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ELEZIONI, PARTITI, E LISTE. CHE LE ISTITUZIONI DEL NOSTRO PAESE ABBIANO PERMESSO UN PARTITO CON IL NOME DI "FORZA ITALIA" PRIMA, E CON IL "POPOLO DELLA LIBERTA’" POI, SIGNIFICA CHE E’ PROPRIO ALLA DERIVA!!!

UN IMPEACHMENT, MA PER QUALE PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA?! DI PIETRO, FORSE, HA CONFUSO IL "NAPOLITANO" PRESIDENTE DELLA "REPUBBLICA" DEL PARTITO "FORZA ITALIA" E "POPOLO DELLA LIBERTA’", CON IL NAPOLITANO, PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA, CHE E’ L’UNICO TITOLARE DEL NOME *ITALIA*, E IL SOLO PRESIDENTE DEL POPOLO DELLA LIBERTA’!?! Alcune note sul caso - a cura di Federico La Sala

Per l’Italia e per la Costituzione. Che Giorgio Napolitano, il Presidente della Repubblica Italiana svegli il Presidente del Consiglio dal suo ’gioco’ fraudolento di "Presidente della Repubblica", che grida "Forza Italia" e Forza "Popolo della libertà"!!!
sabato 6 marzo 2010 di Federico La Sala
STORIA D’ITALIA (1994-2010). CON un Partito CAMUFFATO (e tuttavia autorizzato dalle Istituzioni, non una ma due volte!) da PARTITO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, IL CAVALIERE SFERRA L’ATTACCO AL QUIRINALE E ALLA COSTITUZIONE: "FORZA ITALIA"!, FORZA "POPOLO DELLA LIBERTA’"! - "L’ITALIA SONO IO" E IL DIRITTO E’ "UN DIRITTO AD PERSONAM"!!!
O CHE "BEL" NATALE: E CHE "BUON" ANNO !!! IL PRESIDENTE DEL "POPOLO DELLA LIBERTA’" GIA’ PREPARA LO SPETTACOLO "IO SONO NAPOLITANO" E CANTA: "FORZA (...)

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> UN IMPEACHMENT, MA PER QUALE PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA?! ---- IL NUOVO "8 SETTEMBRE" (di Alfredo Reichlin).

sabato 6 marzo 2010

"8 SETTEMBRE" 2009: PAROLA DEL PRESIDENTE BERLUSCONI. L’ITALIA E’ IL MIO PARTITO: "FORZA ITALIA"!!! SILENZIO TOTALE!!!

L’INIZIO DEL NUOVO ANNO SCOLASTICO E L’ITALIA DELL’8 SETTEMBRE 2009. La "guerra mentale" del "nuovo partito mediale di massa" continua!!!


Il nuovo 8 settembre

di Alfredo Reichlin

La grottesca vicenda delle liste elettorali è la spia del tramonto di un’era politica. Ma che cosa si lascia dietro questa sorta di cesarismo e di populismo? Dopo anni di confusione tra pubblico e privato e di disprezzo per la certezza e l’uguaglianza della legge è la «casa comune», lo Stato, che si sta sgretolando e rischia di caderci addosso. Io credo che si tratta della crisi più grave di questo paese dopo l’8 settembre. Adesso tutti lo dicono e quelli che più strillano sono proprio quelli che hanno partecipato, arricchendosi, a questo banchetto del bene pubblico, oppure l’hanno coperto e giustificato con l’eterno cinico argomento che «i politici sono tutti uguali». Invece non sono tutti uguali, anzi c’è perfino qualcuno che non si limita a esprimere il suo schifo ma si chiede che cosa a questo punto bisognerebbe fare.

Mi scuso, ma essendo tra questi, parto non da loro (il mondo della corruzione) ma da noi. Fino a che punto noi siamo consapevoli che l’Italia è arrivata a un appuntamento con la sua storia? Sì, nel senso che l’armatura materiale e culturale, etica addirittura, del paese, ridotta com’è al degrado e quindi all’impotenza sembra non più in grado di fronteggiare la sfida più grande: quella del mondo. La domanda è molto semplice. Come ci collochiamo rispetto a un cambiamento così radicale della geo-politica e della geo-economia? Come si ridefinisce l’identità e il ruolo di questo Stato, come sappiamo, si è formato e poi sviluppato in un contesto storico del tutto diverso, nell’epoca della potenza soverchiante della vecchia Europa, a quel tempo «officina del mondo»? E, quindi, cosa fa e cosa pensa la sinistra? È alla luce di interrogativi come questi che il Pd dovrebbe a mio parere ridefinire il suo profilo ideale e la sua presenza nella società italiana a un livello più alto. Più a destra, più a sinistra? È un vano quesito. Si tratta di fissare l’asticella dell’alternativa a livello di quello che è il problema cruciale di oggi: difendere il futuro degli italiani (o dobbiamo mandare i nostri figli a vivere e studiare all’estero?); il nostro contare nel mondo. Stiamo attenti perché il tempo non lavora per noi.

È così? Se le cose stanno così, affrontare il problema della crisi dell’unità nazionale diventa la stessa ragion d’essere del Pd, ciò che ridefinisce la sua presenza e il suo ruolo storico. Cioè quella ragion d’essere che non consiste affatto come si continua a dire nella scelta tra non si sa quale neo-partito socialdemocratico che minaccerebbe la «presenza cattolica» o non si sa quale partito del presidente. Chiacchiere politologiche sulla base delle quali non formerà mai il collante di un partito nuovo, né si rendono credibili le sue politiche. Noi possiamo cantare l’inno di Mameli quante volte vogliamo ma se restiamo ai margini dei nuovi processi mondiali la «Padania» e il «Regno del Sud» non troveranno più le ragioni del loro stare insieme. Perché non parliamo al Paese con questa chiarezza?

La semplice verità è che non siamo di fronte solo a un problema di modello economico, ma alla necessità di mettere in campo una nuova cultura politica perché solo forti identità potranno affrontare con successo la fase sempre più aspra di competizione che si è aperta. Questo è il problema della sinistra, non quello di storcere il naso di fronte alle forze che cercano di rompere il blocco di potere berlusconiano. Ci confronteremo. L’importante è che sia chiara in noi un’idea forte dell’Italia. Quale Italia dunque? Certamente un paese sempre più integrato in un disegno europeo ma non come un’appendice passiva. Ricordiamoci che il solo terreno possibile di identità della nazione è il suo rapporto con la storia repubblicana, cioè con quella rivoluzione democratica, la sola che abbiamo conosciuta e che può restituire al Paese il senso del suo cammino e quindi un’idea del suo futuro. Altrimenti come usciamo da questa crisi? Con una nuova avventura cesarista? Con un ritorno al neo-guelfismo sotto il protettorato del cardinal Ruini?

Non so se la legislatura arriverà alla fine. So che diventa sempre più attuale una nuova alleanza tra le forze più vitali del lavoro, dell’impresa e dell’intelligenza creatrice disposte a battersi contro il grumo di tentazioni sovversive che attraversano la società italiana. Si è ben visto che in Italia non si difende la democrazia se si indebolisce il regime parlamentare. Se non tornano in campo, quindi, partiti veri, organizzati. Non uffici stampa del capo. E tuttavia partiti nuovi, meno assillati dalla gestione dell’esistente e più sociali, cioè più «culturali». È ciò anche perché meno di prima i soggetti si definiscono in base al reddito e più che mai contano la coscienza di sé, i valori, la consapevolezza che i propri interessi immediati non sono difendibili se non teniamo conto di quella fondamentale osservazioni di Amartya Sen, il quale ci ricorda che è tempo di concepire lo stesso sviluppo economico «come un processo di espansione delle libertà reali godute dagli esseri umani». Non si tratta di sottovalutare l’importanza dei fattori economici in senso stretto, ma di prestare più attenzione alla necessità di «rimuovere tutte quelle situazioni di esclusione, di non libertà, che condizionano la creatività umana e che concernano la miseria come la tirannia, l’ingiustizia come la mancanza di beni pubblici».

Bisogna puntare su un nuovo rapporto tra gli individui e la comunità, e quindi sulla rinascita della società civile, per ricostituire quei legami sociali e quei poteri democratici che la lunga ondata della destra ha distrutto.

* l’Unità, 06 marzo 2010


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