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CHE LA DEA "GIUSTIZIA" ("MAAT") SOSTENGA IL POPOLO EGIZIANO NEL SUO CAMMINO ...

L’EGITTO E LA NOSTRA VERGOGNA: ROMA TACE. "L’occasione che perderemo": una nota di Lucio Caracciolo - con aggiornamenti (nel forum), a cura di Federico La Sala

Mentre tutto il mondo si preoccupa del dopo-Mubarak, noi ci dilaniamo sulla "nipote" (...)
venerdì 11 febbraio 2011 di Federico La Sala
[...] Nell’Egitto khedivale l’italiano era lingua franca, usata nell’amministrazione pubblica. Un tipografo di origine livornese, Pietro Michele Meratti, vi fondò nel 1828 il primo servizio di corrieri privati, la Posta Europea, poi assurto a monopolio pubblico. Le diciture delle prime serie di francobolli egiziani erano in italiano. Decine di migliaia di italiani, tra cui molti ebrei, abitavano il Cairo e Alessandria, dove i segni del "liberty alessandrino" sono ancora visibili. La nostra (...)

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> L’EGITTO E LA NOSTRA VERGOGNA: ROMA TACE. --- La «rivoluzione» laica del Maghreb «Unisce imam e vescovi» (di Roberto Monteforte)

giovedì 24 febbraio 2011

La «rivoluzione» laica del Maghreb «Unisce imam e vescovi»

di Roberto Monteforte (l’Unità, 24 febbraio 2011)

«È chi distrugge che ha paura. È ingenuo chi spara. Invece è sapiente e non ingenuo chi ha il coraggio di dialogare. Di scavare in profondità nelle ragioni dell’altro. Troverà tante cose in comune». Non ha dubbi monsignor Vincenzo Paglia, il vescovo di Terni che fa gli onori di casa all’incontro «Agenda di convivenza. Cristiani e musulmani per un futuro insieme» promosso a Roma dalla Comunità di sant’Egidio.

È l’occasione per un confronto ravvicinato tra uomini di fede e studiosi, testimoni diretti della rivoluzione, per tanti imprevedibile, che sta sconvolgendo gli assetti del Nord Africa. «È il momento di una riflessione seria da fare insieme, cristiani e musulmani, a partire da temi concreti come la cittadinanza e l’identità religiosa; il ruolo delle radici spirituali; la cultura del convivere» spiega il professore Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Trastevere, aprendo i lavori ai quali interviene anche il ministro degli Esteri, Frattini.

PARLANO I TESTIMONI

Emerge una certezza: non è sul petrolio, sul gas o sugli interessi che si costruiscono veri rapporti tra Occidente e quel mondo. Avere rapporti solo con le oligarchie ed essere identificati con queste e con i loro regimi corrotti, non aiuta l’Occidente a costruire un rapporto con chi domanda democrazia, in particolare giovani. «Una generazione - osserva il patriarca di Alessandria d’Egitto, cardinale Naguib - che, grazie ai social network, si sono ritrovati in piazza per gridare la loro voglia di valori come giustizia, libertà, pace e uguaglianza».

«Sono giovani che hanno fame e sete di libertà, di diritto, di dignità» osserva l’arcivescovo di Algeri, monsignor Bader. «Noi come vescovi nordafricani - aggiunge - sosteniamo le loro istanze di libertà e di futuro». Quello che preoccupa non è tanto la possibile deriva islamista delle proteste, quanto «la libertà che i futuri governi lasceranno al popolo, nelle Costituzioni che redigeranno, nell’applicazione dei diritti, compreso quello della libertà religiosa». Il pericolo è se alla fine sarà applicata la Sharia.

LAICITÀ E SHARIA

È questo, infatti, uno dei nodi su cui si gioca il futuro di questa variegata «rivoluzione». Per ora in Egitto, si osserva, il movimento è laico. L’elemento religioso è presente, ma come ricchezza dell’identità nazionale di popoli. Non ha dubbi il teologo sunnita Mohammed Esslimani che ha vissuto attimo per attimo i giorni della protesta di «piazza della Liberazione» al Cairo. Ha raccontato di una giovane cristiana che ha disteso in terra il suo prezioso foulard per consentire ad un giovane islamico di poter pregare. O del giovane copto anche lui in piazza malgrado l’appoggio del Papa dei copti Shenuda III al presidente Mubarak. Gesti semplici, ma significativi.

A Tahtawi, già ambasciatore egiziano in Libia e portavoce dell’Università di al Azhar che si è dimesso per unirsi alla protesta di piazza Tahrir per il futuro vede due rischi: un confronto che può farsi duro con i militari e un tentativo di imbrigliare il processo democratico. Sulla Libia e sui destini di Gheddaffi il giudizio è unanime: chi ha ordinato di uccidere il suo popolo inerme, non ha un futuro.


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