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MATEMATICA, TEOLOGIA POLITICA, E ANTROPOLOGIA: CONTIAMO E PENSIAMO ANCORA COME SE FOSSIMO NELLA CAVERNA DI PLATONE. NON SAPPIAMO DISTINGUERE L’UNO DI PLATONE DALL’UNO DI KANT, E L’IMPERATIVO CATEGORICO DI KANT DALL’IMPERATIVO DI HEIDEGGER E DI EICHMANN

CONTARE E PENSARE: MARE, "NUMERO E LOGOS". Un’intervista a Paolo Zellini di Antonio Gnoli - a cura di Federico La Sala

Mito e logos si incontrano nel quarto libro dell’Odissea (...) Faccio notare che siamo già alle soglie del problema filosofico di come l’unità si mantiene nel molteplice. E di questo senso originario è permeata la filosofia pitagorica (...)
venerdì 8 ottobre 2010 di Federico La Sala
[...] «Il mare, nella tradizione greca come pure in quella ebraica, era metafora del disordine, ma anche della sofferenza e della prova. Navigare sui flutti - affermava Porfirio - era un modo per "placare il demone della nascita", allo scopo di raggiungere un approdo finale nella terra promessa. Ma appena fuori dei flutti si incontra il numero. Nell’Odissea Proteo, dio del mare tanto ambiguo quanto veridico, appena fuori dall’acqua passa in rassegna il suo gregge di foche contandole cinque (...)

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> CONTARE E PENSARE: MARE, "NUMERO E LOGOS". ---- L’ALFABETO DELLE IMMAGINI. Una sorta di altro lessico che oggi aiuta la tecnologia (di Paolo Zellini).

mercoledì 13 luglio 2011


-  L’alfabeto delle immagini

-  Dalle rette ai satelliti se Il calcolo usa le figure

-  La geometria si serve di punti e cerchi per svelare il mondo.
-  Una sorta di altro lessico che oggi aiuta la tecnologia
-  Leibniz ricordava come certe sue scoperte fossero dipese dal triangolo di Pascal
-  Senza disegni nella matematica ci manca una percezione "gestaltica"

-  di Paolo Zellini (la Repubblica, 13.07.2011)

Chi sa leggere e scrivere conosce l’alfabeto, l’insieme delle lettere della nostra lingua; il complesso dei segni che, disposti in fila, formano le parole con cui siamo in grado di esprimerci, come pure le espressioni simboliche di cui si avvalgono le scienze, comprese le più astruse formule della matematica. Platone chiamava questi segni "elementi", in greco stoicheia. Lo stesso termine poteva denotare le parti costitutive fondamentali della materia e dei corpi, come anche le proposizioni essenziali su cui si basa una disciplina, per esempio gli Elementi di Euclide. Ma gli elementi, in origine, erano cose allineate nello spazio secondo un certo ordine. Per Omero poteva anche trattarsi di file di armi o di schiere di soldati, e in certe iscrizioni risalenti al IV secolo a.C. il verbo stoicheo si riferisce allo "stare in fila" nel gergo militare.

Per il fatto di essere allineate nello spazio, le lettere dell’alfabeto si paragonavano quindi a tutto ciò che può disporsi in linee e sequenze, come i numeri di una serie, le stelle del firmamento, un corso di pietre o mattoni, i soldati di un esercito, le strutture di atomi o le configurazioni di punti con cui i Pitagorici definivano i numeri. Le lettere potevano pure disporsi in cerchi, secondo i canoni della mnemotecnica, oppure in linee tortuose che si avvolgono e si snodano ritmicamente intorno a un centro, come nei meandri di una spirale. Tra le innumerevoli immagini ispirate alla mitica architettura di Dedalo, tra il XV e il XVIII secolo, è frequente imbattersi in sequenze di lettere disposte lungo le spire di un labirinto.

Questa geometria della parola perfeziona e arricchisce il senso del nostro discorso. Ma di che arricchimento si tratta, e si può azzardare l’ipotesi che accanto all’alfabeto delle lettere esista pure un alfabeto delle immagini? Si può cioè ipotizzare un catalogo di figure, assieme ai criteri per assemblarle, per cogliere idee che le parole non riuscirebbero da sole a esprimere in modo altrettanto efficace? Triangoli, cerchi, spirali e quadrati, onnipresenti anche in natura, procurano suggestioni e rimandi simbolici difficilmente riassumibili in un giro di frasi, e sono spesso serviti a comporre i più articolati e astrusi geroglifici della mente, immagini di un percorso iniziatico, di qualche complessa teoria metafisica o scientifica. Nella tarda antichità Boezio sosteneva che allontanarsi dal bene è come deviare da qualche "figura eccellente".

In età rinascimentale Giordano Bruno si serviva di un vasto repertorio di immagini geometriche per illustrare i cardini della sua prodigiosa metafisica. Molte di quelle immagini, a cui Bruno conferiva la dignità di "figure celesti", parlano spesso da sole; e una volta che si sappia analizzarne il senso si contemplano senza altre parole. Tra il 1714 e il 1716, poco prima di morire, Leibniz ricordava come alla sua scoperta del calcolo infinitesimale avesse contribuito lo studio dei numeri disposti in una speciale figura triangolare, il celebre triangolo di Pascal.

Il potere di spiegazione e di sintesi dell’immagine è bene evidente nella matematica. Le proposizioni della geometria euclidea - è l’esempio più ovvio - non si capirebbero senza un adeguato corredo di figure. Spesso, senza un’immagine, mancherebbe una percepibilità "gestaltica", una visione intuitiva di insieme dei diversi passaggi di un ragionamento o di una dimostrazione.

E l’intuizione sintetica della verità matematica, avvertiva Wittgenstein, è un necessario complemento del rigore logico di quei singoli passaggi, un presupposto per coglierli con un unico sguardo, per poterli eseguire e ripetere ogni volta che occorre. Un’analoga potenza di sintesi hanno oggi tutti i generi di mappe, di grafi, di ideogrammi e le innumerevoli immagini astratte della così detta infografica o della infosfera, per usare il gergo dei media, utili a orientarci rapidamente in un mondo scompigliato e multiforme (vedi l’articolo di Maurizio Ferraris apparso su Repubblica il 14 maggio).

Ma c’è anche un rischio di smarrimento, perché le immagini non solo riproducono, ma pure esaltano e moltiplicano la natura irregolare e proteiforme del nostro universo. Redigerne un lessico attenuerebbe l’impressione di vacuità procurata dall’indiscriminata mutevolezza di forme, dall’incessante passare da una cosa all’altra: uno sperpero di fantasticheria che il pensiero greco, sembrano suggerire le fonti, paragonava all’errare nell’indefinito e nel nulla. Per contrastare quel nulla ci si chiedeva se qualcosa resta immutato nella varietà cangiante delle immagini e nella geometria antica, non soltanto greca, si cercava in particolare di stabilire quando l’area di una figura può uguagliare quella di un’altra. Ma l’uguaglianza non è sempre realizzabile, perché è impossibile, ad esempio, quadrare un cerchio di dato raggio usando solo riga e compasso.

Le tecniche del calcolo derivano anche dallo studio di come varia una figura al variare di un’altra; ad esempio come si dilata un quadrato, se si aumenta di poco il lato, in modo da ottenere un quadrato più grande; una questione che porta a interrogarsi sui movimenti virtuali di crescita e diminuzione di una figura qualsiasi. In questa prospettiva l’immagine è vista come in un processo dinamico, una dilatazione o una contrazione continua oppure per singoli passi staccati.

Non a caso, nel commentare il concetto kantiano di immaginazione, Heidegger metteva in evidenza la struttura tripartita dell’intuizione, in quanto non si intuisce mai solo un "adesso", e il presente si prolunga essenzialmente in un prima e un dopo immediati. Per questo, forse, si studiavano l’ingrandimento e la riduzione in scala di figure geometriche nell’antica matematica greca, indiana e cinese. Un lungo esercizio della nostra ragione, senza il quale non disporremmo oggi della scienza che permette di far volare gli aerei, di elaborare immagini satellitari e di costruire modelli per il funzionamento dei motori di ricerca su rete. Ma all’origine di questa scienza troviamo semplici allineamenti di punti, e un alfabeto di immagini che sembrano essersi configurate da tempo immemorabile, e per ragioni ancora ignote, nel nostro pensiero.

(L’autore ha scritto Numero e logos, uscito da Adelphi)


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