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RIPENSARE L’UNO E I MOLTI ("UNO"), L’IDENTITÀ E LA DIFFERENZA!!! CONTIAMO ANCORA COME SE FOSSIMO NELLA CAVERNA DI PLATONE. NON SAPPIAMO DISTINGUERE L’UNO DI PLATONE DALL’UNO DI KANT, E L’IMPERATIVO CATEGORICO DI KANT DALL’IMPERATIVO DI HEIDEGGER E DI EICHMANN ....

MATEMATICA E CIVILTÀ: UNA CRISI EPOCALE. Odifreddi dà alla matematica l’onore di grande motore della civiltà, ma ancora non sa «Che cos’è il numero, che l’uomo lo può capire? E che cos’è l’uomo, che può capire il numero?». La sua recensione di un saggio di Alex Bellos, con alcune note - di Federico La Sala

(...) rispondere a entrambi gli interrogativi, e di mostrare come le storie del numero e dell’uomo siano in realtà intrecciate in maniera inestricabile, e i progressi e regressi dell’uno siano andati di pari passo coi progressi e regressi dell’altro.
venerdì 25 febbraio 2011 di Federico La Sala
[...] stupisce quindi che il libro di Bellos sia in realtà una storia delle civiltà mascherata, osservata e raccontata dai complementari punti di vista del numero, delle cifre e del calcolo: tre aspetti di un’unica realtà, che costituiscono le versioni aritmetiche del pensiero, della scrittura e del linguaggio. Né stupisce che il libro mostri che, come le idee sono legate alla lingua in cui vengono espresse, e le parole sono legate alla scrittura con cui vengono registrate, così le varie (...)

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> MATEMATICA E CIVILTA’: UNA CRISI EPOCALE. ---- ALLA RICERCA DELLA VERA NATURA DELLA MATEMATICA. Gabriele Lolli propone un affascinante viaggio fra problemi e teoremi, affrontati come fiabe o miti (di Federico Peiretti -La matematica è poesia grazie a Calvino). ).

lunedì 28 febbraio 2011

Scienza e fantasia. Una logica rilettura delle «Lezioni americane»

-  La matematica è poesia grazie a Calvino

"Leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità e coerenza: sei parole per definire il mondo dei numeri. Gabriele Lolli propone un affascinante viaggio fra problemi e teoremi, affrontati come fiabe o miti"

di Federico Peiretti (La Stampa/Tuttolibri, 05.01.2011)

Nell’estate del 1985 Calvino stava preparando una serie di lezioni che avrebbe dovuto tenere all’Università di Harvard. Sei lezioni per mettere in evidenza «alcuni valori della letteratura - scriveva Calvino - che mi stanno particolarmente a cuore, cercando di situarle nella prospettiva del nuovo millennio». Scelse per questo sei parole, ognuna delle quali, secondo lui, evidenziava un carattere essenziale della letteratura: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità e coerenza. Stava terminando il suo lavoro, quando improvvisamente morì, il 19 settembre 1985, all’età di 62 anni, e la sesta parola rimase incompiuta.

Le sue Lezioni americane sono la testimonianza di uno dei più grandi scrittori del Novecento sull’essenza del lavoro dello scrittore. Calvino vuole dimostrare che matematica e poesia hanno praticamente la stessa struttura. «L’atteggiamento scientifico e quello poetico coincidono - scrive - entrambi sono atteggiamenti insieme di ricerca e di progettazione, di scoperta e di invenzione».

Gabriele Lolli, docente di Filosofia matematica alla Normale di Pisa, logico eccellente, nel suo nuovo libro, Discorso sulla matematica , parte dalle Lezioni di Calvino per proporre un percorso inverso: dalla letteratura alla matematica. Questo per dimostrare che l’analisi di Calvino, sui fondamenti della letteratura, ben si adatta all’analisi del pensiero matematico. «Le Lezioni sono un racconto filosofico sulla matematica - osserva Lolli - un racconto che, grazie alla raffinatezza di Calvino, trasmette alla matematica tutta la bellezza e il fascino della letteratura».

E Lolli parte proprio dalle sei parole scelte da Calvino: «Vogliamo parlare della matematica - afferma - usando le stesse parole che Calvino ha rivolto alla letteratura». E questo per convincere il lettore che la matematica è poesia. Un lettore non prevenuto naturalmente, che non abbia avuto con la matematica soltanto un rapporto scolastico conflittuale. A facilitare il compito di Lolli c’è sicuramente l’interesse per la scienza e in particolare proprio per la matematica di Calvino, la sua amicizia con Primo Levi e la sua adesione, negli Anni Sessanta, quando si trasferì a Parigi, al gruppo dell’Oulipo, fondato da alcuni scrittori e matematici francesi, che perseguivano l’obiettivo di una scrittura che fosse «immaginazione scientifica, linguaggio logico e struttura matematica». E’ originale e seducente il lavoro di Lolli: «Convivono nella matematica - scrive - il fascino dell’esattezza scientifica e dell’infinita indeterminatezza del mondo dell’anima». Un bel teorema, Lolli ne è convinto, ha lo stesso valore e la stessa attrazione di una pagina di un grande scrittore, con una parte indefinita, aperta verso nuovi mondi, verso nuove dimostrazioni, solo intuite.

Per seguire le sue riflessioni sono sufficienti le conoscenze di uno studente delle superiori. Ma il modo migliore per affrontare la lettura del libro è quello di mettere da parte i nostri ricordi scolastici, per scoprire le meraviglie del mondo matematico lungo i percorsi suggeriti da Lolli. Si prenda, ad esempio, uno dei teoremi che ci propone di analizzare, molto semplice, la dimostrazione dell’uguaglianza degli angoli alla base di un triangolo isoscele. Dimentichiamo la dimostrazione meccanica che si trova sulla maggior parte dei testi scolastici e seguiamo il suo consiglio di «lasciar vagare la fantasia», inventando noi una nostra personale dimostrazione. Forse meno bella di quella di Euclide, ma solo così scopriremo che il procedere del ragionamento scientifico segue le stesse regole del racconto e della poesia: «Nessuno ha il coraggio di dire agli studenti che la matematica è come le fiabe - scrive Lolli - perché non sembrerebbe serio, ma se si vuole entrare nel mondo della matematica bisogna essere consapevoli che ci si deve atteggiare come nei confronti delle fiabe, o dei miti».

Il libro di Lolli presenta una serie straordinaria di spunti e riflessioni, alla ricerca della vera natura della matematica. Alla fine il matematico dovrebbe essere portato a chiedersi che cosa stia facendo, di che cosa si occupi e lo stesso dovrebbe fare l’insegnante di matematica, cercando di capire che cosa stia insegnando e anche lo studente dovrebbe chiedersi che cosa stia studiando. Solo se riusciremo a liberare la nostra fantasia scopriremo che un teorema di Pitagora o di Euclide, di Hilbert o di Gödel sono belli quanto una poesia di Leopardi o un racconto di Calvino. E per questo sarebbe necessario partire dalla scuola, con una rivoluzione didattica copernicana, che metta al centro lo studente e non un programma di formule e calcoletti, sovente inutili. Ma qual è la scuola disposta a liberare la fantasia?


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