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LA BRUTTEZZA DI UNA DIPINTURA: "FABULA LEMURUM". In memoria di Giambattista Vico

STORIA DELLA QUESTIONE INFAME: COME L’ITALIA, UN PAESE E UN POPOLO LIBERO, ROVINO’ CON IL "GIOCO" DEI "DUE" PRESIDENTI DELLA REPUBBLICA. A memoria dei posteri, alcuni materiali - a c. di Federico La Sala

STORIA D’ITALIA: LA COSTITUZIONE, LE REGOLE DEL GIOCO, E IL "MENTITORE" ISTITUZIONALIZZATO ... CHE GIOCA DA "PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA": "FORZA ITALIA"!!! FORZA "POPOLO DELLA LIBERTA’"!!!
sabato 16 novembre 2013
L’ITALIA AL BIVIO: VICO E LA STORIA DEI LEMURI (LEMURUM FABULA), OGGI. Un invito alla (ri)lettura della "Scienza Nuova"

IN ITALIA, NEL 1994 UN CITTADINO REGISTRA IL NOME DEL SUO PARTITO E COMINCIA A FARE IL "PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA" DEL "POPOLO DELLA LIBERTA’": "FORZA ITALIA"!!! E ANCOR OGGI, IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE CONTINUA. "DUE PRESIDENTI" DELLA REPUBBLICA CONTINUANO A GRIDARE: FORZA ITALIA!!! LA SCHIZOFRENIA (...)

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> STORIA DELLA QUESTIONE INFAME --- Il giorno della fine della guerra civile. Dal presidenzialismo al dispotismo

giovedì 6 giugno 2013

L’ombra lunga del dispotismo

Dal presidenzialismo al dispotismo

di Michele Ciliberto (l’Unità, 06.06.2013)

La discussione, accesa e a volte aspra, sul presidenzialismo va considerata con attenzione, senza condanne pregiudiziali. Essa conferma che nel nostro Paese è aperta la questione della sovranità: chi è oggi il sovrano, in quali forme si esprime, su quale equilibrio dei poteri è fondato?

È un problema cruciale ed è singolare che esso non sia mai afferrato e affrontato nella sua necessaria e obiettiva radicalità. Si continua a restare alla superficie dei process, senza capire che i fenomeni che abbiamo sotto gli occhi compreso quello che si è soliti definire «populismo» hanno questa radice e a questo livello vanno considerati. Che cosa sta facendo il Movimento 5 Stelle se non riaprire, in modo perfino brutale, la questione di chi oggi sia il «sovrano»? Il rifiuto che ha opposto, con durezza, al tentativo di Bersani non scaturisce da una risposta precisa a questa domanda che prescinde volutamente da una dialettica parlamentare ordinaria e si situa fuori dagli argini della «tradizione» repubblicana? Come non capire che su questo punto specifico i capi di quel Movimento si muovono su un’altra onda, che non si incrocia con gli ordinari soggetti della sovranità e con le sue forme tradizionali?

Eppure non è questione di questi giorni, di questi mesi e nemmeno di questi ultimi anni: si è aperta negli anni Settanta, e da allora è iniziato nel nostro Paese uno scontro nel quale sono stati impegnati forze e soggetti diversi politica, magistratura, forze economiche proprio come accade quando, rotto un equilibrio, si sviluppa uno scontro frontale, e di carattere generale, sui caratteri, i soggetti, le forme del nuovo equilibrio da costruire: in una parola, sulle «nuove» forme della sovranità.

Se si analizza la storia italiana da questo punto di vista, si vede che lo scontro ha visto in campo fin dall’inizio una ipotesi di soluzione di carattere autoritario, decisionistico, secondo una vocazione tipica delle classi dirigenti italiane fin dalla fondazione dello Stato nazionale. Che cosa è stato il craxismo, che pure si muoveva in un’area di tipo socialista, se non un tentativo di risolvere il problema della sovranità dall’alto, in una prospettiva di tipo autoritario con il progetto della Grande Riforma? È proprio su questo terreno insidiosissimo perché tocca la dimensione delle istituzioni repubblicane che si può individuare un filo rosso di continuità tra craxismo e berlusconismo (due fenomeni per tanti versi differenti).

Il problema del presidenzialismo viene quindi da assai lontano, e va collocato su questo sfondo per essere compreso e anche combattuto. Oggi arriva in superficie, assumendo questa forma, un problema che percorre come un fiume carsico tutta la nostra storia recente, al quale le forze riformatrici, spesso chiuse in una trincea difensiva, non hanno saputo dare una risposta.

Certo, ha ragione Bersani quando sottolinea che la missione di un partito come il Pd esclude, in linea di principio, ogni forma di «uomo solo al comando». Ma per battere posizioni di questo tipo e capire perché esse si ripropongano periodicamente, assumendo come un Proteo varie forme e penetrando anche nel Pd occorre comprendere le ragioni storiche obiettive da cui questa spinta al presidenzialismo ha preso e continua a prendere forza.

È un fatto: gli equilibri della democrazia repubblicana si sono consumati, le forme della politica di massa sono finite, le culture dell’antifascismo sono tramontate; e sono venute anche meno alcune delle principali preoccupazioni che avevano animato i costituenti formatisi nel fuoco della lotta al fascismo.

In breve, un mondo è finito e occorre costruirne un altro, sapendo quali sono i termini delle alternative oggi in campo: una soluzione di tipo presidenzialistico o una soluzione in termini di democrazia diretta soluzioni polarmente contrapposte, ma entrambe da respingere perché l’una e l’altra autoritarie e, sia pure in forme diverse potenzialmente, dispotiche? Oppure, e questa è la soluzione su cui lavorare, nuove forme istituzionali, politiche e sociali che risolvano in termini di espansione democratica la questione della sovranità ma confrontandosi con i problemi politici e sociali e anche con le nuove esigenze di governabilità proprie di un mondo complesso e globalizzato come il nostro?

È un problema assai vasto, analizzabile da molti punti di vista, a cominciare da quello rappresentato dal bipolarismo e dal rapporto, delicatissimo, tra presidenzialismo e bipolarismo. La forza dell’ipotesi bipolare sta infatti qui: nonostante i suoi limiti sconta un difetto di semplificazione in una storia complessa come le nostra essa può contribuire a una modernizzazione e a uno sviluppo in chiave democratica, del nostro sistema politico, specie se è fondata su un sistema elettorale a doppio turno.

Ma se si sceglie questa strada come io ritengo che si debba fare il presidenzialismo, va respinto in tutte le sue forme.

Se è vero, infatti, che «è nell’essenza dei governi democratici che il predominio della maggioranza sia assoluto», dal presidenzialismo scaturisce, in modo ineluttabile, una moderna forma di «dittatura della maggioranza», con uno stravolgimento dell’equilibrio dei poteri e un netto primato dell’esecutivo sia sul legislativo che sul giudiziario. Se questa è la prospettiva, ciò di cui la nostra democrazia ha bisogno è precisamente il contrario: essa necessita di una alta magistratura che si configuri come principio di equilibrio, garanzia di un bilanciamento dei poteri, base e riferimento di una positiva ed efficace dinamica bipolare.

Dunque una istituzione forte e condivisa, da delimitare con precisione nelle sue prerogative e nei suoi confini. E tanto più indispensabile in una situazione come quella attuale nella quale mancano, o sono assai deboli, strutture in grado di contrapporsi a forze che pur generate democraticamente possono svolgersi in termini autoritari e perfino dispotici, come avviene sempre quando si afferma, in modo incontrollato, il potere della «maggioranza». Ne abbiamo cominciato a fare esperienza negli ultimi venti anni.


Il giorno della fine della guerra civile

risponde Furio Colombo (il Fatto, 06.06.2013)

CARO FURIO COLOMBO, non so se ha notato, ma è finita la guerra civile. Lo ha dichiarato Silvio Berlusconi alle ore 14.12 del 5 giugno. Che cosa diranno gli storici? Luigi

É MOLTO IMPORTANTE esaminare il testo del bollettino della vittoria firmato da Silvio Berlusconi. É scritto così: “Siamo riusciti a mettere insieme il centrodestra e il centrosinistra ponendo fine a una guerra civile”. Berlusconi dunque si attribuisce (“siamo riusciti...”) il merito dello storico evento e mostra di mettersi alla testa, novello generale Cadorna.

Per capire l’improvviso comunicato straordinario, dobbiamo provare a metterci dalle due parti di chi vi partecipa. Dunque, visto da destra e visto da sinistra. A sinistra troviamo un evento piccolo ma esemplare. Il tema è giustificare la nuova vita insieme di una deputata di Berlusconi (Laura Ravetto ) e un deputato del Pd ( Dario Ginefra).

Come può accadere una cosa simile? Semplice, spiega il giovane Pd: “Non sono accecato dall’antiberlusconismo” (Corriere della Sera, 31 maggio). Sulla destra compare in televisione (Tg3, 4 giugno) l’austera Gelmini che sillaba questo messaggio: “Una eventuale condanna di Berlusconi sarebbe lesiva della democrazia”. Che vuol dire “non fatevi venire delle strane idee sulla indipendenza della magistratura , perché allora la guerra continua”.

Posso raccontare, senza che sembri un vanto, una storia del tutto simile che mi riguarda, ovvero “chi tocca i fili muore?” Dunque, leggo su “Dagospia” del 4 giugno questa frase di Paolo Madron che risponde a una mia obiezione al suo libro). “I ricordi di Bisignani sul suo soggiorno americano erano più precisi. Ricordava come, in quanto capo della Fiat Usa, Colombo fosse presente nei consigli di amministrazione di alcune banche, tra cui la Overseas Union Bank, entrate poi, ai tempi di Tangentopoli, nelle indagini del pool di Mani Pulite”.

Strana memoria. Identica a quella del capo gruppo Pdl Renato Brunetta, che, per rispondere (anche lui) a una frase che non gli andava, è stato folgorato dallo stesso frammento di memoria, espresso con lo stesso argomento e le stesse parole.

Ma tutto ciò, parola per parola, si trova in un articolo di due pagine (la 2 e la 3) con foto gigante, (ma con il titolo a bandiera a pag. 1) a firma Renato Farina, sul quotidiano “Libero” del 30 marzo 2001. Ti dicevano che tutto era già scritto in un libro di Marco Travaglio. Quel libro è stato ripubblicato e distribuito da “L’Unità” quando io lo dirigevo. Come vedete, la guerra è finita, ma solo per chi accetta la resa, che deve essere incondizionata, come allora. Non c’è posto, nel mondo delle larghe intese, per chi sia ancora “accecato dall’antiberlusconismo”.


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