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EBRAISMO E DEMOCRAZIA. PER LA PACE E PER IL DIALOGO, QUELLO VERO, PER "NEGARE A HITLER LA VITTORIA POSTUMA" (Emil L. Fackenheim, "Tiqqun. Riparare il mondo")

ISRAELE E IL NODO ANCORA NON SCIOLTO DI ADOLF EICHMANN. FARE CHIAREZZA: RESTITUIRE L’ONORE A KANT E RICONCILIARSI CON FREUD. Alcune note - di Federico La Sala

A EMIL L. FACKENHEIM. (...) il merito di aver ri-proposto la domanda decisiva: “come fu possibile la hitlerizzazione dell’Imperativo Categorico di Kant? E perché è ancora attuale oggi?”
sabato 2 agosto 2014
[...] La prima volta che Eichmann mostrò di rendersi vagamente conto che il suo caso era un po’ diverso da quello del soldato che esegue ordini criminosi per natura e per intenti, fu durante l’istruttoria, quando improvvisamente dichiarò con gran foga di aver sempre vissuto secondo i principî dell’etica kantiana, e in particolare conformemente a una definizione kantiana del dovere.
L’affermazione era veramente enorme, e anche incomprensibile, poiché l’etica di Kant si fonda soprattutto (...)

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> ISRAELE --- Palestina, la bella vittoria del paziente Abu Mazen (di Moni Ovadia) - Ultima opportunità per dare vita a due Stati sicuri e indipendenti (di Daniel Barenboim)

sabato 1 dicembre 2012

Palestina, la bella vittoria del paziente Abu Mazen

di Moni Ovadia (l’Unità, 1.12.2012)

Giovedì 29 novembre 2012 è stata e rimarrà una data memorabile nel bene (lo speriamo con tutte le nostre forze) o nel male (lo deprechiamo con tutto il cuore). Gli uomini che credono nella pace, nella giustizia e nell’eguaglianza, hanno visto sorgere il primo lucore di un’alba che era attesa da lunghissimo tempo. Il popolo palestinese ha finalmente scorto la luce in fondo al tunnel oscuro in cui era confinato da 45 anni. L’Assemblea dell’Onu, a grandissima maggioranza, ha accolto nel proprio seno come membro osservatore, la Palestina. È solo un inizio ma ha un grandissimo significato. Le piazze della Cisgiordania e di Gaza si sono riempite di folla tripudiante.

L’uomo che ha ottenuto questa luminosa vittoria per il suo popolo, il paziente Abu Mazen, ha ricevuto gli abbracci calorosi di una folla di rappresentanti delle Nazioni Unite. La sua tenacia ha avuto ragione, non si è fatto intimidire e ha incassato con determinazione, tutte le false promesse di trattativa, tutte le azioni miranti a delegittimarlo, non ha ceduto alla frustrazione, non ha aperto le porte alla tentazione della violenza e ce l’ha fatta. Anche Hamas, bon gré mal gré, sarà costretta a riconoscerlo. Le piazze palestinesi festanti, hanno rievocato simbolicamente, le piazze ricolme di ebrei «palestinesi» pervase dalla gioia che ascoltarono la proclamazione dello Stato d’Israele votata a maggioranza dall’ Assemblea delle Nazioni Unite nel 1948. Per la popolazione ebraica di allora, uscita dalla Shoà, fu il coronamento di un sogno. Per i Palestinesi fu l’inizio della Nakhba, la catastrofe, la perdita di terre e case che, nel ’67, dopo la Guerra dei Sei Giorni, avrebbe conosciuto la seconda interminabile fase che perdura ancora oggi.

Ora, questa profonda lacerazione ha visto la possibilità di essere sanata. Grandi assenti a questa giornata di festa: i governanti israeliani e il Presidente degli Usa Barack Obama, incastrati in una miope solidarietà risentita senza orizzonte e senza futuro. Netanyahu e Obama fingono di non sapere che la trattativa è possibile solo fra interlocutori di pari dignità. Nel mio piccolo ho parteggiato con tutte le energie per questa prospettiva, senza risparmiare le critiche più aspre ai governi israeliani della colonizzazione e dell’occupazione e senza il minimo sconto.

Per questa ragione, proprio oggi mi sento di dire che chi si serve di stereotipi antisemiti con la pretesa di esprimere solidarietà ai palestinesi, mente. L’antisemitismo è stata una delle peggiori pestilenze che abbia attraversato l’umanità nel suo cammino, si nutre dell’humus dell’odio e del razzismo, è un pensiero criminoso che colpisce gli ebrei ma che prepara anche la catastrofe per tutti gli uomini che credono nella fratellanza, nella libertà e nella pari dignità di tutti gli esseri umani. Chi cerca di giustificarlo con l’esistenza di Israele, dimentica capziosamente che l’antisemitismo si è manifestato, nella sua forma più virulenta e genocida, quando gli ebrei non avevano terra e neppure aspiravano ad una terra nella forma di nazione moderna.

Lo ripeto, le critiche alle azioni dei governanti israeliani messe in atto contro la popolazione civile palestinese, anche le più dure e provocatorie, sono del tutto lecite e condivisibili quando suffragate da fatti e da prove ma i complottismi modello «Protocolli dei Savi di Sion» in riedizione «antisionista» comprese le identificazioni fra governo, Stato e popolo israeliano non sono altro che la versione antiisraeliana dell’antisemitismo. In Israele non vivono solo truppe militari Droni e gli elicotteri Apache, ma donne, uomini, bambini, vecchi, giovani, madri, figli, fratelli, sorelle come in Palestina pur nella drammatica differenza delle condizioni esistenziali. Ma di tutto hanno bisogno i palestinesi per trovare giustizia, fuorché degli antisemiti dichiarati o camuffati che siano.


Ultima opportunità per dare vita a due Stati sicuri e indipendenti

di Daniel Barenboim (Corriere della Sera, 1.12.2012)

Il 29 novembre è una data storica. Il 29 novembre 1947 le Nazioni Unite, con il «Piano di partizione della Palestina», stabilirono la suddivisione della regione in un territorio per gli ebrei e uno per i palestinesi. Fino a quel giorno eravamo tutti «palestinesi»: musulmani, cristiani ed ebrei.

La ripartizione del 1947 fu accolta con gioia dagli ebrei di tutto il mondo e rifiutata dal mondo arabo, che considerava la Palestina come una terra propria ed esclusiva. Seguì una guerra, cominciata il giorno dopo la dichiarazione d’indipendenza dello Stato d’Israele, il 14 maggio del 1948.

Il 29 novembre 2012, esattamente 65 anni dopo, i palestinesi hanno chiesto e ottenuto a grande maggioranza il riconoscimento dello status di «Stato osservatore» presso le Nazioni Unite. Questi sono semplicemente i fatti. Un’interpretazione potrebbe essere: hanno avuto bisogno di 65 anni per rendersi conto che Israele è divenuta una realtà innegabile e sono dunque pronti ad accettare il principio della ripartizione del territorio palestinese rifiutato nel 1947?

In questo senso diventa chiaro che la decisione presa ieri dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite deve essere un motivo di soddisfazione anche per lo Stato d’Israele. Non voglio dare lezioni di morale o di strategia politica né agli israeliani né ai palestinesi; però desidero ricordare che se questo conflitto non è stato risolto per molti anni, è forse perché né gli uni né gli altri e nemmeno il resto del mondo, ne hanno colto l’essenza profonda.

Il conflitto israelo-palestinese non è un’ostilità politica tra due Stati che si possa risolvere con mezzi diplomatici o militari: un dissidio politico tra due nazioni può riguardare problematiche relative ai confini, al controllo dell’acqua, del petrolio o casi simili. Questo è prima di tutto un conflitto umano tra due popoli che sono profondamente convinti di avere entrambi il diritto di vivere nello stesso piccolo territorio e preferibilmente in maniera esclusiva.

È ora, anche se tardi, di riconoscere il fatto che israeliani e palestinesi hanno la possibilità di vivere o insieme, o uno accanto all’altro, ma non negandosi. La decisione presa ieri da 138 Paesi è forse l’ultima opportunità per dare vita al progetto di due Stati indipendenti, sicuri, ognuno con un proprio territorio continuo e non frammentato. Forse è il destino o la giustizia del tempo che dà oggi ai palestinesi la possibilità di iniziare un processo verso l’indipendenza in maniera identica a quelli che furono gli esordi dello Stato israeliano.

È il momento giusto anche per le riconciliazioni interne, essenziali per risolvere la situazione, a partire da quella tra Hamas e Fatah, riconciliazioni necessarie per avere un’unica posizione e direzione politica.

D’altra parte è un errore pensare, come spesso accade, che sia meglio avere di fronte a sé un nemico diviso; per questo, anche per Israele è meglio che i palestinesi siano politicamente uniti. Sono altresì cosciente che i palestinesi non accetteranno mai una soluzione ideologica al conflitto, perché la loro storia è diversa e dovrebbe essere lo Stato d’Israele a cercare una soluzione pragmatica.

Credo infine che gli ebrei abbiano un diritto storico-religioso di vivere nella regione ma non in forma esclusiva. Dopo la crudeltà europea verso il popolo ebraico nel ventesimo secolo ci sarebbe la necessità di aiutarlo ora con i suoi problemi per il futuro e non solo riconoscendo le responsabilità del passato.

Sono commosso dalla quantità di nazioni che hanno votato a favore della risoluzione; mentre mi rattrista la posizione assunta dal governo israeliano, che mi sembra poco lungimirante nel non cogliere le opportunità che si offrono per un futuro migliore, e degli Stati Uniti, l’unico Paese in grado di far pesare la propria influenza. Mi riempie di felicità che l’Italia, dove trascorro diversi mesi l’anno in qualità di Direttore Musicale del Teatro alla Scala, abbia votato a favore di una speranza per tutti i popoli della regione.


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