 16 gennaio 2010
Haiti, monta la protesta. 36 gli italiani dispersi
Farnesina valuta evacuazione connazionali. Pentagono, buona la situazione della sicurezza *
ROMA - Salgono a 160 gli italiani rintracciati dalla Farnesina nell’isola di Haiti. A questo punto, secondo quanto si apprende, sono 36 gli italiani che mancano all’appello. I connazionali sono stati rintracciati in seguito a contatti diretti o testimonianze autorevoli e verificate. Il numero degli italiani che mancano all’appello può subire variazioni a causa della presenza di residenti "storici" o casi di doppia cittadinanza. Intanto la Farnesina ha individuato un luogo a Port au Prince dove raggruppare gli italiani presenti nell’isola. Lì si valuteranno le condizioni fisiche dei connazionali e anche la possibilità di un’evacuazione degli italiani.
Al momento non risultano italiani tra le vittime del crollo dell’Hotel Montana. Lo hanno riferito all’ANSA i soccorritori spagnoli e francesi che stanno scavando per cercare di recuperare superstiti ancora intrappolati nell’albergo sulle colline di Port-au-Prince. Tenuto conto del clima di grande confusione che regna in queste ore nella capitale haitiana, i soccorritori sottolineano che questo dato non può essere considerato definitivo.
CUBA APRE SPAZIO AEREO A USA Il governo cubano ha accettato di aprire il proprio spazio aereo agli Usa per evacuare dalla base di Guantanamo le vittime del sisma che ha colpito l’isola. Lo annuncia la Casa Bianca.
L’uso dello spazio aereo cubano per l’evacuazione dei feriti e per il passaggio delle scorte mediche consente di abbreviare di molto i tempi di volo per Miami. Il portavoce della Casa Bianca Tommy Vietor ha detto che un accordo è stato raggiunto per consentire voli dalla base americana di Guantanamo a Cuba attraverso lo spazio aereo cubano verso la Florida, una rotta che abbrevia il tempo di volo di circa 90 minuti. Alcune vittime del terremoto, già evacuate a Guantanamo, devono essere trasportate in Florida per ulteriori cure. Vietor ha detto che non è ancora chiaro quanti voli saranno interessati dal nuovo protocollo. Esistono già accordi tra Stati Uniti e Cuba che permettono l’uso dello spazio aereo in caso di emergenze mediche, ma il comandante della base americana di Guantanamo ha chiesto alle autorità cubane di allargare questa possibilità per la vicenda di Haiti. Il governo cubano si è detto d’accordo, ha riferito una fonte dell’amministrazione Usa, e i voli da Guantanamo a Miami cominceranno non appena gli aerei saranno messi in grado di trasportare i pazienti.
TERZA NOTTE IN STRADA, RABBIA TRA POPOLAZIONE - Quarto giorno dell’anno zero ad Haiti, come scrivono quei pochi che oramai riescono ad accedere ad internet sull’isola, e terza notte passata all’aperto per migliaia di sopravvissuti, mentre cresce la rabbia per il ritardo nei soccorsi e la carenza di coordinamento da parte delle autorità locali. Identificata anche la prima vittima italiana, Gigiola Martino, 70 anni, nata a Port-au-Prince "conosciutissima nella comunità francese ed haitiana: era una delle ultime italiane di Haiti. Un italiana vera che continuava a parlare la lingua di Dante", ha scritto il quotidiano online "La Gente d’Italia".
Nella capitale, dai cumuli di macerie si levano ancora lamenti, voci e rumori. Un filo di speranza che arriva anche dall’Hotel Christopher di Port-au-Prince, lo stesso dove si teme siano rimasti intrappolati due italiani: una equipe di soccorso filippina (l’albergo era sede della missione Onu Minustah, circa 200 gli uomini di Manila schierati) ha riferito di aver udito lamenti e rumori provenire da sotto le macerie dell’edificio distrutto. "Manca tutto, acqua, cibo, carburante", scrivono su Twitter i vari Carel Pedre, Troy e Tara Livesay, Frederic Dupoux. I twit da Haiti sono ripresi ieri nella tarda serata italiana: i protagonisti temono che la carenza di carburante possa spegnere la finestra telematica che hanno aperto con il mondo.
"I distributori sono tutti chiusi", scrive Darryltkps. E sale la rabbia tra la popolazione: esasperati per i ritardi negli aiuti, gruppi di superstiti hanno eretto a Port-au-Prince blocchi stradali utilizzando anche i cadaveri delle vittime del sisma, come riferito da Shaul Schwartz, un fotografo del settimanale americano Time. Il mantenimento dell’ordine pubblico è indispensabile per coordinare la macchina degli aiuti, sottolineano i soccorritori, per i quali le prossime 24-48 ore sono decisive per impedire una catastrofe umanitaria legata alle epidemie. L’Italia potrebbe concorrere agli aiuti anche con una nave militare, ha detto il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, che presenterà oggi la proposta al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
Un magazzino del Programma alimentare mondiale (Pam) ad Haiti è stato saccheggiato. Lo riferisce un portavoce dell’organizzazione.
Il coordinamento degli aiuti è stato anche al centro dell’incontro tra il presidente haitiano Renee Preval ed il suo collega dominicano, Leonel Fernandez. Intanto, l’ex presidente di Haiti, Jean Bertrand Aristide, che vive in esilio in Sudafrica, si è detto pronto a tornare nel suo paese per "portare aiuto alla ricostruzione" dopo il devastante terremoto. Un annuncio che rischia di creare ulteriore instabilità in un Paese che non c’é più.
* Ansa, 15 gennaio, 17:26
Haiti, monta la protesta. Morti in fosse comuni
Migliaia di corpi nelle fosse comuni *
ROMA - Quarto giorno dell’anno zero ad Haiti, come scrivono quei pochi che oramai riescono ad accedere ad internet sull’isola, e terza notte passata all’aperto per migliaia di sopravvissuti, mentre cresce la rabbia per il ritardo nei soccorsi e la carenza di coordinamento da parte delle autorità locali. Identificata anche la prima vittima italiana, Gigiola Martino, 70 anni, nata a Port-au-Prince "conosciutissima nella comunità francese ed haitiana: era una delle ultime italiane di Haiti. Un italiana vera che continuava a parlare la lingua di Dante", ha scritto il quotidiano online "La Gente d’Italia".
Nella capitale, dai cumuli di macerie si levano ancora lamenti, voci e rumori. Un filo di speranza che arriva anche dall’Hotel Christopher di Port-au-Prince, lo stesso dove si teme siano rimasti intrappolati due italiani: una equipe di soccorso filippina (l’albergo era sede della missione Onu Minustah, circa 200 gli uomini di Manila schierati) ha riferito di aver udito lamenti e rumori provenire da sotto le macerie dell’edificio distrutto. "Manca tutto, acqua, cibo, carburante", scrivono su Twitter i vari Carel Pedre, Troy e Tara Livesay, Frederic Dupoux. I twit da Haiti sono ripresi ieri nella tarda serata italiana: i protagonisti temono che la carenza di carburante possa spegnere la finestra telematica che hanno aperto con il mondo.
"I distributori sono tutti chiusi", scrive Darryltkps. E sale la rabbia tra la popolazione: esasperati per i ritardi negli aiuti, gruppi di superstiti hanno eretto a Port-au-Prince blocchi stradali utilizzando anche i cadaveri delle vittime del sisma, come riferito da Shaul Schwartz, un fotografo del settimanale americano Time. Il mantenimento dell’ordine pubblico è indispensabile per coordinare la macchina degli aiuti, sottolineano i soccorritori, per i quali le prossime 24-48 ore sono decisive per impedire una catastrofe umanitaria legata alle epidemie. L’Italia potrebbe concorrere agli aiuti anche con una nave militare, ha detto il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, che presenterà oggi la proposta al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
Il coordinamento degli aiuti è stato anche al centro dell’incontro tra il presidente haitiano Renee Preval ed il suo collega dominicano, Leonel Fernandez. Intanto, l’ex presidente di Haiti, Jean Bertrand Aristide, che vive in esilio in Sudafrica, si è detto pronto a tornare nel suo paese per "portare aiuto alla ricostruzione" dopo il devastante terremoto. Un annuncio che rischia di creare ulteriore instabilità in un Paese che non c’é più.
ANSIA PER GLI ITALIANI NON CONTATTATI - La Farnesina invita chiunque sia a conoscenza di amici o parenti italiani che si trovano ad Haiti a contattare l’Unita’ di crisi al numero 06-36225 per accelerare la ricerca dei nostri connazionali.
* Ansa, 15 gennaio 2010, 10:58
Haiti, migliaia di morti
Il mondo si mobilita
Paura per gli italiani, rintracciati 60 su 190 *
ROMA - Paura per i circa 200 italiani presenti ad Haiti dopo il devastante terremoto che ha sconvolto l’isola e provocato un’ecatombe di morti. Dopo le prime, drammatiche ore, la Farnesina ha fatto sapere che sta verificando la notizia di almeno un italiano tra le vittime. Ma in una situazione che rimane ancora estremamente confusa per la mancanza di comunicazioni e le stime che parlano di mezzo milione di morti, il bilancio potrebbe aggravarsi anche per la comunità italiana: dei circa 190 connazionali registrati presso le sedi consolari, l’Unità di Crisi del ministero - che sta lavorando in queste ore a ritmi frenetici - è riuscita infatti a contattarne per il momento solo 60.
E nella capitale haitiana si diffondono voci - non confermate - sul possibile coinvolgimento di stranieri nel crollo di un grande albergo nel centro della capitale. L’Italia intanto - in attesa di indicazioni a livello europeo che dovrebbero scaturire da una riunione tecnica di coordinamento tra i 27 - ha cominciato a mobilitarsi per inviare aiuti alla popolazione di uno dei Paesi più poveri e martoriati dei Caraibi. Su disposizioni del ministro degli Esteri Franco Frattini, la Farnesina - tramite la Cooperazione allo Sviluppo - ha stanziato un milione di euro a favore delle agenzie internazionali che operano sul terreno: 500 mila euro al Programma Alimentare Mondiale per andare incontro ai bisogni alimentari d’urgenza, ed altri 500 mila nel quadro del programma d’emergenza che la Federazione Internazionale delle Croci Rosse e delle Mezze Lune Rosse sta predisponendo per l’assistenza sanitaria.
In serata, da Ciampino, è partito anche un Falcon dell’Aeronautica militare per Port-au-Prince con a bordo un advanced team che avrà il compito di verificare le condizioni logistiche e di sicurezza per il successivo invio degli aiuti umanitari da parte della Cooperazione allo Sviluppo. Del team multiforze fanno parte funzionari della Farnesina, delle forze armate, della Guardia di Finanza, della Ptotezione civile e della Croce Rossa. Nel corso della notte, invece, verrà caricato su un C130 un ospedale da campo nel quale opereranno venti volontari del Gruppo di chirurgia d’urgenza (Gcu) di Pisa, unità specializzata in interventi di protezione civile che ha già alle spalle diverse missioni in Italia e all’estero, l’ultima delle quali nello Sri Lanka per lo tsunami. Ad Haiti, peraltro, dove mancano sedi diplomatiche italiane, si sta recando anche un funzionario dell’ambasciata a Santo Domingo - competente per territorio - per aiutare il coordinamento delle operazioni.
"L’Italia non lesinerà gli sforzi per stare concretamente vicina al popolo di Haiti", aveva d’altra parte assicurato in nottata Frattini raggiunto dalla notizia del disastro in Africa, dove si trova da lunedì per una lunga missione nel continente. Il titolare della Farnesina in queste ore è comunque in stretto contatto con l’Unità di crisi del ministero, e nel corso della giornata ha accolto con favore la decisione di un coordinamento europeo sugli aiuti: "La solidarietà italiana è sempre stata in prima linea in tutte le occasioni. Il valore aggiunto in questa situazione è che c’é l’Europa". Il ministro, a proposito degli aiuti, ha spiegato che si tratta di un intervento di "primissima necessità" e che si valuteranno successivamente altri interventi. "Preoccupazione e sgomento" per il disastro sono stati espressi anche dal presidente della Camera Gianfranco Fini, che ha fatto sapere di essere in costante contatto con la Farnesina per essere aggiornato sulla situazione dei connazionali presenti sull’isola caraibica. Aiuti, intanto, sono stati stanziati anche dai vescovi italiani: due milioni di euro, dai fondi dell’8 per mille, per far fronte alle prime emergenze.
TERREMOTO APOCALISSE, CENTINAIA MIGLIAIA MORTI di Marco Galdi
ROMA - Port-au-Prince non esiste più. L’apocalisse si è abbattuta su Haiti e sulla capitale del paese più povero dell’intero continente americano. I morti fatti dal terremoto che si è scatenato a partire dal tramonto di ieri si conteranno, forse, a centinaia di migliaia. Potrebbe essere la peggior tragedia della storia, superare persino i 230.000 dello tsunami di Santo Stefano 2004. Qualcosa con cui il mondo intero dovrà fare i conti: lo ha detto per primo il presidente Barack Obama, che ha chiesto al Pentagono di mobilitare tutte le forze disponibili per portare aiuto. Una guerra per salvare vite.
L’orrore di Port-au-Prince è negli occhi dei bambini rimasti vivi, nei silenzi di chi si trascina senza braccia, nelle urla di chi è rimasto cieco. I cadaveri li ammucchiano nelle aule delle scuole, o li porta via il mare, o restano sotto le macerie di quella che fu la terra della filibusta e che oggi non è più nulla. Il palazzo presidenziale, il Parlamento, la Cattedrale, il quartier generale delle Nazioni Unite, gli albergacci che qui sembravano di lusso, l’ufficio delle imposte, l’ambasciata di Francia, ma anche la prigione, le scuole, gli ospedali e le sconfinate bidonville: tutto è crollato sotto un bombardamento di scosse. Per gli oltre due milioni di abitanti della capitale di Haiti, la differenza tra la vita e la morte l’ha fatta solo il caso. Con un paradosso: i più poveri hanno avuto la fortuna di avere solo lamiere e cartoni a piovere sulle loro teste. Ancora nessuno sa quale sarà il vero ordine di grandezza del bilancio finale.
L’Onu stima che un terzo dei 9 milioni di abitanti di Haiti sia stato colpito. Ed il primo ministro Jean Max Bellerive ha parlato di oltre centomila cadaveri. Tra i morti si contano già l’arcivescovo Serge Miot e la brasiliana Zilda Arns, fondatrice della Pastorale dei bambini della Chiesa cattolica a San Paolo, decine di Caschi Blu e forse centinaia di dipendenti dell’Onu. Il capo della missione delle Nazioni Unite, il tunisino Hedi Annabi, ufficialmente è tra i dispersi. Ma hanno già inviato il suo sostituto. Si è invece salvato il presidente René Preval, che con la moglie è riuscito a fuggire subito dall’inferno.
E’ tornato a far sentire la sua voce solo oggi, dicendo di temere migliaia di morti. La capitale del paese più povero dell’intero continente americano è stata distrutta dal sisma più violento mai registrato nei Caraibi. Ma dire ’terremoto’ non può rendere l’idea, neppure a chi lo ha già provato sulla sua pelle. Non è stata una scossa la prima, ma un lungo, interminabile, ondeggiare e sobbalzare della terra: 60 secondi di terrore, di edifici che crollavano come tessere di domino, di automobili sbalzate in aria. I sismologi dell’istituto americano di geofisica Usgs hanno classificato la prima botta di maglio, quella scatenata alle 16:53 di ieri dalla rottura della faglia ad appena 15 chilometri da Port-au-Prince, come di magnitudo 7.0 sulla scala Richter. L’energia liberata è stata pari a quella di una bomba H da 32 megaton. Circa 30 volte più potente del terremoto che ha distrutto L’Aquila (5,8 Richter), mille volte più distruttiva dell’atomica sganciata dagli americani su Nagasaki nel 1945 (32 kiloton). Da quel momento, nelle 17 ore successive, un bombardamento di altre 35 scosse: nessuna al di sotto dei 4.5 gradi Richter. Era il tramonto, quando l’equilibrio della Terra si è spezzato. La notte ha coperto la disperazione e dato il via libera agli sciacalli.
Lì dove il reddito medio pro capite è di 1.200 dollari l’anno, i saccheggiatori si sono scatenati senza ritegno. L’immane tragedia ha fatto scattare la catena dei soccorsi. Il Papa ha lanciato un appello "alla generosità di tutti". Obama ha cominciato mandando una portaerei. La Ue nella catastrofe ha trovato la forza di unirsi mettendo insieme "per la prima volta" un coordinamento unico per gestire gli aiuti alla popolazione. Ma mentre un’altra notte sta per cominciare sull’isola da dove Cristoforo Colombo nel 1492 fece cominciare la nuova storia del mondo, tutto perde senso e proporzione. Come nel giorno dell’Apocalisse.
La Farnesina invita dunque chiunque sia a conoscenza di amici o parenti italiani che si trovano ad Haiti a contattare l’Unita’ di crisi al numero 06-36225 per accelerare la ricerca dei nostri connazionali.
ROMA - La terra ha continuato a tremare, nella seconda notte dopo l’apocalisse di Haiti. Ma non c’é più nulla da distruggere a Port-au-Prince, la capitale devastata. Chi è sopravvissuto ai crolli, ora deve cercare di scampare al dopo terremoto, fatto di sciacalli, di criminali evasi dalla prigione crollata, di acqua e cibo che non ci sono più, di linee telefoniche interrotte, di elettricità prodotta solo con i generatori autonomi finché ci sarà benzina da bruciare.
Unico mezzo di comunicazione che resiste, internet. E’ da Twitter e Facebook che arrivano al mondo gli appelli e le testimonianze. Dalle 16:53 del 12 gennaio, quando la faglia sotto l’isola caraibica si è rotta, sono ormai 42 le scosse registrate dall’istituto geofisico americano Usgs. Tutte sono sempre al di sopra di magnitudo 4.5 Richter: niente a confronto con il primo gigantesco colpo di maglio a forza 7.0, ma ogni volta la terra si muove come se fosse scossa da una piccola bomba atomica. La conta dei morti è ancora un’ipotesi, più che un esercizio di statistica. L’ordine di grandezza è quello delle centinaia di migliaia di vittime.
La macchina dei soccorsi si è messa in moto, ma è ancora lontana dall’isola. Si muove veloce, ma il tempo gioca contro i sopravvissuti all’inferno di Port-au-Prince. "Abbiamo bisogno di vaccini contro il tetano, contro le infezioni e le epidemie, così come di acqua potabile e di gente che scavi sotto le macerie per estrarre i feriti", ha l’ambasciatore di Haiti a Tokyo , Jean-Claude Bordes, che ha riferito di non "aver avuto comunicazioni da parte del mio governo. Spero di avere contatti domani". Le poche notizie dirette, ha continuato, "le ho avute da alcuni amici. Ho provato tante volte a chiamare. Ho potuto raggiungere Haiti solo per telefono pochi minuti dopo il disastro: solo urla e lamenti, Non potevo parlare a lungo, ma poi le comunicazioni sono cadute definitivamente". E ha spiegato: "Temo che i morti siano ben oltre la stima di 100.000 di cui ho sentito parlare, se l’epicentro del sisma è a Petion-Ville, popoloso centro a 7-10 chilometri da Port-au-Prince, il bilancio sarà ben più pesante".
Il primo aereo degli aiuti americani promessi dal presidente Obama - che ha chiesto al Pentagono di mettere in campo tutte le risorse disponibili in quella che vorrà essere una ’campagna di guerra’ per salvare vite umane - è arrivato ieri sera. I militari Usa hanno scaricato all’aeroporto, gravemente danneggiato dal sisma, una serie di apparecchiature elettroniche per rendere più sicure le operazioni di atterraggio e decollo dei velivoli carichi di aiuti che arriveranno. Inoltre, le prime squadre di soccorso medico sono giunte a Port-Au-Prince per aiutare le vittime e per evacuare i cittadini americani gravemente feriti. Ed è già in navigazione una portaerei. Nel resto del mondo è scattata la raccolta di fondi. Tra i primi a farsi notare per la generosità, la coppia Jolie-Pitt che ha devoluto un milione di dollari. Ma sono già partiti anche i primi allarmi contro gli sciacalli della beneficenza, quelli che inventeranno truffe su internet per far soldi anche sull’apocalisse di Haiti.
Nella notte "é aumentato di una decina il numero delle persone contattate direttamente o indirettamente" dall’Unità di crisi della Farnesina, facendo "salire a 80 circa" gli italiani rintracciati ad Haiti dopo il terremoto ma mancano all’appello ancora decine di connazionali Lo ha detto il capo dell’Unità di crisi, Fabrizio Romano durante il briefing con la stampa sulla situazione ad Haiti.
La Farnesina invita dunque chiunque sia a conoscenza di amici o parenti italiani che si trovano ad Haiti a contattare l’Unita’ di crisi al numero 06-36225 per accelerare la ricerca dei nostri connazionali.
Il funzionario della Farnesina inviato a Port-au-Prince - ha spiegato Romano - "per prima cosa" andrà all’Hotel Montana, crollato nel terremoto che ha colpito Haiti, "per verificare" l’eventuale presenza di italiani.
Il quadro - ha detto ancora Romano - resta "drammatico, fluido e tutt’altro che chiaro a causa delle comunicazioni disturbate". Nell’isola - ha ricordato - sta per atterrare il volo della Protezione civile con un funzionario dell’Unità di crisi che attiverà un’antenna in modo da avere un contatto diretto con il ministero. Il funzionario opererà in tandem con un collega dell’ambasciata italiana a Santo Domingo, in modo da svolgere "una ricerca più mirata dei nostri connazionali, avvalendosi anche dell’apporto delle autorità locali".
"Restano motivi di preoccupazione, perché il numero dei connazionali presenti è sicuramente maggiore di quelli che noi siamo riusciti a contattare", ha aggiunto Romano, ricordando che "come ha detto il ministro Frattini, non abbiamo notizie negative, ma purtroppo neanche positive". Oltre ai 191 italiani che risultano iscritti all’anagrafe consolare che però "possono aver lasciato il Paese senza segnalarlo", il capo dell’Unità di crisi sottolinea che potrebbero anche esserci "tante altre persone presenti senza averlo comunicato a nessuno sul piano istituzionale".