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LA BRUTTEZZA DI UNA DIPINTURA: "FABULA LEMURUM". In memoria di Giambattista Vico

STORIA DELLA QUESTIONE INFAME: COME L’ITALIA, UN PAESE E UN POPOLO LIBERO, ROVINO’ CON IL "GIOCO" DEI "DUE" PRESIDENTI DELLA REPUBBLICA. A memoria dei posteri, alcuni materiali - a c. di Federico La Sala

STORIA D’ITALIA: LA COSTITUZIONE, LE REGOLE DEL GIOCO, E IL "MENTITORE" ISTITUZIONALIZZATO ... CHE GIOCA DA "PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA": "FORZA ITALIA"!!! FORZA "POPOLO DELLA LIBERTA’"!!!
sabato 16 novembre 2013
L’ITALIA AL BIVIO: VICO E LA STORIA DEI LEMURI (LEMURUM FABULA), OGGI. Un invito alla (ri)lettura della "Scienza Nuova"

IN ITALIA, NEL 1994 UN CITTADINO REGISTRA IL NOME DEL SUO PARTITO E COMINCIA A FARE IL "PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA" DEL "POPOLO DELLA LIBERTA’": "FORZA ITALIA"!!! E ANCOR OGGI, IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE CONTINUA. "DUE PRESIDENTI" DELLA REPUBBLICA CONTINUANO A GRIDARE: FORZA ITALIA!!! LA SCHIZOFRENIA (...)

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> COME L’ITALIA, UN PAESE E UN POPOLO LIBERO, ROVINO’ ---- LE TERMITI DELLE ISTITUZIONI. E’ il momento di mettere in campo tutte le potenzialità possibili di "buona politica". Senza perdere tempo (di Guido Crainz(.

sabato 25 giugno 2011

Le termiti nelle istituzioni

di Guido Crainz (la Repubblica, 25 giugno 2011)

No, non era questo il modo di essere di quella "prima Repubblica" che pure fu sepolta con ignominia meno di vent’anni fa, in una damnatio memoriae che proiettava arbitrariamente su tutta la sua storia le nefandezze della sua agonia. Non lo era, a ben vedere, neppure negli infausti anni del Caf di Craxi, Andreotti e Forlani: nessuna microspia infilata in qualche camper avrebbe registrato qualcosa di simile a quello che abbiamo letto in questi giorni. La peggior cifra della "prima Repubblica" fu semmai - nei suoi momenti più cupi, e in un diversissimo clima internazionale - la tragedia, non la farsa maleodorante. Non la corrosione mefitica delle più elementari norme della democrazia e della decenza. Anche in passato ci venne da pensare a un "doppio Stato", spinti dalle suggestioni di Ernst Fraenkel. Ma quello che avvertivamo muoversi al di sotto della legalità, e contro di essa, era piuttosto un coacervo drammatico di trame eversive, di servizi deviati, di torbide ingerenze esterne, di grumi inquietanti che affondavano le radici nel passato. Quello che scorgiamo ora - lo ha scritto benissimo Carlo Galli su questo giornale - è un esercito di termiti e di tarli che insidiano quotidianamente, per lucro e sete di potere, i pilastri delle strutture pubbliche e delle regole istituzionali. Alla vigilia dell’esplosione di Tangentopoli Altan fece dire ad un suo personaggio: ma a questa classe politica, dovevano dargli il soggiorno obbligato proprio in Italia? Quella battuta è ancor più attuale oggi, perché nelle intercettazioni della P4 un crimine sicuramente c’è, ed è il peggiore: l’attentato alla dignità della democrazia, il vilipendio dell’idea di bene comune.

Una corte indecente si muove dunque all’ombra del premier, sempre più delegittimato, e il suo erede designato pensa solo ad avvolgere di nebbie protettive quelle trame: è questa la cifra di un’agonia intrisa di minacce e di pericoli per il Paese. Riproponendo oggi la legge-bavaglio il ministro Alfano proclama a voce altissima quel che le opposizioni hanno sempre detto, e cioè che quella legge non ha proprio nulla a che vedere con i diritti dei cittadini. E sfida frontalmente l’idea di giustizia che essi hanno affermato nel referendum sul legittimo impedimento. Anche questo è l’esito dell’antipolitica fatta trionfare da Bossi e da Berlusconi nella crisi della "prima Repubblica", e comprendiamo sempre meglio quanto sia stato grave non aver contrapposto ad essa solidi bastioni di "buona politica".

Di fronte al quadro che si è delineato è certo legittimo riflettere sulle modificazioni profonde che negli ultimi vent’anni hanno attraversato non solo il Palazzo ma anche parti non piccole del Paese. E sarebbe improprio immaginare - come facemmo nella crisi dei primi anni novanta - una compatta e virtuosa società civile totalmente contrapposta a un universo partitico corrotto: del resto nella rete della P4 ci sono anche pezzi di società prima estranei alla politica (ed entrati in essa, appunto, solo grazie all’antipolitica del premier). Eppure, l’Italia non è tutta lì. Non si riduce per nulla a quelle vergogne, al quotidiano operare di chi svuota e corrode la democrazia.

Indubbiamente in questi ultimi anni abbiamo fatto grandi passi all’indietro, sia sul terreno dell’etica pubblica che su quello dell’economia. Luca Ricolfi su La Stampa ha osservato che, dopo esser cresciuti troppo in fretta nel passato, nell’ultimo periodo stiamo declinando troppo lentamente per accorgerci veramente del piano inclinato su cui ci siamo incamminati. Come se fossimo su un ghiacciaio che si ritira di un metro l’anno, e ogni anno non sembra così diverso da prima: eppure, sta sciogliendosi inesorabilmente. Chiedersi perché ciò sia avvenuto significa al tempo stesso chiedersi come ricostruire l’edificio comune, come potenziare energie pur presenti. Come valorizzare quelle risorse che il Paese ha sempre dimostrato di avere: e lo ha fatto nella maniera più inattesa e forte anche nell’ultimissimo periodo.

Le elezioni amministrative e i referendum sono stati indubbiamente una grandissima ventata di democrazia e proprio per questo è necessario comprenderne appieno il valore, a partire da un dato centrale: l’irrompere sulla scena di un protagonismo giovanile tanto straordinario quanto inatteso. Anche alla vigilia del ’68, del resto, sociologi e opinionisti avevano liquidato con uno slogan sprezzante i giovani di allora, considerati ormai integrati nella società dei consumi e privi di valori: li chiamarono la "generazione delle 3 M" (macchina, moglie e mestiere). Furono costretti a rivedere quel giudizio, ma quei giovani trovarono in realtà pochi riferimenti e pochi interlocutori veri: e anche per questo - non solo per questo - non diedero poi tutto il meglio di sé.

Come è evidente, oggi il centrosinistra è più che mai chiamato in causa nel suo insieme e in prima persona: per svolgere il suo ruolo, per assolvere ai suoi compiti. Per aiutare le nuove esperienze nei loro momenti più difficili (o drammatici, come è ora a Napoli) e per valorizzare al massimo i momenti fecondi che già si segnalano, a partire da Milano. È un aspetto centrale: nella "prima Repubblica" il buon governo a livello locale fu a lungo un tratto forte e distintivo della sinistra, e l’appannarsi di questa cifra coincise con la sua crisi più generale. E forse non vennero poi considerate in modo adeguato le positive esperienze dei sindaci eletti a partire dal 1993. Non si trassero da esse tutte le indicazioni possibili per costruire un’alternativa anche nazionale al centrodestra.

È un errore da non ripetere, e del resto sono immediatamente comprensibili alcune delle ragioni che hanno contribuito alla vittoria nelle amministrative: la capacità di valorizzare quel che di positivo il centrosinistra ha saputo costruire, come a Torino, ma al tempo stesso anche di privilegiare - come è avvenuto altrove, anche contro le indicazioni ufficiali - proposte limpidamente alternative al centrodestra nei contenuti e nelle persone candidate, spesso estranee alla nomenklatura più stretta. Questa appare la via maestra anche a livello nazionale: è il momento di mettere in campo tutte le potenzialità possibili di "buona politica". Senza perdere tempo.


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