Le altre radici dell’antisemitismo
di Adriano Prosperi (la Repubblica, 02.10.2010)
Italia, agosto 1944: domanda: «Essere qui capitalista di Palestina?». Risposta: «Gli ebrei stanno lì». Il fascista italiano e il nazista tedesco si intendevano, parlavano una stessa lingua. Che era come tutte le lingue frutto di una storia. Comincia così l’ultimo libro di Michele Battini, Il socialismo degli imbecilli. Propaganda, falsificazione, persecuzione degli ebrei (Bollati Boringhieri, Torino, 2010, euro 18). Un libro importante. Sarebbe un vero peccato se il titolo allusivo depistasse qualcuno dei molti lettori che gli auguriamo. Perché qui si ricostruisce su basi nuove la lunga storia che porta a Auschwitz.
Ci sono due modi per cancellare dalla storia la Shoah: quello di negare semplicemente che sia esistita come fanno i riduzionisti e i negazionisti e quello di chi guarda a lei con riverenza e terrore come a un tumore maligno o a qualcosa di numinoso che eccede la ragione umana. Dunque sulla verità storica grava un’altissima posta in gioco.
Se non si assume la Shoah come qualcosa che appartiene alla nostra storia e che affonda le sue radici nel cuore dell’Europa cristiana ci si condanna a fare a meno della conoscenza storica. Non è certo per caso se nel secondo ’900 la nozione di realtà ha conosciuto tempi difficili con la riduzione della storia a narrazione soggettiva, a romanzo. Da lì è nata la messa in mora della prospettiva storica, per cui il senso del futuro si è annebbiato e si è vissuto il presente come "post-moderno" - un tempo di sopravvissuti, smarriti tra le rovine di quello che fu il mondo moderno. È per questo che ogni tentativo serio di affrontare la genesi dell’antisemitismo razzista non può che passare attraverso l’impresa di ricollocarlo nella storia reale.
Una impresa che è in corso e si è sviluppata in due tempi: nel primo tempo c’è stato il racconto dei superstiti, quel "bisogno di raccontare agli altri", che Primo Levi avvertì come un "impulso immediato e violento". La testimonianza dei superstiti e l’impegno di ricerca di storici come Raul Hilberg, Saul Friedländer e molti altri hanno eretto una tale mole di conoscenze da rendere insostenibile ogni forma di negazionismo e con essa ogni via di fuga privata dal peso del fardello che grava sulla coscienza dell’umanità.
Il secondo tempo è quello dell’indagine sulle radici profonde della Shoah nella storia e nella cultura europea. Un compito che ci sta ancora davanti. E il libro di Michele Battini è un passo decisivo in quella direzione. Qui la ricostruzione dei legami fra la tradizione antigiudaica dell’Europa cristiana e l’antisemitismo moderno si lega a una vigorosa difesa del principio di realtà come fondamento della conoscenza storica.
Quello che nel 1893 August Bebel aveva bollato come "socialismo degli imbecilli" era la maschera assunta dall’antisemitismo come anticapitalismo: un’ideologia che dopo avere alimentato a lungo il contesto intellettuale e politico francese col mito del complotto ebraico-protestante-massonico, trovò accoglienza nella base popolare e proletaria dei partiti socialisti incanalandosi poi nel "socialismo nazionale" hitleriano e nell’ideologia nazionalistica e corporativistica del fascismo. Lungo il percorso il fiume si era ingrossato: vi era confluita la millenaria tradizione dell’antigiudaismo cristiano veicolata da una Chiesa cattolica in guerra contro l’individualismo religioso, morale e economico figlio dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese.
Come ha scoperto Battini, fu Louis de Bonald che riportò in auge la dottrina di Bossuet sull’alleanza necessaria fra trono e altare legandola a uno dei più violenti attacchi contro gli ebrei tra quanti se ne videro nell’Europa della Restaurazione. Nella crisi della società di antico regime l’avvento del mercato e dell’individualismo economico si legò all’emancipazione degli ebrei.
L’incertezza sociale creata dal vorticoso mutamento della società accese un bisogno di radici e di corporazioni protettive. In questo contesto l’antica polemica cristiana contro l’usura poté essere riproposta in versione di attacco all’ebreo come forza devastante della finanza, colpevole della disgregazione sociale e della miseria. Dall’antico odio religioso si passò all’odio razziale: l’antigiudaismo cristiano aveva già in sé tutti gli ingredienti necessari.
Prese corpo così il complotto per l’eliminazione degli ebrei: un complotto vero mascherato e annunziato con la fabbricazione di un complotto falso, quei Protocolli dei Savi anziani di Sion che dovevano segnare le tappe dell’avvicinamento al genocidio. E se il primo terreno di incubazione del mito del complotto giudaico e massonico fu la Francia post-rivoluzionaria, lo ritroviamo poi nei paesi protestanti e in quelli cattolici con l’avanzata dello stato costituzionale e dei governi liberali. In Italia l’attacco "sacrilego" alla Roma papale scatenò i gesuiti della "Civiltà cattolica" contro la "guerra anticristiana" giudaicomassonica.
Questi fili si raccolsero nel socialismo antisemita e nell’anticapitalismo antiebraico che ritroviamo specialmente presenti in Italia e riassunti nel percorso politico e intellettuale di Paolo Orano e in quello di Mussolini. L’alleanza del fascismo con la Chiesa avvenne nel segno della trasformazione del Gesù ebraico in un Cristo romano, mentre la propaganda del regime e della Chiesa creava nel paese quei sentimenti di ostilità e di indifferenza che accolsero le leggi razziali del 1938.
L’esito è noto. E nel riconoscerne le profonde radici culturali e sociali prendiamo atto delle cause che hanno riportato a galla nel nostro tempo e specialmente nel nostro paese tentazioni razziste e antisemite serpeggianti nel linguaggio politico e in quello religioso. Il nemico non ha smesso di vincere - ha scritto Walter Benjamin - e finché vincerà nemmeno i morti saranno al sicuro. È per questo che nel lucido e appassionato "post scriptum" Michele Battini, sulle orme di Carlo Ginzburg, torna a riflettere sul principio di realtà: contro la strategia della disinformazione e della propaganda che ha portato ad Auschwitz, solo una storia che riaffermi nei fatti quel principio può riconciliarci con l’idea di verità e sviluppare una cultura della giustizia.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Un documentato excursus dell’antigiudaismo
Antisemitismo, il socialismo degli imbecilli
È la definizione di Bebel. Un saggio ricostruisce il clima in cui dalla fine dell’Ottocento maturarono i falsi «protocolli», l’affare Dreyfus e, a seguire, il razzismo fascista e nazista
Il socialismo degli imbecilli. Propaganda, falsificazione, persecuzione degli ebrei, Michele Battini pagine 293, euro 12,99 Bollati Boringhieri
Le prime espressioni dell’antisemitismo si avvertono già all’inizio del XIX secolo e devono essere lette nel contesto della rivolta contro l’Illuminismo politico e i diritti di cittadinanza. In questo erudito e documentatissimo libro, Michele Battini ripercorre e, anzi, ricostruisce tutta la tradizione antigiudaica fino all’antisemitismo moderno.
di Nunzio Dell’Erba (l’Unità, 28.12.2010)
L’antisemitismo, come movimento ostile al popolo ebraico, si perde nelle ombre dei secoli, ma si afferma in un’accezione moderna nel complesso ambiente intellettuale dell’Europa postilluminista. Lungo il XIX secolo la Francia produsse una cospicua letteratura antisemita, ma il termine fu coniato nel 1879 dal giornalista tedesco Wilhelm Marr, che lo introdusse per criticare l’eccessiva presenza della borghesia ebraica nel mondo finanziario dell’Impero guglielmino. Ad esso seguì alcuni anni dopo l’espressione «socialismo degli imbecilli», utilizzata per la prima volta al congresso socialdemocratico di Colonia (1893) da August Bebel, che la usò per confutare l’equazione ebraismo uguale a capitalismo.
Un terreno fertile La critica del socialista tedesco ha fornito lo spunto a Michele Battini per pubblicare un documentato volume - Il socialismo degli imbecilli. Propaganda, falsificazione, persecuzione degli ebrei (Bollati Boringhieri, Torino 2010, pp. XXX-293) - dove riesamina la letteratura antiebraica quale si ritrova nel pensiero cattolico conservatore e si sviluppa in alcuni spezzoni del socialismo francese. Negli ultimi lustri del XIX secolo queste voci fecero presa nei settori antidemocratici del movimento socialista, alimentate dai pamphlet di Benoit Malon, Gustave Tridon e Auguste Chirac, il cui antisemitismo s’incrociò con quello del cattolico Edouard Drumont. In una Francia sconvolta dalla crisi economica e dalla critica alla rappresentanza politica, la propaganda antisemita trovò un terreno fertile nell’affare Dreyfus e nella confezione delle false prove contro il capitano ebreo nell’accusa di alto tradimento. Ma si sovrappose alla preistoria francese della fabbricazione dei Protocolli dei savi di Sion, che rappresentano nella storia delle contraffazioni «uno dei falsi più longevi», utilizzati dalla polizia russa per giustificare i pogrom del 1903 con l’esistenza di un presunto complotto ebraico per il dominio del mondo. Nel 1903 I Protocolli apparvero per la prima volta in forma ridotta sul giornale «Znamja» di Pietroburgo tra il 26 agosto e il 7 settembre 1903 e due anni dopo come testo integrale per iniziativa di Sergej Nilus, una figura a mezza strada tra l’intrigante e il mistico. Ma la pista francese, certamente la più attendibile per ricostruire il famigerato testo, presuppone la definizione dell’antisemitismo come «socialismo degli imbecilli», che per l’autore «va molto più in là» della semplice «contraffazione poliziesca», ponendosi come reazione europea al libero mercato, all’emancipazione giuridica degli ebrei e alla loro acquisizione della moderna cittadinanza.
Tuttavia rimane il fatto che i Protocolli siano un plagio del testo Dialogo agli Inferi tra Machiavelli e Montesquieu edito nel 1864 e scritto da Maurice Joly. In questo testo egli deplorò il dispotismo di Napoleone III e la sua mancanza di «senso morale e religioso» per il suo ossessivo ricorso ad «ogni sorta di astuzie, di dissimulazioni e di inganni» per detenere il potere. Il pamphlet dello scrittore francese si caratterizza anche come fonte d’ispirazione per gli autori dei Protocolli, che ripresero il contenuto per mettere in rilievo la dicotomia tra anelito alla libertà e libertinaggio, diseguaglianza sociale e moto di ribellione, promozione del consumismo e blocco dei salari. «La lupa» Alla loro pubblicazione i Protocolli non suscitarono alcun interesse in Italia, anche se idee antisemite circolavano nei primi lustri del Novecento sulle riviste cattoliche, sindacaliste rivoluzionarie e nazionaliste. Emblematico il caso della rivista «La Lupa» fondata nel 1910 da Paolo Orano, a cui l’autore dedica un interessante profilo, attribuendogli l’ingrato merito di avere inaugurato la campagna antiebraica in Italia e di avere preparato il varo delle leggi razziali.
Interlandi e preziosi Più che ad Orano esso deve essere attribuito a Telesio Interlandi e a Giovanni Preziosi, entrambi fascisti della prima ora e promotori di fogli antisemiti come «Il Tevere» e «La Vita Italiana». Dalla prima (1921) alla seconda edizione (1937) dei Protocolli fu Preziosi ad alimentare l’antisemitismo come uno dei veicoli della progressiva «nazificazione dell’ideologia fascista» e d’una situazione in cui la babele dell’odio portò alla legislazione razziale e alla caduta del regime fascista. Un capitolo che, per l’autore, non si è concluso con la catastrofe degli ebrei e la dimostrazione della falsità dei Protocolli, ma si è protratto fino ai nostri giorni per la loro diffusione in alcune zone calde del pianeta.