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ARCHEOLOGIA FILOSOFICA E TEOLOGICA: "IN PRINCIPIO ERA IL LOGOS". ITALIA, NATALE 2010: AL GOVERNO DELLA CHIESA UN PAPA CHE PREDICA CHE GESU’ E’ IL FIGLIO DEL DIO "MAMMONA" ("Deus caritas est") E AL GOVERNO DELL’ **ITALIA** UN PRESIDENTE DI UN PARTITO (che si camuffa da "Presidente della Repubblica"), che canta "Forza Italia" con il suo "Popolo della libertà" (1994-2010).

ITALIA, NATALE 2010 d. C.: ARCHEOLOGIA EVANGELICA E COSTITUZIONALE. Il buon-messaggio di Giovanni e la preghiera insegnata da Gesù ai suoi discepoli. Una nota di Federico La Sala

"Maria, che nella sua solitudine dice sì, è una donna, non quell’idolo di gesso o quel fantasma in cui più tardi una superstizione idolatrica degraderà spesso la sua immagine. Il suo compagno si comporterà come un vero uomo, virile e libero da tutte le prepotenze, convenzioni e insicurezze maschili; anche per questo si attirerà le pacchiane barzellette di tanti cretini" (Claudio Magris).
sabato 25 dicembre 2010 di Federico La Sala
"In quella capanna di Betlemme ci sono un figlio, una madre e un padre. Non c’è, per loro fortuna - è giusto che il figlio di Dio si sia concesso almeno questo privilegio- la consueta torma di suocere, zii, terzi cugini, suoceri di cognate, un clan talora caldamente protettivo ma spesso asfissiante e invadente" (Claudio Magris).

"CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1 Gv., 4.1-8)
"Carissimi, non prestate (...)

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>ARCHEOLOGIA EVANGELICA E COSTITUZIONALE. ---- IL REGNO DI DIO (di Paolo Ricca - Quel regno vicino)

domenica 26 febbraio 2012

Quel regno vicino

di Paolo Ricca

in “Oreundici” del febbraio 2012

Tutta la predicazione di Gesù, secondo i tre vangeli sinottici, riguarda il regno di Dio, o regno dei cieli, come preferiva dire Gesù essendo ebreo. Regno dei cieli non indica uno spazio sopra il firmamento nel quale entrano i pii quando muoiono. Regno dei cieli vuol dire regno di Colui che è nei cieli, Colui che è altro rispetto a tutto ciò che possiamo sperimentare, capire, intuire, sentire, avvertire, conoscere sulla terra.

I cieli rappresentano la faccia invisibile della realtà. Il regno di Dio così inteso non è stato soltanto il centro, ma il tutto della predicazione di Gesù. La novità non è che Gesù parli del regno, perché anche Giovanni Battista aveva lo stesso identico messaggio.

L’attesa del Regno accompagna la comunità ebraica dal momento della crisi della monarchia, con la fine del regno terreno, e diventa tanto più viva quanto meno si vedeva realizzata nell’esperienza quotidiana del popolo ebraico. La novità è l’annuncio della vicinanza. Questo nessuno l’aveva detto. Avevano detto verrà, chissà quando. Neanche Gesù sa quando, ma sa che è vicino. Non solo. Immaginate la rivoluzione spirituale che Gesù chiede al suo popolo nel momento in cui dice non soltanto che questo regno atteso ma indefinibile, improbabile è vicino, se ne sente il rumore come di una persona che si avvicina alla porta per bussare, ma è in mezzo, circola, è dentro. Anche qui vicinanza, presenza, intimità... nello stesso tempo Gesù dice che questo regno è una eredità. Il discorso di Gesù è dialettico, da un lato annuncia presenza, incombenza, immanenza, interiorità, dall’altra dice che è un’eredità, cioè un regalo, è per te, è in mano tua ma non è tuo. Dio non è mai un possesso, è sempre una grazia, qualcosa di gratuito che ti viene offerto ma se tu vuoi mettere le mani sopra allora lo perdi. Guardate che profondità, il possesso come perdita anziché guadagno.

Quali sono i tratti salienti di questo regno annunciato da Gesù? Ne indico cinque.

Il primo tratto caratteristico è l’espressione stessa regno “di Dio” che possiamo legittimamente considerare esclusiva, cioè dicendo di Dio Gesù esclude che sia il regno di Davide, il regno di Israele, la restaurazione della monarchia davidica la quale era la realizzazione di quello che noi chiamiamo oggi l’ideale teocratico, secondo cui il re è l’unto del Signore, il vicario del Signore.

Noi sappiamo quanto l’ideologia teocratica abbia funzionato all’interno della comunità cristiana, se noi pensiamo a papi come Innocenzo III o Bonifacio VIII essi hanno affermato l’ideale teocratico, per cui l’imperatore era sottoposto al potere del vicario di Cristo. La famosa Europa cristiana tanto invocata è tutta dominata dall’ideale teocratico. Ma quando Gesù dice regno di Dio dice no alla teocrazia.

In secondo luogo dicendo regno di Dio esclude che sia il regno di Cesare, l’impero romano. L’imperatore romano si chiamava salvatore, e quanti salvatori abbiamo dovuto subire nella storia del nostro occidente!

Tanti salvatori che non salvavano neanche loro stessi. Abbiamo quella pagina straordinaria del vangelo di Giovanni quando Gesù si trova davanti a Pilato e lo rassicura dicendogli il mio regno non è di questo mondo. Non ti faccio concorrenza, non avere paura. Rispetto al tuo regno ne porto uno diverso, se tu sapessi quale regno porto in mezzo al tuo. Il regno di Dio non corrisponde a nessun regno di nessun Cesare. Di nessun tipo, di nessun colore. Il secondo tratto saliente è questo: il regno di Dio non è di questo mondo, ma in questo mondo, per questo mondo. Non è di questo mondo nel senso che i criteri di giudizio che lo informano, le regole che lo governano, le priorità che in esso valgono non sono le regole, le priorità, i criteri di giudizio che valgono per i regni di questo mondo. La mia corona non è fatta di diamanti ma di spine, non sono seduto su un trono ma inchiodato su una croce: non si era mai visto un re così.

Questo è il re Gesù di Nazaret. Naturalmente Pilato non capisce, non può neanche concepire un regno di questo genere, che è quasi una sfida ai regni di questo mondo, ai potenti della terra come segno efficace che Dio regna altrimenti e diversamente dai re di questo mondo.

Terzo tratto saliente è che questo regno di Dio non ha nulla di religioso, nulla di ecclesiastico. Il teatro del regno, il luogo in cui si svolge e manifesta la sua presenza, è la quotidianità. Il regno è nel quotidiano più ordinario e più profano. Il regno di Dio è laico. Di tutte le parabole del regno non ce n’è una che si svolga in ambito religioso: il regno è paragonabile a una donna che mette il lievito nella farina, a un contadino che esce a seminare, a un mercante in cerca di belle perle, e così via. Che cosa vuol dire? Che lo spazio del regno non è l’ambito religioso, è l’ambito profano. Non è la Chiesa, è il mondo. È nel mondo che si gioca la partita!

Quarto tratto saliente, veramente impressionante, è che il regno di Dio è nascosto, non viene in modo da attirare gli sguardi. Sia nel senso che non è appariscente, non si mette in mostra, non è spettacolo e non fa spettacolo, sia nel senso che non è apparente, come non lo è il lievito nella pasta, il seme nella terra, la perla nella conchiglia. Vuol dire che il regno di Dio non sta sulla superficie delle cose, della storia, sta nel fondo delle cose, nel fondo della storia. Ecco perché Gesù parla del mistero del regno, a voi è dato di conoscere il mistero del regno. Questo carattere nascosto è una sfida alla società dell’immagine, dove ci sei se appari. Se non appari non ci sei. Il regno è tutto il contrario, non è appariscente, non è apparente, non è evidente, è dentro, è nel fondo.

Quinto e ultimo tratto saliente è che questo regno è presente e futuro. Gesù dice il regno è giunto fino a voi, e nello stesso tempo ci ha insegnato a pregare venga il tuo regno. C’è una compresenza di presente e futuro in questo messaggio del regno di Dio. Come si può spiegare? Vi dò due chiavi possibili per aprire questo enigma. Presente e futuro possono significare transizione dal carattere nascosto a quello manifesto del regno. Un’altra chiave è che presenza del regno è presenza di Dio, ma Dio è eterno, non può essere rinchiuso in un presente che è la nostra categoria di presente, un tempo che spezza i confini e si dilata sia nella direzione del passato che del futuro. Il futuro è il modo in cui si manifesta la presenza di Dio. La presenza del regno è gravida di futuro perché Dio porta con sé tutti i tempi nostri.

la città di dio secondo Agostino

Questo messaggio di Gesù viene completamente trasformato da Agostino. Tra Gesù e Agostino c’è Costantino, il cristianesimo da religione perseguitata è diventata l’unica religione autorizzata e questo ne cambia la natura stessa. Qual è la modifica sostanziale che Agostino nella Città di Dio, libro XX, capitolo 9 ha introdotto? È molto semplice: la Chiesa è diventata il regno di Cristo. Agostino ha scritto queste cose quando Roma era ridotta a macerie perché Alarico con il suo esercito dei goti aveva messo a ferro e fuoco la capitale del mondo. Agostino riflette sulla civitas terrena, ora ridotta a un cumulo di macerie, considera quanto sia fragile questa città dell’uomo. Allora per contrasto Agostino parla della città di Dio come della città eterna: due amori edificarono due città. L’amore di sé spinto fino al disprezzo di Dio ha costruito la città terrena, l’amore di Dio spinto fino al disprezzo di sé ha costruito la città celeste, quella trova la gloria in se stessa, questa nel Signore, quella cerca la gloria tra gli uomini, per questa la gloria più grande è Dio nella gloria celeste, la prima nei suoi uomini di potere ama la propria forza, la seconda dice al suo Dio ti amo Signore mia forza

Questa contrapposizione delle due città si materializza, nel pensiero di Agostino, nella contrapposizione tra Chiesa e mondo. Storicamente questa contrapposizione tra civitas dei e civitas terrena, si concretizza nella contrapposizione tra Chiesa e Stato, tra Chiesa e impero. Questa assimilazione è diventata una costante della teologia, in particolare della teologia cattolica, ed è durata fino al Vaticano II. Ha provocato un doppio allontanamento dalla predicazione di Gesù: da un lato il regno è stato respinto in una lontananza infinita, dall’altra la dimensione quotidiana, concreta del regno è stata identificata con l’ambito della Chiesa. Lo stato della Chiesa è durato quasi mille anni e non è ancora superato, l’idea che il regno di Dio si materializzi nella storia della Chiesa è ancora esistente. La Bibbia parla altrimenti della città dell’uomo, secondo l’apostolo Paolo il magistrato (il funzionario della cosa pubblica) è ministro di Dio. La città dell’uomo è l’umanità che si costituisce come comunità nelle varie forme in cui questo è possibile, e realizza qualcosa che corrisponde alla volontà di Dio. L’esistenza dello stato non è semplicemente, nella visione biblica, un contratto tra noi, la comunità umana organizzata politicamente corrisponde a un ordinamento divino. Un sinodo della chiesa evangelica confessante tedesca nel 1954 ha scritto: La scrittura c dice che lo stato, per divina disposizione, nel mondo non ancora redento nel quale anche la chiesa si trova, ha il compito, secondo la misura dell’umano discernimento e delle possibilità umane, ricorrendo se necessario anche alla minaccia e all’uso della forza, di provvedere al diritto e alla pace. Lo stato è disposizione divina per questo scopo. La chiesa con gratitudine e timore verso Dio riconosce il beneficio di questa disposizione divina.

Se pensiamo che la città dell’uomo ha prodotto la dichiarazione universale dei diritti umani, noi intuiamo che c’è qualcosa del regno di Dio. La città dell’uomo è per disposizione divina lo strumento attraverso il quale si affermano il diritto e la pace.

Se è vera la centralità del regno nella predicazione di Gesù e il suo carattere laico, il discorso cristiano in generale, abbracciando tutta la cristianità, soffre di una ipertrofia della chiesa a scapito del regno di Dio.

Se le chiese cominciassero a parlare meno di loro stesse e più del regno di Dio, se obbedissero alla parola cercate prima il regno di Dio, tutto il resto vi sarà dato in abbondanza, se trovassero il coraggio di dire quello che Gesù ha detto, che il regno di Dio è vicino, è alle porte, bussa anche alla porta della tua città, se le chiese trovassero il coraggio di dire che il regno di Dio è laico, e non religioso, che è nascosto e non evidente, che è di Dio e non nostro, cambierebbe profondamente il rapporto tra chiesa e mondo, tra chiesa e stato, tra chiesa e società. la città dell’uomo secondo Gesù Infine, che cos’è questa città dell’uomo? Qual è la sua vocazione? La città dell’uomo esiste per diventare parabola del regno di Dio, qualcosa che assomiglia, che richiama, che è paragonabile al regno di Dio.

Quali sono i contenuti del regno di Dio? Indico cinque contenuti principali di cui la città dell’uomo dovrebbe e potrebbe essere parabola.

Primo: le guarigioni, cioè la cura. Il servizio sanitario nazionale è un pezzo di regno perché servizio sanitario nazionale vuol dire che la tua malattia è anche mia, è un problema comunitario, me ne faccio carico come città dell’uomo. Questa è una cosa straordinaria, meravigliosa, che nell’antichità non esisteva.

Secondo: il rovesciamento delle gerarchie. Molti primi saranno ultimi, molti ultimi saranno primi. Questa è la logica del regno di Dio. Ma allora il regno rovescia il mondo per rifare il vecchio mondo? Mantiene la gerarchia, anche se la capovolge? No, la logica di Gesù è un’altra, si tratta di abolire le gerarchie per principio di uguaglianza, nessuna parola è tanto odiata dai potenti come questa! La città dell’uomo è la città che punta l’attenzione verso un principio di uguaglianza.

Terzo: l’inclusività. Se conoscete l’evangelo avete notato che Gesù include gli esclusi: Le donne, i bambini, i pubblicani. Gesù lavorava in una comunità in cui ci sono i confini, egli sposta i confini sempre più in là. L’inclusività è la regola di Dio, perché Dio è inclusivo. La città dell’uomo include.

Quarto: la liberazione da quelli che il nuovo testamento chiama gli spiriti immondi o impuri. Cosa sono? Sono le catene invisibili. La vera liberazione è spirituale. La liberazione politica, sociale sono sacrosante, ma la vera liberazione è la cacciata degli spiriti immondi, delle catene del male che legano l’anima, lo spirito, la mentalità, la coscienza. Chi libera da quelle catene invisibili? Non bastano le rivoluzioni, ci vuole la parola di Dio. La città dell’uomo è la città della liberazione dagli spiriti immondi, annidati nelle coscienze. Un lavoro immenso, splendido. Ultimo contenuto è il perdono. Quasi non si osa dirlo, perché siamo così lontani dalla giustizia che parlare di perdono rischia di scavalcare la giustizia.

Tuttavia la misura di Dio è il perdono, la compassione, non ti dò quello che meriti, ti dò qualcos’altro che non meriti. Dio non è il notaio che fa il conto della spesa e ti retribuisce come fa il datore di lavoro, Dio è quello che dà al lavoratore dell’ultima ora la stessa paga del lavoratore della prima. Questo è un orizzonte che non possiamo dimenticare quando parliamo del regno di Dio, ma dobbiamo essere prudenti nel senso che questa dimensione fondamentale, costitutiva del regno di Dio, e di una città dell’uomo che voglia esserne parabola, non deve ignorare la dimensione del perdono, deve fare un passo oltre la giustizia.

(elaborazione redazionale non rivista dall’autore a cura di S.P.)


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