“Nessuno vi può escludere dalla chiesa”.
La visita di mons. Bettazzi ai
gay credenti di milano
di Adista - Notizie, n. 14 del 20 febbraio 2010
Quando all’interno del gruppo di omosessuali credenti di Milano “Il Guado” si era fatta strada l’idea di invitare mons. Luigi Bettazzi a parlare del Concilio Vaticano II qualcuno aveva espresso la perplessità che un incontro del genere potesse mettere in ombra la questione della presenza degli omosessuali nella Chiesa e le difficoltà che molti omosessuali incontrano di fronte a una gerarchia che sembra ormai incapace di accogliere e di comprendere l’esperienza dei gay credenti. Ma alla fine, l’incontro con il vescovo emerito di Ivrea, il 6 febbraio scorso, presso il teatro parrocchiale di S. Maria Bartrade, ha fugato ogni timore.
Testimone privilegiato dell’evento conciliare (una “grazia - queste le sue parole - per cui ancora oggi ringrazio Dio”), un’esperienza vissuta per di più a stretto contatto con un protagonista assoluto di quell’evento, il card. Lercaro (di cui, in quegli anni, era vescovo ausiliare), Bettazzi ha incarnato la novità del Vaticano II dentro la realtà dei gruppi ecclesiali che tentano, con fatica, di mantenere la loro specificità di genere con la propria appartenenza ecclesiale. Nella sua relazione, il vescovo, ha indicato alcuni insegnamenti importanti - che ci vengono da quell’esperienza e che possono essere letti come un paradigma interpretativo dell’attualità - e li ha organizzati partendo da tre delle quattro Costituzioni che il Concilio stesso ha approvato a grandissima maggioranza.
Ha iniziato parlando della Gaudium et Spes, la costituzione con cui la Chiesa sceglieva in maniera solenne di non avere più come unici interlocutori solo i cattolici, bensì tutti gli uomini e tutte le donne “di buona volontà”. Questa scelta ha segnato in maniera definitiva il magistero stesso: non a caso, da allora, non c’è un’enciclica in cui questa scelta di considerare tutti gli uomini degli interlocutori non venga fatta. Chi crede in Cristo sarà salvato!, è il titolo di un libro che lo stesso Bettazzi ha pubblicato qualche anno fa riprendendo un versetto del Vangelo di Giovanni (3,15).
Durante l’incontro lo stesso Bettazzi ha fatto osservare come quello stesso versetto possa essere letto in due modi molti diversi: il primo (“Chi crede in Cristo, sarà salvato”), che mette l’accento sull’adesione di fede a Cristo, vede nell’adesione alla Chiesa l’unica strada per la salvezza; il secondo (“Chi crede, in Cristo sarà salvato”) che mette invece l’accento sulla serietà con cui noi rispondiamo alla nostra vocazione umana, vivendola con la fedeltà di chi “crede”, di chi cioè si assume la responsabilità di tener conto, nelle sue scelte, di quelle che sono le esigenze e i bisogni di quanti condividono la sua umanità.
Letta alla luce di questo messaggio, che mons. Bettazzi ha voluto quindi ricordare con forza, la condizione omosessuale acquista davvero un significato radicalmente nuovo che spazza via anche le polemiche che, in questi ultimi giorni, hanno visto vescovi emeriti come mons. Simone Scatizzi (Pistoia), mons. Giacomo Babini (Grosseto) e mons. Francesco Zerrillo (Lucera) fare affermazioni molto dure nei confronti degli omosessuali, bollando come “aberrante” la loro condizione e prospettandone l’allontamento dalla Chiesa e dai sacramenti. Solo chi si dimentica dell’insegnamento ribadito dal Concilio Vaticano II nella Gaudium et Spes, ha invece affermato Bettazzi, può pensare che l’omosessualità sia in se stessa un motivo che può allontanare le persone dalla Grazia e che si possa, dall’esterno, giudicare lo stato di Grazia di una persona che non nasconde la propria omosessualità, negandole a priori l’accesso ai sacramenti.
Dopo aver analizzato, attraverso la Sacrosactum concilium, l’importanza del recupero della centralità della liturgia nella vita non solo della Chiesa, ma anche dei singoli credenti, per realizzare anche un rapporto diverso tra istituzione ecclesiastica e vissuto degli individui, Bettazzi ha dedicato qualche riflessione alla Dei Verbum, invitando a non considerare la Parola di Dio come qualche cosa di estraneo alle nostre vite, ma nella direzione di un ascolto attento e responsabile del testo biblico per arrivare a quel discernimento richiesto da tutte le situazioni specifiche.
In questo senso, anche la storia di tanti omosessuali credenti si inserisce, come la storia di tutti gli uomini e come la storia di ciascun uomo, in un percorso di cui il Concilio stesso non è stato altro che un capitolo particolarmente significativo e particolarmente importante: la storia di un Dio che si comunica e si racconta all’uomo e che, usando gli strumenti che l’uomo può intendere, chiama l’umanità intera alla salvezza. Una storia in cui nessuno di noi deve più sentirsi come l’utilizzatore finale di un servizio che altri gli confezionano, ma deve sentirsi come il protagonista della storia d’amore con cui Dio stesso, in Gesù Cristo, in modo mirabile l’ha chiamato all’esistenza e, in modo ancora più mirabile, l’ha chiamato alla salvezza.