PANE AL PANE
L’alluvione delle coscienze
di LORENZO MONDO (La Stampa, 6/11/2011)
Sembra una beffa. Mai come oggi siamo appesi ai bollettini meteorologici per programmare una gita nel fine settimana o anche il minimo scarto da comportamenti abitudinari. Sono avvisi inappuntabili sul nuvolo e sul sereno, forniti da uomini che fin dalla divisa dell’aeronautica mostrano di avere confidenza con i cieli. Ma la loro capacità di previsione ci aiuta a scampare da un acquazzone, non dalla tragedia come quella che si è rovesciata sulle Cinque Terre e su Genova. La verità è che la mutazione "tropicale" del clima produce alluvioni-lampo non incluse in un generico stato di allerta, tali da trasformare in pochi minuti un inoffensivo torrente in uno scarico di distruzione e di morte.
Non si tratta soltanto di malaugurate congiunture, la ripetizione degli eventi rivela che dobbiamo prendere atto di una amara novità. Se devo avvalermi di un termometro letterario, mi ricordo che, a raccontare disastri provocati dalle acque, figurano tra i nomi eminenti soltanto il Riccardo Bacchelli del Mulino del Po e il Giovanni Guareschi di Mondo piccolo. Ma si tratta appunto delle prevedibili intemperanze di un grande fiume. Il dato è abbastanza significativo e conferma a suo modo che ci troviamo di fronte a inedite minacce, scontando decenni di insipienza, di avido sfruttamento di un territorio estremamente fragile.
Il repertorio delle reponsabilità è stucchevole ma proprio questo dimostra la sua impunita recidività. C’è un abusivismo edilizio che, sommandosi alle autorizzazioni di manica larga, divora e sfigura parti sempre più estese del territorio (annettendosi palesi zone a rischio, fino a coprire tratti di un torrente con asfalto e cemento). C’è il mancato dragaggio dei corsi d’acqua, depauperati dello sfogo rappresentato dalle golene. E i boschi, già protettivi contro il dissesto, patiscono l’abbandono, sono lasciati alle scorrerie dei cinghiali. Così, il demone dell’urbanizzazione selvaggia viene castigato da un retroterra dimenticato, da un contesto che si rivela sempre più alieno.
Appaiono emblematiche, nelle immagini tragiche di Genova sommersa, le auto sparpagliate come fiammiferi, come bastoncini di un surreale gioco a Shangai. E adesso? Finora, a sgomentarci, era lo scempio del paesaggio, di un patrimonio mirabile consegnatoci dalla natura e dalle generazionbi passate. Erano, ad avvilirci, l’egoismo e la corruzione che presiedono a tanti misfatti. Ma ora è la terra che ci frana addosso, fango contro fango. Per intraprendere la strada lunga e sofferta di un cambiamento, bisognerebbe recuperare il senso del limite e ripulire, insieme ai luoghi devastati, le coscienze. Trattando con esemplare durezza chi insiste a malfare. Ne saremo capaci?