«Dal Talmud a Internet: l’ebraismo e il molteplice»
intervista a Haim Baharier
a cura di Guido Caldiron (Liberazione, 3 settembre 2011)
“Ebr@ismo 2.0: dal Talmud a Internet”. La dodicesima edizione della Giornata Europea della Cultura Ebraica, che si svolge domani in 27 paesi europei e 62 località italiane, intende rileggere la storia plurimillenaria dell’ebraismo alla luce dei nuovi strumenti della cultura e della comunicazione. Un invito all’incontro e alla conoscenza che apre le porte di sinagoghe, musei e quartieri ebraici, presentando concerti, mostre e spettacoli teatrali, proponendo percorsi enogastronomici, visite guidate e appuntamenti culturali.
Quest’anno capofila della manifestazione, organizzata dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, sarà Siena (il programma città per città è disponibile sul sito www.ucei.it/giornatadellacultura) dove alle ore 18 si svolgerà la Lectio Magistralis di Haim Baharier, intitolata “Il mondo che viene”. Nato a Parigi da genitori di origine polacca, entrambi passati per Auschwitz, Baharier è stato allievo del filosofo Emmanuel Lévinas e di Léon Askenazi ed è considerato uno dei grandi maestri contemporanei dell’ermeneutica biblica e del pensiero ebraico. Da molti anni vive e lavora a Milano. Per Garzanti ha pubblicato Il tacchino pensante (2006) e La Genesi spiegata da mia figlia (2008).
Dal Talmud a Internet, quale è il senso di questo viaggio nella cultura ebraica?
Ho cercato di dare un nome a questo percorso che vuole essere come un ponte, attingendo alla tradizione: così per accompagnarmi in questo viaggio ho utilizzato un’espressione che in ebraico significa “il mondo che viene”. Su questo concetto i saggi discutono da secoli e secoli e sono emerse due grandi scuole di pensiero: quella che fa capo a Maimonide che ritiene che “il mondo che viene” rimanda a livelli di interiorità che si sono costruiti dentro ciascun essere umano e che, dall’anima, vengono trasmessi per vite future; e quella che fa capo a Nachmanide che definisce come “mondo che viene” quello che fa seguito alla resurrezione dei morti. Gli uomini moderni tendono a sorridere di fronte a simili impostazioni, ma personalmente credo si possa operare una sintesi tra questi due percorsi e immaginare che oggi il punto d’approdo sia definibile nell’idea della “vita perenne della parola”. Il Talmud è la parola, ciò che ci consente di leggere con apertura mentale e riguardo verso l’alterità, una tradizione. Questa lettura diventa tempo, speranza, progetto: io leggo in un certo modo, altri lo faranno a modo loro. Questa è l’idea e il significato del Talmud. E quindi perché non considerare internet come una sorta di secolarizzazione di tutto ciò: la rete fa del resto coesistere e rende possibili tutte le diverse letture nello stesso momento. Perciò l’utilizzo etico e morale di internet riecheggia proprio l’esperienza talmudica e non può che rappresentare per l’identità degli ebrei, ma anche per la terra di Israele, l’orizzonte di una realtà molteplice e di una piena coesistenza tra diversità.
Da dopo la Shoah l’ebraismo viene soprattutto associato alla memoria, immaginare questo ponte verso il futuro rappresenta una sfida in più per la cultura ebraica?
Questo per me è un punto davvero sensibile: sono infatti anni che combatto questa idea della memoria celebrativa. Penso che l’equazione terrificante che è stata imposta che è “memoria, uguale, non si riprodurrà più” sia totalmente inattendibile e non abbiamo dovuto aspettare tanto per vedere che delle “mini-Shoah” accadono in varie parti del mondo malgrado il moltiplicarsi dei musei e delle memorie celebrative. Credo che ci si debba intendere sul significato e il valore della parola memoria nella tradizione ebraica. In particolare la memoria della Shoah dovrebbe essere quella che ci conduce a comprendere come si esce dalla logica dello sterminio e quindi come si può evitare di entrare in questa logica: è questa la memoria.
Nella tradizione ebraica c’è un vero paradigma di questo processo che è la schiavitù d’Egitto che è paragonabile a una Shoah, nel senso che il progetto del Faraone era un vero e proprio etnocidio. E la Torah liquida in poche righe ciò che è successo, lamemoria celebrativa, mentre dedica tutto il suo corpus a spiegare come si esce dall’Egitto, come si esce dalla logica di Auschwitz e come poi questa uscita possa essere teorizzata e trasmessa a tutti i popoli della terra.