Giulio Tononi Neuroscienziato
RUOLO: È PROFESSORE DI PSICHIATRIA ALL’UNIVERSITÀ DEL WISCONSIN DOVE DIRIGE IL «CENTER FOR SLEEP AND CONSCIOUSNESS» IL SITO: WWW.SLEEPCONSCIOUSNESS. ORG/PEOPLE/GIULIOTONONI.HTML
Intervista
“Con la formula Phi prendo le misure all’Io”
Da una serie di test nasce la “teoria dell’informazione integrata”
“Il prossimo passo è mappare tutte le connessioni cerebrali”
I COLLEGHI AMERICANI «Questa è l’unica ipotesi promettente su cos’è la coscienza»
di Silvio Ferraresi (La Stampa/TuttoScienze, 15.06.2011)
Solo 20 anni fa la coscienza era considerata una materia impalpabile ed effimera, inconcepibile come oggetto della scienza. Giulio Tononi - professore di psichiatria all’Università del Wisconsin a Madison - la pensava diversamente già al liceo. Era convinto che fosse svelabile, come negli Anni 50 era accaduto con la realtà della vita. E prima a Pisa e a New York e poi a La Jolla con Gerald Edelman, e ora a Madison, ha perfezionato la sua «teoria dell’informazione integrata», che Christof Koch - il più stretto collaboratore di Francis Crick - ha definito «l’unica teoria promettente sulla coscienza».
Professore, come nasce la sua teoria?
«Dall’esperimento mentale del fotodiodo - il sensore che si attiva o si disattiva in presenza di luce e di buio -: l’ho concepito quando ancora studiavo medicina».
In che cosa consiste il test?
«Immaginiamo di condividere una stanza buia con il fotodiodo. Sia noi sia lui registriamo l’assenza di luce. La differenza è che noi “vediamo” il buio - ne abbiamo un’esperienza cosciente - mentre quasi certamente il fotodiodo no. Dove sta la differenza tra la sua organizzazione e i circuiti coscienti del cervello, mi sono chiesto? La risposta è la teoria della informazione integrata».
Che cos’è l’informazione integrata?
«Cominciamo definendo l’informazione. Confrontando il fotodiodo e il cervello, sappiamo che il primo può assumere solo due stati, attivo e disattivo. Per noi, invece, ogni esperienza cosciente - per esempio un’ esperienza di puro buio - è quello che è per come si distingue da miliardi di altri stati possibili, i miliardi di immagini diverse che potrebbero presentarsi ai nostri occhi. L’informazione, in questo senso, non è una quantità trasmessa o archiviata, ma una misura di quanto si riduce l’incertezza, quando vediamo una particolare immagine, anziché infinite altre immagini possibili. Inoltre è un’informazione che dipende dal continuo riassestamento dei collegamenti interni».
E’ qui che entra in scena l’integrazione?
«Possiamo spiegarla con l’esempio della fotocamera digitale. Per quanto la fotocamera, a differenza di un fotodiodo, possa avere miliardi di stati diversi - uno per ciascuna immagine possibile - questa manca di integrazione: i suoi elementi, i pixel, sono milioni di piccoli moduli non connessi e pertanto non integrati. La coscienza, invece, è integrata: ogni esperienza cosciente è quello che è come un tutto non riducibile alle sue parti: in un’immagine cosciente non esiste la sinistra senza la destra, la forma senza il colore, e così via. In sintesi, la fotocamera genera molta informazione, ma nessuna integrazione; il fotodiodo pochissima informazione e nessuna integrazione; il nostro cervello cosciente molta informazione e molta integrazione. Negli anni ho cercato di tradurre queste intuizioni sulla coscienza - l’informazione e l’integrazione - in una forma matematica e in una misura che ho definito Phi».
Che cosa indica Phi?
«Il valore è elevato quando un sistema è costituito da elementi che sono sia specializzati, ossia svolgono funzioni diverse, sia integrati, ossia comunicano in modo efficace. I sistemi modulari, invece, hanno una bassa informazione e una bassa integrazione».
Phi può esistere in un sistema artificiale creato dall’ uomo?
«E’ una quantità che, in linea di principio, può associarsi a qualsiasi sistema fisico e non solo al cervello, a condizione di avere una particolare organizzazione interna. Perciò non è fuori luogo concepire entità coscienti, fatte di silicio o di altre sostanze diverse da quelle dei neuroni».
Quanto è compatibile l’architettura del cervello umano con la sua teoria della coscienza?
«Alcuni dati sul cervello sembrano confermarla. Emblematico è il cervelletto, una struttura dell’encefalo che ha miliardi di neuroni e di connessioni e che, tuttavia, non origina la coscienza. La ragione, pensiamo, è che ha una struttura regolare e svariati moduli separati, che lo rendono poco integrato e quindi con un valore di Phi molto basso».
Più il cervello è attivo più siamo coscienti?
«Non necessariamente. Ci sono aree della corteccia molto attive pur in assenza di coscienza. Succede, per esempio, durante le crisi epilettiche, in cui la maggioranza dei neuroni nella corteccia cerebrale è intensamente attiva all’unisono, ma si riduce il repertorio di stati possibili e così l’informazione».
Siamo davvero in grado di capire se una persona è cosciente?
«Come primo passo, con Marcello Massimini, ora all’Università di Milano, e Fabio Ferrarelli, abbiamo dimostrato che durante il sonno senza sogni, in cui perdiamo la coscienza, l’attività cerebrale perde le caratteristiche dell’informazione integrata. Inoltre, pur ricevendo stimoli sensoriali ed essendo i suoi neuroni attivi, la corteccia si scompone in moduli separati (perde quindi integrazione) e riduce anche il repertorio di risposte (perde informazione). E’ un’indicazione che l’impianto della teoria va nella direzione giusta e il primo passo per sapere se il cervello di una persona o un sistema fisico sono coscienti. Attualmente sono in corso, in collaborazione con il “Coma Science Group” dell’Università di Liegi studi su pazienti con gravi lesioni cerebrali, dei quali è difficile stabilire il livello di coscienza».
La sua teoria riesce a spiegare le proprietà qualitative della coscienza, come l’aroma di un vino o il suo colore rosso?
«I filosofi li chiamano “qualia”: nella teoria dell’informazione integrata ogni esperienza cosciente è una forma nello spazio dei “qualia” stessi, uno spazio multidimensionale definito dagli stati del sistema e dalle loro relazioni informazionali. E, poiché le nostre esperienze cambiano da un singolo istante a quello successivo, cambia anche la forma generata in questo spazio, un solido che può assumere infinite configurazioni, ben più complesso di un solido platonico. Se disponessimo di un “qualiscopio”, vedremmo nel cervelletto non cosciente tante piccole strutture informazionali scollegate. Invece, nei circuiti tra la corteccia e il talamo - implicati nella coscienza - vedremmo emergere forme straordinariamente complesse, come una cattedrale, una sorta di Sagrada Familia, la cui struttura si modifica in continuazione».
Per stabilire la qualità e la quantità della coscienza dovremo conoscere come variano le connessioni del cervello?
«Sarà un passaggio inevitabile. Nel 2005, con Olaf Sporns e Rolf Kötter, proponemmo l’idea del connettoma, preconizzando il “Progetto connettoma” finanziato dall’Istituto statunitense della Salute Mentale: un giorno ci permetterà di capire in dettaglio come sono organizzate le connessioni tra aree cerebrali, dato fondamentale per comprendere meglio non solo le basi neurali della coscienza ma anche di disturbi mentali come l’autismo o la schizofrenia».
Secondo lei, com’è nata la coscienza?
«Le strutture complesse possono nascere in due modi: in base a un progetto o per selezione post hoc di strutture formatesi per caso. In futuro i progettisti potremmo essere noi; finora ha lavorato la selezione: darwinianamente».