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In memoria di Sigmund Freud, innammorato dell’Italia - a gloria eterna ...

POLITICA E URBANISTICA. ROMA E I "SETTE COLLI": LO SCEMPIO DEL “TERRITORIO” E LE “CAMERE” SGARRUPATE!!! L’allarme dell’Accademia dei Lincei. A "Lucio Camurzio Punico" e al prof. Giovanni Garbini, un ringraziamento e un omaggio - di Federico La Sala

mercoledì 15 agosto 2018 di Emiliano Morrone
[...] il socio dell’Accademia, il prof. Giovanni Garbini, ordinario di filologia semitica all’Università di Roma “La Sapienza” e autore - tra tante altre opere - di una eccezionale traduzione del Cantico dei cantici (Paideia Editrice, Brescia 1992), che rende e restituisce - contro tutte le menzogne e le disperazioni - il v. 8.6 (“Amore è più forte di Morte”) al suo valore e splendore assoluto [...]
La "Camor-ra" ... e le "Camer-e" sgarrupate!!!
NAPOLI e LA CAMORRA. (...)

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>ROMA E I "SETTE COLLI": LO SCEMPIO DEL “TERRITORIO” E LE “CAMERE” SGARRUPATE!!! -- RIFLESSIONI ATTORNO ALLA NEVICATA (di Giulietto Chiesa) - IL PAESE SCONFITTO (di Giovanni Valentini )-

lunedì 6 febbraio 2012

Riflessioni attorno alla nevicata

di Giulietto Chiesa (Il Fatto Quotidiano on-line, 5 febbraio 2012)

Ho visto, e sperimentato di persona, cosa può produrre una, tutto sommato banale, nevicata, in un tutto sommato ancora (per poco), paese industriale “avanzato”. Al di là dei soliti lai dei mass media, che lasciano il tempo che trovano, mi sono trovato a riflettere, in un treno ad alta velocità fermo in mezzo alla neve, sulla fragilità delle nostre società. Riflessione stimolata da un articolo sul Fatto, di quel giorno, a firma Massimo Fini, che a sua volta rifletteva su un elemento correlato: la perdita progressiva della nostra manualità umana.

Non siamo più capaci di fare niente con le nostre mani. Non siamo più capaci di praticare l’agricoltura. Il pollice è diventato dominante, quanto a trepestare sui tasti del cellulare, ma la mano non riceve più dal cervello ordini sensati che non siano quelli di usare coltello e forchetta.

Ho pensato che le nostre società sono diventate così complesse e costose, che se dovessimo essere costretti, da qualche imprevisto, a rinunciare collettivamente all’energia elettrica per più di tre giorni le nostre società cadrebbero nel panico e i morti si conterebbero non più a decine ma a centinaia di migliaia.

Complesse e costose. Abbiamo scelto l’alta velocità (lasciamo pure perdere la Val di Susa, dove la scelta è talmente insensata che non varrebbe nemmeno più la pena di parlarne se non fosse che il governo ha militarizzato, per farla, trenta comuni) senza nemmeno renderci conto che, più veloci andiamo, più quelle stesse macchine (e tutto il complicatissimo e costoso meccanismo che le fa muovere) diventano fragili come il vetro. Treni e scambi e rotaie, che potrebbero benissimo funzionare in condizioni di velocità tradizionali, diventano improvvisamente inabili a fronteggiare situazioni di emergenza, con il risultato che, invece di andare più veloci, restiamo fermi.

Il tutto di fronte alla prospettiva, serissima, che proprio ciò aumenta la probabilità di accadere nell’arco breve delle nostre vite. La crisi energetica, che facciamo tutti finta di non vedere, è appena dietro l’angolo. Le implicazioni che comporterà - sottolineo: nell’arco della vita nostra e dei nostri figli - saranno gigantesche.

Ma noi continuiamo a andare avanti, come dei dementi senza destino, a costruire complessità, facendo terra bruciata dietro le nostre spalle. Cioè facendo terra bruciata davanti al futuro dei nostri figli. Quando parli di “decrescita” sorgono rabbiose le urla degli sviluppisti a tutti i costi. E il governo dei tecnici, che ci sgoverna come il precedente governo dei puttanieri e dei ladri, ci promette ancora “crescita”.

Prima ancora di dire a Mario Monti che è un bugiardo, perché promette una crescita che non ci sarà, gli darei dell’irresponsabile. Gli direi: caro Monti, lei ci sta minacciando, con la sua crescita. Non la vogliamo la sua crescita. Vorremmo re-imparare a fare crescere i pomodori e le patate, perché sta venendo il tempo in cui non le troveremo più nel negozio sotto casa.


Il paese sconfitto

di Giovanni Valentini (la Repubblica, 05.02.2012)

Non c’era bisogno di un’altra triste metafora, dopo i rifiuti di Napoli, i crolli di Pompei e il naufragio del Giglio, per rappresentare la crisi del nostro Paese sul piano mediatico planetario. Ma la disfatta di Roma, sotto una nevicata di poche ore e di pochi centimetri, è piuttosto un esplicito atto d’accusa contro un apparato pubblico palesemente inadeguato. "Capitale inetta, Nazione sconfitta", si potrebbe dire parafrasando uno storico slogan del settimanale L’Espresso.

Quando il maltempo si combina con il malgoverno, non c’è scampo per i cittadini. Allora la forza della natura s’incarica di mettere a nudo tutta la debolezza dell’uomo: per dire l’incapacità di prevenire e affrontare un’emergenza ambientale già ampiamente annunciata. Per l’occasione, il sindaco Alemanno avrebbe potuto almeno risparmiarsi (e risparmiarci) il consueto scaricabarile con la Protezione civile sulla puntualità delle previsioni meteorologiche: bastava ascoltare nei giorni scorsi un qualsiasi giornale radio o telegiornale, per informarsi e provvedere di conseguenza.

La "Città eterna", dunque, degna Capitale del Malpaese. Centro nevralgico di un intero sistema - ferroviario, aereo, stradale e autostradale - obsoleto e inefficiente. Ma anche simbolo di un cattivo governo del territorio, del suo assetto idro-geologico, del suo contesto ambientale. Non a caso, fin dai tempi del boom economico, Antonio Cederna denunciava il "sacco di Roma" come paradigma di un malcostume nazionale, alimentato dalla speculazione edilizia e dalla cementificazione selvaggia.

Di questa cultura o incultura collettiva, fa parte integrante la mancanza o insufficienza cronica dell’ordinaria manutenzione. Cioè di quei "piccoli lavori" quotidiani che, a differenza delle mitiche "grandi opere", si possono (e si devono) realizzare con minori costi e rischi. È proprio questa, in realtà, la forma di prevenzione più efficace per arginare e contenere l’impatto delle fenomeni o delle calamità naturali.

Basta allora una nevicata, neppure tanto catastrofica, per mettere in ginocchio una Capitale e mandare in tilt mezzo Paese. A parte, poi, le vittime e i danni che un evento del genere riesce in queste condizioni a provocare. Danni materiali, economici e comunque anche d’immagine, se è vero che quella del turismo resta tuttora la prima industria nazionale.

Il fatto è che il nostro appare oggi un Paese a rischio permanente. E a dispetto del suo incomparabile patrimonio storico, artistico e culturale, come della sua antica tradizione di accoglienza e civiltà, non offre un’ospitalità adeguata ai visitatori e ai turisti italiani o stranieri. C’è uno spreco intollerabile di risorse che pure appartengono al patrimonio pubblico e non influiscono quanto potrebbero sul Prodotto interno lordo, né in termini finanziari né tantomeno di occupazione.

Qualsiasi politica di rilancio e di crescita, invece, non può che fondarsi sulla sicurezza ambientale e civile. E questo vale in particolare per il Mezzogiorno, afflitto dal degrado e dall’abusivismo edilizio oltre che dalla criminalità organizzata. Senza sicurezza non c’è turismo e senza turismo per noi non c’è sviluppo.

È tanto paradossale quanto inaccettabile, perciò, che una nevicata spacchi il Paese in due, paralizzando la Capitale, i collegamenti stradali e ferroviari. Che centinaia di passeggeri rimangano bloccati per un giorno intero in stazioni gelate, che intere zone rimangano isolate, che quasi duecentomila famiglie rimangano senza elettricità. Mentre cerchiamo faticosamente di risalire la china della credibilità internazionale e di ridurre finalmente lo spread, per pagare meno interessi sul finanziamento del debito pubblico, nello stesso momento mostriamo al mondo intero il nostro volto peggiore: quello di un popolo arruffone, disorganizzato, inefficiente. Un’Italia occupata in gran parte da catene montuose, le Alpi in tutto l’arco settentrionale e gli Appennini come spina dorsale da nord a sud, ma senza spazzaneve e camion spargi-sale a sufficienza.

A Roma e dintorni, nei prossimi giorni il ghiaccio si scioglierà. La circolazione stradale tornerà più o meno regolare. I treni e gli aerei riprenderanno a viaggiare più male che bene. Ma, prima che arrivi un’altra nevicata, un’altra alluvione o un’altra frana, dovremmo imparare una buona volta la lezione che di tanto in tanto la natura severamente impartisce.


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