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"DE PRINCIPATIBUS" (N. Machiavelli). COME SPEZZARE LE RENI A UN POPOLO ADDORMENTATO, STRACCIARE LA COSTITUZIONE, E RIFARE UNO STATO?! BASTA UN NOTAIO, UN FUNZIONIARIO DEL MINISTERO DELL’INTERNO E LA REGISTRAZIONE DI UN SIMBOLO DI PARTITO ...

L’ITALIA AD PERSONAM E IL PROF. CORDERO CHE SI LAMENTA. MA E’ ELEMENTARE (1994-2010)!!! "L’ITALIA SONO IO" E IL DIRITTO E’ "UN DIRITTO AD PERSONAM": "FORZA ITALIA"!!! - a cura di Federico La Sala

Nelle classifiche dei paesi evoluti l’Italia naviga male e detiene un primato poco invidiabile, lo stile criminofilo. "Stilus" significa anche procedura (...)
mercoledì 27 gennaio 2010 di Federico La Sala
"PUBBLICITA’ PROGRESSO": L’ITALIA E LA FORZA DI UN MARCHIO REGISTRATO!!!
ABUSO ISTITUZIONALE DEL NOME "ITALIA" DA PARTE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO: DIMISSIONI SUBITO.
"APRITE, APRITE": IL GOLPISMO DEL LUPO, LA PAROLA "ITALIA" CONSEGNATA A UN PARTITO (1994-2009), E I SETTE CAPRETTI.
LA CRISI ITALIANA, LA STELLA POLARE, E GIORGIO NAPOLITANO. L’IMPARZIALITA’ DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA E’ BEN AL DI SOPRA DELLA PRESENZA MINACCIOSA DEL PARTITO CHE LO HA ESPROPRIATO DELLA STESSA (...)

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> L’ITALIA AD PERSONAM E IL PROF. CORDERO CHE SI LAMENTA. MA E’ ELEMENTARE ... "FORZA ITALIA"!!! --- LA PARTITA FINALE (di Franco Cordero).

venerdì 17 gennaio 2014

La partita finale

di Franco Cordero (la Repubblica, 17.01.2014)

L’analisi retrospettiva aiuta a capire cos’avvenga. Torniamo alla primavera 2008, quando S.B. rimette piede a Palazzo Chigi, forte d’una strepitosa vittoria elettorale: ha due Camere ubbidienti; l’avversario gli rende ossequio; finti neutrali cantano mirabilia. Niente sembra impedire la conversione della Repubblica italiana in signoria (Casa d’Arcore) ma i fasti nascondono due grossi tarli.

Primo: pendono pericolosi giudizi penali, relitto d’una pirateria esercitata a mansalva e niente esclude che emerga altro.

Secondo: formidabile nel combinarsi affari in spregio alle norme, l’uomo non sa da che parte cominci l’arte del governo; in lingua d’Esopo o Fedro, è come affidare la gestione del pollaio alla volpe; dottrina e prassi berlusconiane implicano corruzione, falso, frode, parassitismo, fisco evaso, giustizia truccata, e tale marasma devasta l’economia. Francis Drake predava l’oro spagnolo dei galeoni, mentre costui dissangua l’Italia a beneficio suo e dei furbi (vedi P2, P3, P5 e simili compagnie).

Dalla Corte dei conti sappiamo cosa succhi allo Stato l’attuale regime vampiresco, almeno 60 miliardi annui: continuando finiamo in bancarotta; qualunque ragioniere calcola tempi e misura del rendiconto. Oscura le prospettive una crisi planetaria. Lui la nega raccontando quanto siano ricchi gl’italiani: viaggiano in aereo; frequentano i ristoranti; hanno appartamenti il cui valore sale a vista d’occhio; «le mie aziende vanno a gonfie vele».

Due punti gravemente vulnerabili. Padrone delle Camere, vuol diventare immune dalla giurisdizione penale, riuscendovi. Peccato che fosse legge invalida. Se la fa riacconciare, sicuro dell’esito perché vi mette mano un presidente della Repubblica insistente nel chiedere «larghe intese»: parlando chiaro, definiamole «concerto subalterno degli oppositori»; è al potere un plutocrate stregone dei media, in terrificante conflitto d’interessi. Tutt’e due cadono dalle nuvole quando l’antipatica Corte ribadisce il verdetto.

Nel terzo tentativo chiede qualcosa in meno: che le udienze slittino ogniqualvolta dichiara d’essere impedito da affari governativi; e siccome anche qui emergono aspetti d’invalidità, operai volenterosi s’accingono alla quarta fatica. Nella parte in cui vale, la norma ad personam gli viene comoda. La sua strategia è elementare: implacabile perditempo, finché scadendo i termini della prescrizione (se li era accorciati), svaniscano i delitti; cadono le braccia davanti a simili spettacoli.

Assorbito dagli affari penali e privati interessi, figura poco alla ribalta d’haute politique. Perdeva i colpi, ritrovando l’aureola sotto Natale 2009, quando un matto gli scaglia nei denti il Duomo milanese in miniatura: i soliti pulpiti maledicono chi inquina le teste; don Luigi Verzè, imprenditore decotto, rievoca la salita al Calvario; tra i morbidi oppositori qualcuno sta compunto, quasi ammettendo colpe collettive. Poi espelle dal partito l’antagonista interno, possibile leader d’una destra pulita (aprile 2010), ed è l’ultimo exploit, applaudito dal Corriere della Sera. L’anno dopo l’Italia cammina gobba: ha la crisi nelle ossa; e lui perde importanti elezioni amministrative, persino a Milano; ma forte dei numeri in parlamento, sarebbe inamovibile se non lo rovesciassero le borse. Distavamo due dita dal disastro.

Sabato 12 novembre 2011 esce ingloriosamente. L’augusto stratega, però, gli salva un futuro tenendo artificialmente vive le Camere. Nei 15 mesi del governo cosiddetto tecnico, la cui formula clinica era «salasso senza riguardo ai socialmente deboli», l’Olonese defenestrato ripiglia in mano i fili, sfiorando la vittoria, col relativo premio garantito dal Porcellum (se l’erano grugnito nell’anno 2006, affinché l’avversario, presumibile vincitore, trovasse un paese ingovernabile).

Tale l’Italia 2013: tre schieramenti hanno basi elettorali quasi pari; e dal Quirinale incombe quel malaugurato disegno d’alchimia governativa, ovviamente ben visto dal redivivo; al Pd l’acquiescenza costa i 2.045.190 voti persi in 5 anni ed era già sconfitto allora. Stride il monito con cui l’imperioso demiurgo chiede tregua a favore del fuggiasco dalle aule giudiziarie: Deo gratias, commentano spettatori inquieti; tra poco compie i sette anni e sloggia dal Colle; ma tra le quinte complotta un partito delle «larghe intese». Sapiunt Dalemam le mosse che tra sabato 20 aprile e domenica reinsediano l’uscente, evento senza precedenti.

Appena reincoronato, installa un governo bicefalo: una testa appartiene al nipote del plenipotenziario berlusconiano in mille missioni; l’altra sta sul collo d’Angelino Alfano, prediletto da Re Lanterna, sebbene gli manchi «un quid»; alla giustizia va la signora ex prefetto, ministro degl’Interni nel governo tecnico, protetta dal Colle, e questa scelta ha dei sottintesi. Giochi fatti, se Dike patisse i venti. Ha del miracoloso che a Milano Tribunale e Corte d’appello conducano in porto i dibattimenti su una frode fiscale americana: caso lampante; e nelle due sedi Re Lanterna incassa la condanna a 4 anni. La difesa ostruzionista aveva speso ogni espediente. S’era anche chiuso al San Raffaele lamentando noie agli occhi.

In Cassazione la causa sarà chiamata al 30 luglio. Tutta da vedere la pantomima d’un evangelico ministro berlusconiano: presumibilmente ignaro delle questioni (non erano affare suo: gestisce trasporti e infrastrutture): torce viso e mani, parla a fiotti, ruota gli occhi, spiegando convulso come non sia pensabile una decisione negativa sul ricorso; sarebbe attentato alla democrazia. La discussione avviene in due giorni. Opinanti à la page prevedono l’annullamento con rinvio, motivato da qualche piccolo difetto, nel qual caso il processo torna a Milano e Kronos lo inghiotte. L’avverbio latino è utinam: “Dio voglia”; salviamo la “stabilità”, valore supremo. Il dispositivo li lascia esanimi: è res iudicata la condanna a 4 anni; e in questo scenario vedremo come equazioni giuridiche incidano nella storia d’Italia. Forse siamo alla rumorosa partita finale.


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