Un documentato excursus dell’antigiudaismo
Antisemitismo, il socialismo degli imbecilli
È la definizione di Bebel. Un saggio ricostruisce il clima in cui dalla fine dell’Ottocento maturarono i falsi «protocolli», l’affare Dreyfus e, a seguire, il razzismo fascista e nazista
Il socialismo degli imbecilli. Propaganda, falsificazione, persecuzione degli ebrei, Michele Battini pagine 293, euro 12,99 Bollati Boringhieri
Le prime espressioni dell’antisemitismo si avvertono già all’inizio del XIX secolo e devono essere lette nel contesto della rivolta contro l’Illuminismo politico e i diritti di cittadinanza. In questo erudito e documentatissimo libro, Michele Battini ripercorre e, anzi, ricostruisce tutta la tradizione antigiudaica fino all’antisemitismo moderno.
di Nunzio Dell’Erba (l’Unità, 28.12.2010)
L’antisemitismo, come movimento ostile al popolo ebraico, si perde nelle ombre dei secoli, ma si afferma in un’accezione moderna nel complesso ambiente intellettuale dell’Europa postilluminista. Lungo il XIX secolo la Francia produsse una cospicua letteratura antisemita, ma il termine fu coniato nel 1879 dal giornalista tedesco Wilhelm Marr, che lo introdusse per criticare l’eccessiva presenza della borghesia ebraica nel mondo finanziario dell’Impero guglielmino. Ad esso seguì alcuni anni dopo l’espressione «socialismo degli imbecilli», utilizzata per la prima volta al congresso socialdemocratico di Colonia (1893) da August Bebel, che la usò per confutare l’equazione ebraismo uguale a capitalismo.
Un terreno fertile La critica del socialista tedesco ha fornito lo spunto a Michele Battini per pubblicare un documentato volume - Il socialismo degli imbecilli. Propaganda, falsificazione, persecuzione degli ebrei (Bollati Boringhieri, Torino 2010, pp. XXX-293) - dove riesamina la letteratura antiebraica quale si ritrova nel pensiero cattolico conservatore e si sviluppa in alcuni spezzoni del socialismo francese. Negli ultimi lustri del XIX secolo queste voci fecero presa nei settori antidemocratici del movimento socialista, alimentate dai pamphlet di Benoit Malon, Gustave Tridon e Auguste Chirac, il cui antisemitismo s’incrociò con quello del cattolico Edouard Drumont. In una Francia sconvolta dalla crisi economica e dalla critica alla rappresentanza politica, la propaganda antisemita trovò un terreno fertile nell’affare Dreyfus e nella confezione delle false prove contro il capitano ebreo nell’accusa di alto tradimento. Ma si sovrappose alla preistoria francese della fabbricazione dei Protocolli dei savi di Sion, che rappresentano nella storia delle contraffazioni «uno dei falsi più longevi», utilizzati dalla polizia russa per giustificare i pogrom del 1903 con l’esistenza di un presunto complotto ebraico per il dominio del mondo. Nel 1903 I Protocolli apparvero per la prima volta in forma ridotta sul giornale «Znamja» di Pietroburgo tra il 26 agosto e il 7 settembre 1903 e due anni dopo come testo integrale per iniziativa di Sergej Nilus, una figura a mezza strada tra l’intrigante e il mistico. Ma la pista francese, certamente la più attendibile per ricostruire il famigerato testo, presuppone la definizione dell’antisemitismo come «socialismo degli imbecilli», che per l’autore «va molto più in là» della semplice «contraffazione poliziesca», ponendosi come reazione europea al libero mercato, all’emancipazione giuridica degli ebrei e alla loro acquisizione della moderna cittadinanza.
Tuttavia rimane il fatto che i Protocolli siano un plagio del testo Dialogo agli Inferi tra Machiavelli e Montesquieu edito nel 1864 e scritto da Maurice Joly. In questo testo egli deplorò il dispotismo di Napoleone III e la sua mancanza di «senso morale e religioso» per il suo ossessivo ricorso ad «ogni sorta di astuzie, di dissimulazioni e di inganni» per detenere il potere. Il pamphlet dello scrittore francese si caratterizza anche come fonte d’ispirazione per gli autori dei Protocolli, che ripresero il contenuto per mettere in rilievo la dicotomia tra anelito alla libertà e libertinaggio, diseguaglianza sociale e moto di ribellione, promozione del consumismo e blocco dei salari. «La lupa» Alla loro pubblicazione i Protocolli non suscitarono alcun interesse in Italia, anche se idee antisemite circolavano nei primi lustri del Novecento sulle riviste cattoliche, sindacaliste rivoluzionarie e nazionaliste. Emblematico il caso della rivista «La Lupa» fondata nel 1910 da Paolo Orano, a cui l’autore dedica un interessante profilo, attribuendogli l’ingrato merito di avere inaugurato la campagna antiebraica in Italia e di avere preparato il varo delle leggi razziali.
Interlandi e preziosi Più che ad Orano esso deve essere attribuito a Telesio Interlandi e a Giovanni Preziosi, entrambi fascisti della prima ora e promotori di fogli antisemiti come «Il Tevere» e «La Vita Italiana». Dalla prima (1921) alla seconda edizione (1937) dei Protocolli fu Preziosi ad alimentare l’antisemitismo come uno dei veicoli della progressiva «nazificazione dell’ideologia fascista» e d’una situazione in cui la babele dell’odio portò alla legislazione razziale e alla caduta del regime fascista. Un capitolo che, per l’autore, non si è concluso con la catastrofe degli ebrei e la dimostrazione della falsità dei Protocolli, ma si è protratto fino ai nostri giorni per la loro diffusione in alcune zone calde del pianeta.