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PIANETA TERRA, 2011: DOPO COPERNICO, UNA RIVOLUZIONE GENERALE."VICISTI, GALILAEE"! PER KEPLERO, COME PER KANT, LA VITTORIA DI GALILEO NON è SOLO SCIENTIFICA, MA è ANCHE VITTORIA TEOLOGICA E POLITICA!!!

IL "SIDEREUS NUNCIUS": UNO SHOCK, IERI E (ANCORA) OGGI. L’annuncio stellare (1610) di Galileo Galilei, l’alba di una nuova visione del mondo. Una nota di Sandro Modeo - a c. di Federico La Sala

Frutto di 55 notti trascorse al cannocchiale (strumento rivoluzionario arrivato dall’Olanda), il Nuncius è anzitutto una fitta successione di scoperte fattuali (...)
mercoledì 9 febbraio 2011 di Federico La Sala
[...] tali scoperte - enunciate, per inciso, in un latino insieme esatto e visionario, come se Galileo stesse già modulando l’ineguagliabile italiano del Saggiatore e del Dialogo - sono sconvolgenti per le loro implicazioni concettuali e cognitive, per lo shock che comportano a livello di visione del mondo [...]
GALILEO GALILEI, Sidereus Nuncius - versione in italiano dell’opera.
MATEMATICA E ANTROPOLOGIA, ALTRO CHE MISTERO.GALILEO GALILEI E’ GALILEO GALILEI ... E LA TRASCENDENZA CRISTIANA (...)

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> IL "SIDEREUS NUNCIUS", OGGI. ---- IL CEERVELLO ARTISTICO DI GALILEO.... Galileo era appassionato di pittura e pittore dilettante. Era amico di tutti i maggiori pittori dell’epoca, tra i quali in particolare Ludovico Cigoli (di Lamberto Maffei).

domenica 10 aprile 2011

Il cervello artistico di Galileo Galilei

di Lamberto Maffei (Il Sole-24 Ore, 10 aprile 2011)

Che cosa c’entra Galileo Galilei con le rane? Con lui siamo nel campo dell’astronomia, naturalmente, nel mondo del Sidereus Nuncius. Galileo puntò il suo cannocchiale verso la Luna e vide macchie e ombre che interpretò correttamente come asperità della superficie lunare, e precisamente come monti e crateri, «altissima montium iuga» o «cavitates» che egli stesso rappresenta con bellissimi disegni ad acquarello nella sua opera pubblicata nel 1610. Questi disegni sono molto simili alle fotografie della superficie lunare ottenute recentemente dai satelliti. Galileo distinse correttamente tra irregolarità concave e convesse della superficie della Luna a seconda delle ombre che esse presentavano e della posizione delle zone più chiare e più scure rispetto alla direzione di provenienza della luce del Sole. La sicurezza con la quale Galileo interpretò le ombreggiature di queste immagini come prove dell’evidenza di crateri e montagne appare tanto più sorprendente se si pensa che ai suoi tempi si riteneva che la superficie della Luna fosse perfettamente liscia e levigata.

Altri studiosi contemporanei di Galileo avevano osservato nello stesso tempo e anche nei mesi precedenti la superficie lunare al telescopio e ne avevano fatto, come Galileo, dei disegni, ma con risultati completamente diversi. Tra questi si trovano riportati i disegni dell’astronomo inglese Thomas Harriot che si rifanno alla descrizione aristotelica della superficie lunare. Poniamoci una semplice domanda: come fu possibile che Galileo riuscisse a interpretare correttamente le ombre della Luna come crateri e montagne quando altri studiosi del suo tempo davano interpretazioni ben diverse delle stesse immagini ottenute utilizzando il cannocchiale?

Galileo era appassionato di pittura e pittore dilettante. Era amico di tutti i maggiori pittori dell’epoca, tra i quali in particolare Ludovico Cigoli, con il quale tenne una nutrita corrispondenza e al quale aveva regalato un cannocchiale per osservare la Luna di cui il Cigoli doveva aver fatto un ottimo uso, come si deduce dalla rappresentazione della Madonna in Santa Maria Maggiore a Roma. Il Cigoli aveva rappresentato la Luna ai piedi della Santa Vergine così com’è vista al telescopio «con le divisioni merlate e le sue isolette».

Senza dubbio le osservazioni di Galileo al telescopio furono influenzate dalle sue conoscenze della teoria delle ombre e del chiaroscuro e cioè dal suo cervello. Scriveva in una lettera al Cigoli del 26 giugno 1612: «Conosciamo dunque la profondità, non come oggetto della vista, per sé et assolutamente, ma per accidente rispetto al chiaro et allo scuro».

Il cervello di Galileo, meglio sarebbe dire la sua corteccia cerebrale, che possedeva informazioni ed esperienza di pittura e teoria delle ombre, era riuscita a dare un’interpretazione corretta dell’evento visivo «immagini della Luna al cannocchiale». In un Homo sapiens per eccellenza come Galileo è la corteccia che interpreta e guida la visione; si potrebbe scrivere, a complemento di un lavoro sulla rana e a parziale sua contrapposizione, un lavoro dal titolo provocatorio «Cosa il cervello di Galileo disse al suo occhio».

La corteccia dell’astronomo inglese Harriot, indottrinata da preconcetti filosofici e priva di esperienze e conoscenze nell’interpretazione della terza dimensione e della visione dello spazio, aveva portato a un’interpretazione completamente diversa degli stessi eventi visivi percepiti al cannocchiale da Galileo, a dimostrazione che la percezione visiva, e si potrebbe dire più in generale sensoriale, non è una trasposizione passiva dell’informazione pervenuta al sensore, nel caso trattato, la retina.

Se è facile comprendere - come nel caso della rana - la trasmissione attraverso le vie ottiche del l’informazione visiva dalla periferia al centro, cioè dall’occhio al cervello della rana, più difficile è comprendere il caso inverso del cervello che informa l’occhio cambiandone la funzione. Si potrebbe arguire che in alcuni animali esistono delle fibre cosiddette «centrifughe» che dai centri cerebrali raggiungono le cellule retiniche, ma queste fibre non esistono nei mammiferi superiori e nell’uomo e, anche negli animali dove sono state descritte, la loro funzione non è chiara ed è attribuita a una regolazione quantitativa delle risposte. Vero è che come aveva già detto Plinio nella Naturalis Historia non è con l’occhio che si vede ma con il cervello.

L’asportazione della corteccia visiva produce infatti cecità. Cervelli diversi vedono cose diverse e capiscono cose diverse anche quando il messaggio in arrivo è lo stesso. La cultura fa parte della percezione. Imparare significa modificarsi e cambiare il mondo che ci circonda.

L’occhio della rana trasmette al suo cervello quel che succede nel mondo e si può supporre che non esista o sia ridotta al minimo la parte di interpretazione individuale del messaggio da parte dell’animale. La grande corteccia dei mammiferi invece, e in particolare quella dell’uomo, interpreta e cambia il messaggio proveniente dall’occhio a seconda del contesto e della dinamica dei suoi circuiti neurali in quel determinato momento.


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