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SVOLTA IN FRANCIA. DALLA CARITÀ ("CHARITE’") DI PASCAL ALLA CARITA’ DI PAPA RAZTINGER ("DEUS CARITAS EST", 2006), DALLA CHIAREZZA DI CARTESIO ALLA "CONFUSIO-NE" ("COMMUNIO") DI J.-L. MARION ....

IL PRESIDENTE SARKOZY E IL FILOSOFO J.-L. MARION: DALL’ACCOGLIENZA DELLA DIVERSITÀ ALLA DIFESA DELL’IDENTITÀ, ’NAZIONALE’ E ’CATTOLICA’. Sul tema, un articolo di Philippe Bernard ("Le Monde"), di Marcel Neusch ("La Croix") e un’intervista di Isabelle de Gaulmyn a Marion ("La Croix") - a cura di Federico La Sala

Il messaggio subliminale dell’ “identità nazionale” - quello dell’ostilità verso le persone di origine straniera - si ritiene più rassicurante per l’elettore
martedì 26 gennaio 2010
[...] Le incertezze politiche e la crisi economica hanno probabilmente avuto ragione delle convinzioni
del capo dello Stato. Con una disoccupazione galoppante e delle elezioni regionali difficili in
prospettiva, non era più il caso di sostenere un discorso suscettibile di essere percepito come
favorevole alla promozione, anche sul lavoro, di persone provenienti dall’immigrazione.
Il messaggio subliminale dell’ “identità nazionale” - quello dell’ostilità verso le persone di (...)

In risposta a:

> IL PRESIDENTE SARKOZY E IL FILOSOFO J.-L. MARION --- il condiscepolo di Bernard-Henri Lévy preferisce un’azione più discreta, dagli effetti forse più durevoli, trasmessa da riviste o dall’università (di Nicolas Weill - “Penseur de fond”).

venerdì 22 gennaio 2010

“Penseur de fond”

di Nicolas Weill (Le Monde, 22 gennaio 2010 - traduzione: www.finesettimana.org)

Jean-Luc Marion ama ripetere che la vita di un filosofo si riassume in tre verbi: “È nato, ha lavorato, è morto.” Ma questo recentissimo accademico di Francia ha un’esistenza più complessa.

Innanzitutto più nomade, poiché appartiene a quella cerchia molto privilegiata di professori universitari francesi la cui carriera si dispiega su entrambe le rive dell’Atlantico, come fu, prima di lui, per Jacques Derrida, François Furet, Paul Ricoeur - a cui è succeduto all’università di Chicago - o per l’altro Immortale che ritroverà a quai Conti [ndr. sede dell’Institut de France], l’antropologo René Girard. Del resto, la ragione cammina per Marion insieme alla fede, cosicché alla sua traiettoria di professore si affianca un’implicazione nella vita del cattolicesimo.

L’ambiente in cui è nato ha certamente avuto un’influenza in questo senso. Questo bravo studente dal percorso ultraclassico (Scuola normale superiore, aggregato di filosofia, professore alla Sorbona dove occupa la cattedra di metafisica) è riuscito comunque ad uscire dal solco del suo ambiente d’origine: una famiglia della Franca Contea di “cattolici repubblicani” dove le scelte propendevano per il settore scientifico ed ingegneristico piuttosto che per la filosofia.

Ma questo non ne ha fatto una pecora nera, al contrario. Cita con orgoglio suo fratello diventato prete nella loro parrocchia natale di Saint-Martin a Meudon (Hauts-de-Seine). È altamente significativo che sia una delle persone più vicine, dagli anni ’60, al cardinal Jean-Marie Lustiger, di cui giovedì 21 ha pronunciato l’elogio sotto la Coupole. Questa fedeltà ai suoi genitori l’ha inscritta perfino sulla sua spada da accademico, dove ha messo l’anello-portatovagliolo che suo padre, rinchiuso in un campo disciplinare durante la guerra, si era fabbricato come simbolo di un futuro migliore e di una dignità ritrovata.

Ma per quanto profondamente cattolico (“catho” e “tala” vengono chiamati in ambiente normalista quelli che vanno a messa), Jean-Luc Marion è ben lungi dall’essere un uomo austero. Questo innamorato di Antoine Blondin e di Courbet - a cui intende dedicare il suo prossimo saggio
-  ama sedurre e rimescolare le carte, con il suo cravattino a farfalla sapientemente annodato e sciolto, la sua pipa sempre fumante, il suo fisico alla Truffaut. Il gusto che manifesta per lo sport mira ostentatamente a suggerire ai suoi interlocutori che, per quanto erudito, sa appassionarsi per il base-ball e soprattutto per la corsa a piedi, disciplina che ha praticato in maniera intensiva. La paragona volentieri alla vita intellettuale: “Fare un libro, dice, è come correre i 1000 metri, bisogna essere capaci di resistere sulla distanza, di resistere accelerando. La stessa esperienza dell’impossibile, insomma; bisogna battere il proprio record e quindi il proprio limite mentale.”

Autore di una buona ventina di libri, di cui l’ultimo, Certitudes négatives (Grasset, p. 330, € 22), riassume e attualizza il suo pensiero, ama sconcertare maneggiando allegramente i paradossi o mostrando talvolta un sorriso enigmatico. Ha saputo riempire grandi anfiteatri di generazioni di studenti che conservano il ricordo della sua estrema chiarezza e del suo senso della messa in scena dei testi più ardui.

Jean-Luc Marion esce dagli schemi”, dice il suo collega alla Sorbona, Denis Kambouchner - come lui specialista di Descartes -, che apprezza la qualità del personaggio di sentirsi a proprio agio anche al di fuori del proprio universo ideologico. Così Marion, “di sensibilità gaullista”, ha attraversato senza eccessivi turbamenti i momenti culminanti del dopo-Maggio-68, e si ritroverà come un pesce nell’acqua per sette anni in quel bastione del marxismo universitario che fu il dipartimento di filosofia di Nanterre.

Tra le molte figure significative che hanno incrociato il suo percorso, Maurice Clavel (1920-1979), il filosofo “gaullista-gauchista” e cristiano, sorta di prototipo dell’intellettuale mediatico, incarna un modello opposto. Cristiano militante come lui, Clavel incita il giovane Marion a smettere di scrivere delle opere per un pubblico limitata per impegnarsi invece sulla scena pubblica. Ma il condiscepolo di Bernard-Henri Lévy preferisce un’azione più discreta, dagli effetti forse più durevoli, trasmessa da riviste o dall’università, dove esercita la sua incontestabile influenza. Così partecipa all’avventura della rivista Communio dal 1976 (i suoi articoli sono stati recentemente riuniti in Le Croire pour le voir, ed. Communio, p. 224, € 19), una pubblicazione cattolica internazionale di cui Benedetto XVI è stato il responsabile in Germania.

L’altra personalità che caratterizza il suo percorso, mentre è nella classe preparatoria per entrare alla Normale al liceo Condorcet a Parigi, è quella del carismatico professore di filosofia Jean Beaufret (1907-1982). Questo ex resistente è stato il discepolo francese più vicino ad Heidegger. “È finito male”, deplora Jean-Luc Marion, ricordando i rapporti che Beaufret aveva stretto con i negazionisti verso la fine della sua vita. Lui stesso catalogato contro la sua volontà come “heideggeriano” per il ruolo evidente ed esplicito che gioca il pensiero del filosofo tedesco nella sua opera, Marion afferma di essersi molto presto reso conto del problema dell’impegno hitleriano dell’autore di Essere e tempo. “Il più grande filosofo del XX secolo era un nazista!”, dice.

Ecco quindi, secondo il nuovo accademico di Francia, uno degli effetti del “nichilismo moderno”, in cui “il vero non comprende più il bene né il bello come nell’Antichità e fino a Leibnitz”. Aggiunge tuttavia che “non si tratta solo del caso di Heidegger”. “Un gran numero di filosofi del XX secolo hanno mostrato un accecamento abbastanza stupefacente sulla politica, cosicché il caso di Heidegger è solo il più visibile.”

Viene forse da qui la sua reticenza di fronte al modello, che ritiene in crisi, dell’ “intellettuale impegnato” e visibile, fosse anche cattolico? In ogni caso, difende senza complessi le posizioni della Chiesa. Sia protestando senza incertezza nel suo ultimo libro contro l’esclusione degli immigrati irregolari, dei senza fissa dimora, ma anche degli “embrioni reputati (da chi?) non ancora umanizzati o soprannumerari”. O ritenendo che “si fa un processo ingiusto a Pio XII”, il cui silenzio sulla Shoah è controverso, pur ammettendo che non c’era nessuna “urgenza” ad accelerare il processo di beatificazione.

Se sulle qualità del professore regna l’unanimità, le tesi del filosofo sono oggetto di molte discussioni e contestazioni. L’attacco più vivace era venuto, agli inizi degli anni ’90, da Dominique Janicaud (1937-2002), allora professore a Nizza. Riguardava la fenomenologia - il metodo filosofico inventato da Husserl, importato in Francia da Sartre e Merleau-Ponty, e a cui Marion si rifà. Per Janicaud, autore di La Phénoménologie dans tous ses états (Folio, 2009), Jean-Luc Marion era responsabile, con altri come Emmanuel Levinas (di cui pubblica le opere da Grasset) o Michel Henry, di aver impresso una “svolta teologica” a questa disciplina, che consiste nel partire dalle cose come si presentano piuttosto che come esse sono. Tutto ciò non turba Jean-Luc Marion. Continuando a fumare la sua pipa, si accontenta di enumerare con calma i temi che solo la sua filosofia si dimostra capace di trattare: l’avvenimento, l’opera d’arte, la carne, ecc. Sempre la strategia della resistenza nella durata.


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