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COME SE AUSCHWITZ NON FOSSE MAI AVVENUTO, PER LA CHIESA DI PAPA RATZINGER. Si continuano a "concedere a Hitler delle vittorie postume" (Emil L. Fackenheim: "Tiqqun. Riparare il mondo")!!!

PAPA RATZINGER, ANNO SACERDOTALE E PEDOFILIA. I PASTORI SI MANGIANO LE PECORE? E’ "UN FENOMENO RIDOTTO"!!! Il ’rassicurante’ bilancio di Monsignor Charles J. Scicluna, il «promotore di giustizia» del Vaticano. Un’intervista di Gianni Cardinale - a cura di Federico La Sala

"I casi di preti accusati di pedofilia vera e propria sono quindi circa trecento in nove anni. Si tratta sempre di troppi casi - per carità! - ma bisogna riconoscere che il fenomeno non è così esteso come si vorrebbe far credere".
martedì 16 marzo 2010 di Federico La Sala
[...] Può essere che in passato, forse anche per un malinteso senso di difesa del buon nome dell’istituzione, alcuni vescovi, nella prassi, siano stati troppo indulgenti verso questi tristissimi fenomeni. Nella prassi dico, perché sul piano dei principi la condanna per questa tipologia di delitti è stata sempre ferma e inequivocabile. Per rimanere al secolo scorso basta ricordare l’ormai celebre istruzione Crimen Sollicitationis del 1922... [...]
SULLA PEDOFILIA, L’ALLARME DELLA RIVISTA (...)

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> PAPA RATZINGER, ANNO SACERDOTALE E PEDOFILIA. ---- Tocca a Papa Bergoglio scoperchiare lo scandalo dei preti pedofili (di Marco Politi)

sabato 19 ottobre 2013

Tocca a Bergoglio scoperchiare lo scandalo dei preti pedofili

di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 19 ottobre 2013)

"Voglio che questa storia serva a qualcuno”. L’improvvisa confessione di Lapo Elkann sugli abusi subiti in un collegio religioso (fuori d’Italia) è un segnale per papa Bergoglio. E non perché l’istituto appartenga allo stesso ordine del papa argentino, l’ufficio stampa dei gesuiti smentisce. Ma per due motivi cruciali. Il primo è che in certe istituzioni chiuse religiose - ma non solo - la repressione e la perversione dei criminali è così forte da non fermarsi nemmeno dinanzi al timore di essere scoperti dalle famiglie “potenti” della vittima. Figurarsi con quanta maggiore prepotenza e delirio di impunità si agisce e si è agito per secoli verso vittime socialmente del tutto indifese.

E l’intervista di Elkann come le innumerevoli testimonianze delle organizzazioni che difendono i “sopravvissuti”, a partire dalla statunitense Snap, sono lì a rammentarci che le ferite si trascinano e si approfondiscono negli anni a venire. Sino a risultare intollerabili e persino mortali. Il secondo elemento di riflessione - che bussa insistentemente alle porte del nuovo papato - è che il lavoro di pulizia, cominciato con Benedetto XVI, è ancora ai primissimi inizi.

Si tratta di rendere giustizia a vittime, la maggior parte delle quali è stata brutalmente silenziata per decenni. Non basta cessare di mettere bastoni tra le ruote della magistratura e della polizia, quando il crimine viene scoperto dalle autorità statali. Non basta nemmeno incoraggiare (parola soventemente ipocrita) le vittime a rivolgersi al giudice. Non è sufficiente.

La Chiesa, per la funzione morale che si attribuisce , deve farsi parte attiva per portare alla luce i crimini che avvengono tra le mura delle sue istituzioni. E deve predisporre persone e strutture che possano assistere prontamente gli abusati, ascoltando le loro denunce e assicurando alla giustizia i colpevoli.

Perché il pontificato di Francesco è chiamato direttamente in causa? Perché una Chiesa, che vuole presentarsi con il volto della “tenerezza” (parola-chiave che ha spinto tante persone anche non credenti a volgersi verso Bergoglio con attenzione e interesse), non può chiudere gli occhi dinanzi al dramma di migliaia di vittime nascoste, sepolte dalla storia degli ultimi decenni, che ancora attendono giustizia.

Almeno la giustizia di essere riconosciute come adolescenti (e oggi uomini e donne traumatizzati) feriti crudelmente due volte: al momento dell’abuso, spesso continuato per anni, e nel lungo arco di tempo in cui gli abusati sono stati negletti. “Nessuno vi ascoltava... (sentivate) che non vi era modo di fuggire dalle vostre sofferenze”, ha scritto Benedetto XVI nella sua lettera di autocritica ai cattolici irlandesi nel marzo 2010.

Al nuovo pontefice tocca dunque riprendere in mano il dossier sia assicurandosi che in tutte le conferenze episcopali vengano attivate strutture operative a cui si possano rivolgere le vittime (in molti Paesi, fra cui l’Italia, ancora non ci sono referenti diocesani né responsabili nazionali per contrastare il fenomeno) sia aprendo inchieste a tutti i livelli per far emergere crimini rimasti nascosti. Cosa deve provare una donna o un uomo violentati nel vedere che il prete di allora guida ancora la sua parrocchia o ha fatto carriera nei ranghi della Chiesa istituzionale?

C’è poi una questione scottante, che investe direttamente il pontefice nella sua veste di supremo responsabile della Curia e dei suoi apparati. Il 21 agosto scorso Francesco ha richiamato (praticamente destituendolo) il nunzio vaticano nella Repubblica Dominicana, mons. Jozef Wesolowski, accusato di ripetuti abusi sessuali nei confronti di ragazzi dei quartieri poveri e malfamati di Santo Domingo, a cui si presentava come “Giuseppe”.

Ora però l’opinione pubblica si chiede dove e come sarà processato il vescovo criminale. Tornare alle pratiche del passato, chiudendo la vicenda nel silenzio, non è possibile. Le vittime esigono giustizia e ne hanno il diritto. E la tolleranza-zero si prova solo con la piena trasparenza.


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