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In memoria di Sigmund Freud, innammorato dell’Italia - a gloria eterna ...

POLITICA E URBANISTICA. ROMA E I "SETTE COLLI": LO SCEMPIO DEL “TERRITORIO” E LE “CAMERE” SGARRUPATE!!! L’allarme dell’Accademia dei Lincei. A "Lucio Camurzio Punico" e al prof. Giovanni Garbini, un ringraziamento e un omaggio - di Federico La Sala

mercoledì 15 agosto 2018 di Emiliano Morrone
[...] il socio dell’Accademia, il prof. Giovanni Garbini, ordinario di filologia semitica all’Università di Roma “La Sapienza” e autore - tra tante altre opere - di una eccezionale traduzione del Cantico dei cantici (Paideia Editrice, Brescia 1992), che rende e restituisce - contro tutte le menzogne e le disperazioni - il v. 8.6 (“Amore è più forte di Morte”) al suo valore e splendore assoluto [...]
La "Camor-ra" ... e le "Camer-e" sgarrupate!!!
NAPOLI e LA CAMORRA. (...)

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> POLITICA E URBANISTICA. ---- LA PIAZZA. Dall’agorà greca alla Tahrir del Cairo un luogo emblematico che mette in gioco i rapporti tra spazio e società (di Carlo Olmo -Cittadini si diventa: in piazza) .

lunedì 21 maggio 2012

Cittadini si diventa: in piazza

Dall’agorà greca alla Tahrir del Cairo un luogo emblematico che mette in gioco i rapporti tra spazio e società

di Carlo Olmo (La Stampa, 21.05.2012) *

I fili che si intrecciano quando si ragiona sui possibili legami tra la piazza e le espressioni della cittadinanza sono davvero tanti e molto ingarbugliati. Sono fili complessi e contradditori, non solo perché attraversano geografie e cronologie.

Sin dalle prime tracce scritte che noi abbiamo - la riflessione di Aristotele sulla griglia di Ippodamo da Mileto nella Politica - la piazza costituisce insieme l’eccezione e l’enfasi di un disegno urbano che esprimeva assieme un’egual distribuzione delle opportunità per tutti i cittadini e una forma di controllo sociale attraverso lo spazio. Nel ragionamento che Aristotele costruisce e che ha nella vicenda di Thurii il suo esempio più controverso, la griglia è una proposta costituzionale che prevede una redistribuzione dei profitti derivanti dagli usi del suolo funzionale alla organizzazione delle classi sociali.

L’agorà, in questa prospettiva, diventa un luogo «eccezionale», volutamente lasciato a funzionare ambiguamente come spazio rituale (in cui il passaggio è anche dal sacro al pubblico) e come spazio sociale (del confronto, del conflitto e della mediazione). Quest’impostazione ha una storia che arriva sino a oggi, con momenti di grande enfasi, quando sarà fatta proprio da diversi pensieri utopici, o quando la griglia diventa il paradigma fondamentale su cui si costruiscono le città di fondazione e la piazza il luogo ancor più caricato del dover essere «costituzionale» e non solo funzionale.

Un secondo filo dalla storia non meno antica è quello che può essere riassunto in un apparente paradosso, The Roman Bazaar, seguendo il lavoro prezioso di Peter Fibiger Bang. La piazza come il luogo del mercato, come il luogo dove lo scambio attraversa tutte le sue declinazioni: sociali (di integrazione e legittimazione di chi opera lo scambio), simboliche (nel passaggio dallo scambio tra beni a quello tra beni e monete, a quello tra monete), antropologiche (con il problema centrale del rapporto tra il denaro e il sacro e del problema di chi gestisce il credito... e l’usura).

L’esempio più noto, una specie di incipit occidentale, è la piazza delle corporazioni a Ostia, un altro è la strada-piazza del Gran Bazar a Istanbul. La piazza come luogo del mercato segue, è quasi ovvio dirlo, l’evoluzione della funzione, ma anche della rappresentazione, del mercato nelle società. Questa «piazza» rappresenta anche, occorre sottolinearlo, il luogo per eccellenza dove le regole informali che le società si danno prevalgono su quelle formali (e sulla gestione repressiva o meno della loro applicazione).

Esiste poi un terzo filo rosso altrettanto importante, quello che separerebbe la piazza disegnata, espressione di una volontà di forma, e la piazza che si costruisce per successive addizioni. Tra queste ultime, la piazza del Campo nel dipinto di Ambrogio Lorenzetti e, se si preferisce al posto di una rappresentazione un luogo reale, quella che sorge a Lucca sulle tracce dell’anfiteatro romano. Tra quelle disegnate, la Piazza ideale dell’Anonimo fiorentino conservata oggi a Baltimora, oppure la piazza Pio II a Pienza o le places royales, in primis la place des Vosges a Parigi. Una contrapposizione che ha fatto la fortuna del modello di piazza «italiana» sino a farla diventare quasi

il paradigma della piazza in cui si riconosce una comunità, mentre la piazza disegnata è diventata la rappresentazione dello Stato assolutista. Con ulteriori e interessanti paradossi che ne accompagnano la storia. La piazza «medievale» può diventare il cavallo di battaglia di chi combatte la modernità e rifiuta un concetto universalista di società - così è ad esempio per Léon Krier e per il principe Carlo - mentre la piazza disegnata è diventata l’ultima espressione di una ormai morente cultura modernista: la piazza del Campidoglio a Chandigarh di Le Corbusier o la piazza della Sovranità di Niemeyer a Brasilia ne sono gli esempi più conosciuti.

Dietro tutti questi intrecci sta una riflessione sempre estremamente contraddittoria e complessa sul rapporto che può esistere tra spazio e società, che mette in discussione facili genealogie. Proprio lo studio di come si costruisce realmente ad esempio la place des Vosges mette in luce come quella che appare il paradigma di una volontà assolutista di forma nasca dal riconoscimento - siamo nel 1616 - che l’uniformità sociale costituisca un problema per il funzionamento della città. Mentre saranno studi - soprattutto statunitensi e bostoniani - a cercar di definire il disegno urbano come strumento inatteso di una possibile Urban Democracy.

Ma è proprio la piazza, anche in quelle riflessioni storiografiche e critiche, che rimane il luogo più ambiguo.La piazza delle Tre Culture a Città del Messico, plaza de Mayo a Buenos Aires, oggi piazza Tahrir al Cairo sono entrate nell’immaginario politico e culturale come luoghi dove si rappresenta (non tanto si organizza) il dissenso. Sono piazze «fuori scala», scarsamente vissute come tali, che diventano, proprio come luoghi fortemente ambigui, scene di una rappresentazione sociale. In realtà, il rapporto tra piazza ed espressione della cittadinanza è nella storia urbana ben più complesso.

L’esempio forse più immediato rimane l’attuale place de la Concorde. Pensata come piazza destinata a ospitare la statua equestre di Luigi XV, viene localizzata dove sarà costruita dopo un doppio concorso che vede coinvolti quasi tutti i quartieri di Parigi, fondamentalmente perché quel luogo comprendeva il primo grande fallimento di una finanziarizzazione della rendita urbana: quello di John Law. La piazza rimane una piazza aperta verso la Senna, costruendo diverse prospettive visuali, proprio il contrario della piazza chiusa, mito e simbolo delle piazze espressione di un potere monocratico. Diventa con la rivoluzione la piazza delle esecuzioni, poi lo snodo delle processioni rivoluzionarie, per diventare l’inizio del più importante progetto di disegno urbano della Parigi di prima metà dell’Ottocento, rue de Rivoli, sino a essere vissuta oggi come un’immensa rotonda automobilistica che ha perso persino il suo statuto di piazza.

Le metafore aiutano a semplificare questioni complesse. Piazza può essere usata provocatoriamente per semplificare ad esempio nuove forme di comunicazione, ma, come tutte le parole, si porta dietro un’avventura più ricca e forse più interessante del suo uso come semplice metafora.


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